LA MORTE NON DÀ FAMA E RIPOSO

Prof. Giuseppe Scanni – Già Vicepresidente di Socialismo XXI |

La guerra cambia natura nelle diverse realtà, che bisogna conoscere per impedire il grande misfatto che è la morte. Chi governa non deve scivolare mai perché sa che si cade sempre dalla parte da cui si pende.

Ieri, domenica 29 ottobre, Israele ha avanzato nella Striscia di Gaza entrando nella “seconda fase”, con oltre 450 obiettivi militari di Hamas colpiti in diverse parti dell’area. 

Il portavoce delle forze armate israeliane Daniel Hagari ha annunciato che “durante la notte abbiamo ampliato l’ingresso delle forze dell’esercito nella Striscia di Gaza ed esse si uniranno alle forze che già combattono”.

“I combattimenti di terra nel nord della Striscia di Gaza continuano, stiamo avanzando nelle fasi della guerra secondo il piano, l’attività di terra è complessa e comporta rischi anche per le nostre forze”, ha aggiunto. 

Una dichiarazione che segna l’inizio dei combattimenti all’interno dell’enclave palestinese, parallelamente all’intensificarsi degli attacchi aerei israeliani che non cessano dal 7 ottobre, quando il gruppo islamico Hamas ha effettuato un attacco a sorpresa che ha provocato 1.400 morti in Israele. Nell’attacco il gruppo islamico catturò 230 ostaggi, che rimangono nelle loro mani nella Striscia palestinese.
Pur sfiancati dai bombardamenti mirati dell’aviazione israeliana e dalla eliminazione di almeno quaranta dirigenti di Hamas, i terroristi che si sono resi protagonisti di indicibili violenze contro neonati, bambini, giovani, donne, anziani propongono per la liberazione degli ostaggi (circa 230) uno scambio con quasi 6000 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane per atti di terrorismo.
Hamas sa che valutare gli ostaggi esclusivamente come scudi umani o, in alternativa, merce di scambio per rimpolpare le sue forze combattenti, non è possibile.

Come spesso accade traversiamo una fase conosciuta nella Storia. Quella del dialogo fra soggetti che per motivi diversi non possono ascoltarsi.

Così nella notte tra sabato e domenica 29 ottobre, il Primo Ministro di Israele Netanyahu nel corso di un discorso alla Nazione ha dichiarato:

 “Ieri sera altre nostre forze di terra sono entrate a Gaza, nella roccaforte del diavolo. Questa è la seconda fase della guerra i cui obiettivi sono chiari: la distruzione delle capacità militari e governative di Hamas e il ritorno a casa degli ostaggi”.

Nella mattina di domenica il gruppo “militare” palestinese di Hamas ha risposto sostenendo di voler continuare a resistere. Il portavoce di Hamas a Gaza, Hazem Qassem, ha spiegato all’emittente “Al Jazeera” che “c’è uno stato di fermezza e coraggio tra la resistenza nel difendere la terra”. Rispetto alle trattative sullo scambio di prigionieri, l’esponente palestinese ha sostenuto che Israele “finge di non essere interessata alla questione dei prigionieri, ma alla fine dovrà affrontarla. L’occupazione vende illusioni alle famiglie dei prigionieri israeliani protetti dalla resistenza“.

Rispetto invece ai raid aerei su Gaza ha aggiunto: “Il nemico sta praticando un genocidio contro il nostro popolo a Gaza con l’obiettivo di porre fine alla presenza palestinese. È necessario uno sforzo reale per aprire i valichi per portare gli aiuti e rimuovere i casi difficili da curare all’estero”. 

Tralasciamo la valutazione che può apparire ridicola del termine genocidio da parte di chi sa che la “Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio” (1948), ripresa nello “Statuto di Roma della Corte penale internazionale” (1998) pone come requisito del crimine l’esistenza di un progetto per distruggere in tutto o in parte un intero gruppo etnico o una determinata categoria di persone, e che è proprio Hamas ( come anche Hezbollah) a indicare nello Statuto l’eliminazione degli “ebrei”. Non è una novità. Anzi, è un falso storico indicare il 1948 come data di inizio di una ribellione palestinese repressa nel sangue dai colonizzatori sionisti.

In realtà Hamas persegue coerentemente il carattere sistematico e pianificato della “soluzione finale” progettata da Hitler e condivisa e messa in atto dal Gran Muftī di Gerusalemme, Amīn al-Husaynī sin dagli anni 30 (l’allora ministro degli Esteri italiano Galeazzo Ciano affermò, nel 1940, che Il Gran Muftī ed il suo movimento antiebreo era finanziato da anni dai servizi segreti tedeschi e italiani).
A partire dal 1941 sino al 1945 la Legione Araba si distinse nella caccia all’ebreo, pianificata dal Gran Muftī il 20 novembre 1941 a Berlino col nazista ministro degli esteri Joachim von Ribbentrop e ratificata nell’incontro con Adolf Hitler il 28 novembre dello stesso anno.

