L’ARTICOLO 1 DELLA COSTITUZIONE

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

Non sono un costituzionalista, ma sento una forte pulsione a rivedere, dopo 75 anni, come i principi della Costituzione si sono evoluti (o devoluti) nella vita pratica dal momento della nascita ai tempi odierni.

               Riporto l’articolo 1 nel suo immutato testo originario:

               L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

               La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Di questo articolo due sono gli elementi che attraggono le mie riflessioni: “fondata sul lavoro” e “la sovranità appartiene al popolo”.

La formula “fondata sul lavoro” fu il risultato di una discussione innescata dalla proposta dei gruppi comunista e socialista che recitava “L’Italia è una Repubblica democratica di lavoratori” che secondo molti costituenti presentava un inadeguato significato classista. Interpretazione classista inteso poi in maniera molto limitante del concetto di lavoratore. L’on. Fanfani infatti precisò che quel termine significava “niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico (…)”. Questa preoccupazione che il lavoratore fosse solo quello manuale appare anche nella relazione di Ruini, quando la proposta social comunista fu sostituita dalla versione finale “fondata sul lavoro”. Ebbene Ruini precisò “Lavoro di tutti, non solo manuale ma in ogni sua forma di espressione umana”.

Più fondata, a mio parere, è quanto precisato dal proponente Fanfani, e cioè che “Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui”.

Il contenuto economico della formulazione “fondata sul lavoro” esclude cioè che la vita economica della Repubblica possa basarsi sulla rendita, sulla speculazione o sullo sfruttamento riconoscendo cioè “al mondo del lavoro” il protagonismo economico del Paese; principio che viene riaffermato, questa volta rivolto ai cittadini italiani, dopo aver sancito il diritto al lavoro, quando nel secondo comma dell’art. 5 recita:

               “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”.

L’evoluzione (o devoluzione) del capitalismo da produttivo a finanziario ha nella prassi modificato il motore economico del Paese che rimane pur sempre il secondo paese produttivo dell’Unione Europea, ma dove la rendita, la speculazione hanno assunto dimensioni crescenti pur non essendo produttive ma soltanto ricollocatrici della ricchezza, contribuendo ad esasperare le disuguaglianze.

Di fronte a questa trasformazione del capitalismo il sistema italiano, invece di seguire il dettato costituzionale, ha reagito sul piano fiscale favorendo rendita e speculazione invece di tutelare i redditi da lavoro. Sicuramente interessi sulle obbligazioni, locazioni di fabbricati sono rendite che non sono generate dal lavoro e, tuttavia, godono di una flat tax inferiore all’imposizione di chi ha un lavoro dipendente. Anzi il lavoro dipendente ed i pensionati (e gli autonomi con fatturato, per ora, superiore a 85.000€) sono gli unici assoggettati, come da art. 53 della Costituzione, ad imposizione progressiva, e contribuiscono per la gran parte al gettito fiscale nazionale.

La contraddizione del sistema si rivela, come recentemente è successo, che per tassare gli extraprofitti derivanti dalla speculazione sul gas o sull’incremento del tasso di interesse, due governi (quello Draghi e quello Meloni) sono costretti ad inventarsi una super imposta, ma l’imperizia legislativa e la debolezza dell’esecutivo stanno portando alla nullificazione dei provvedimenti. Il risultato ricercato sarebbe stato naturalmente raggiunto con una imposta progressiva costituzionalmente ineccepibile. Ecco le conseguenze di una imposizione flat.

Passiamo ora all’argomento “sovranità”

Il testo costituzionale prevede il verbo “appartiene” che è la scelta, operata dai costituenti, tra gli altri termini proposti quali “emana”, “risiede”, “è del”, “spetta”, termine che è poi precisato come esercitabile nelle forme e nei limiti della Costituzione.

La Costituzione prevede che l’esercizio della sovranità avviene in maniera diretta ed indiretta; ovvero indiretta attraverso i suoi rappresentanti (la Camera ed il Senato) e diretta tramite due strumenti le elezioni e il referendum.

Per quanto riguarda lo strumento diretto della elezione dei deputati e senatori, le leggi elettorali, non rispecchiano più, come ci insegna il compagno Besostri, la libera scelta dell’elettore. In questo senso, la cessione di sovranità dal popolo al suo rappresentante conosce limiti sostanziali nel meccanismo di conferimento del potere di rappresentanza. A questa cessione segue poi un’altra cessione da parte delle camere a favore del governo che sempre più aggiunge al suo potere esecutivo quello legislativo tramite una consolidata prassi di legislazione per decreto. Il Parlamento è sempre più demansionato a ratificare i decreti governativi, rinunciando di fatto al suo potere legislativo. Un procedimento anomalo, denunciato dal presidente Napolitano in occasione del suo secondo mandato, che vanifica la sovranità del popolo, che reagisce astenendosi in modo sempre pesante dalle elezioni.

Ma il popolo elegge anche il Parlamento europeo, un organismo che è comunque sovrastato nella gestione da una commissione europea composta dai governi dei paesi membri. Anche in tal caso la sovranità è stata ceduta a entità diverse dal popolo, vanificando il principio originario dettato dalla Costituzione.

C’è stato però un periodo in cui la “partecipazione” aveva creato organismi che, nei vari campi, investivano i cittadini di una responsabilità nella gestione del pubblico creando una rete di vero esercizio della sovranità da parte del popolo. Forse è guardando a queste forme che potremo ridare al dettato costituzionale una concretezza ed una autenticità che tale dettato ha, in questi anni, perso.

Pensiamo poi alla “sovranità limitata”, che registriamo per il nostro Paese, nell’ambito internazionale dove dobbiamo constatare una evidente e duratura subordinazione ad una egemonia statunitense nel dominante atlantismo, subordinazione che condividiamo con tutti gli altri paesi dell’Unione Europea e che suggerisco di approfondire nel libro “Sovranità limitata” di Luciano Canfora edizioni Laterza.