Messa da parte la falsità storica dell’accusa di “genocidio” rivolta ad Israele, resta l’analisi della tattica e della strategia perseguita da vari attori nelle guerre più evidenti nei nostri giorni.

Dobbiamo registrare che il buon senso dell’Occidente e la prudenza cinese hanno rallentato la corsa alla catastrofe generale nonostante la confusione da stadio che banalizza la tragedia in cori urlati da avversi hooligans di due terribili guerre, quella in medio Oriente e quella che si consuma in Europa, dove il popolo ucraino, letteralmente, si dissangua per sopravvivere, resistere e riaffermare la propria identità opponendosi all’invasione russa.

È vero che, come sosteneva Clausewitz (Della guerra) “la guerra rassomiglia al camaleonte perché cambia natura in ogni caso concreto”, ma tali e tante sono state le modificazioni intervenute nei corpi sociali ed economici dei paesi che partecipano alla politica socio-economica del pianeta, che è difficile, addirittura nello stesso paese, individuare con chiarezza quali siano le opinioni e quali i desideri che presidiano alla formazione di politiche , spesso così complesse da essere individuate ( figuriamoci realizzate) nei tempi lunghi.

Le madri e i padri detestano la guerra” sosteneva San Giovanni XXIII, ed io che sono nonno mi immedesimo nelle sue parole, ricordando anche quello che nella stessa epoca (quella della Pacem in terris per intendersi) ammoniva un mio professore ricordando che il demonio è l’amico che non resta mai fino alla fine.

Oggi la guerra è per forza di cose sempre asimmetrica. La supremazia negli armamenti nucleari consente un limite di deterrenza alla distruzione totale; la superiorità negli armamenti convenzionali garantisce dalla sconfitta ma non assicura in quanto tale la vittoria. É questa l’epoca delle armi “intelligenti” e distruttrici, ad esempio non esclusivo i “droni”, del dominio delle comunicazioni informatizzate, dell’uso spregiudicato del web e della formazione di opinioni capaci di creare fronti popolari oppositivi in paesi democratici per costringere i governi a modificare addirittura indirizzi diplomatici.

La guerra asimmetrica non ha bisogno della verità perché il suo codice bellico si realizza con la menzogna.

Per esempio. Dai campus universitari statunitensi (che non conobbero come in Europa il movimentismo del ’68) giungono inebriate voci invocanti umanità, ma si sottace che Israele ha riaperto la seconda delle tre condotte idriche che riforniscono la Striscia di Gaza di acqua. Il Coordinatore delle attività governative nei territori (COGAT) ha confermato che nel territorio gestito da Hamas oggi è stato riaperto il secondo acquedotto, consentendo ora un totale di circa 28,5 milioni di litri al giorno di flusso. La fornitura totale di 28,5 milioni di litri al giorno rappresenta poco più della metà dei circa 49 milioni di litri al giorno forniti da Israele prima della guerra. Il 9 ottobre Israele aveva tagliato le condutture dell’acqua che inviava a Gaza, che permettevano il 9% della fornitura idrica dell’enclave costiera in tempo di pace.

Il COGAT afferma che ora ci sono acqua e cibo sufficiente per soddisfare le esigenze umanitarie di Gaza, aggiungendo che l’agenzia monitora costantemente la situazione nel territorio. Il COGAT aggiunge che, nonostante i disperati appelli “gli ospedali sono infrastrutture operative militari di Hamas che nelle strutture sanitarie ha costruito centri di comando e di controllo nei quali le forze armate antiebraiche distribuiscono carburante per mantenerli operativi con generatori diesel” (ITALPRESS. xn8/vbo/rosso 29-Ott-23 13:41 N).

Nella guerra asimmetrica il falso è un’arma concessa.

La questione è che nelle democrazie, a differenza che nei regimi autoritari, teocratici o dittatoriali, l’uso cosciente della falsità è teoricamente possibile nella pratica ma quando avviene, passando dalla teoria alla pratica, il detentore del potere è sicuramente giudicato e spesso condannato (basta pensare a quanto è accaduto negli Stati Uniti ed in Europa. tanto per citare: Nixon, George W Bush e in questi giorni i processi a Trump; in Francia Sarkozy; e così in altri paesi).

Non c’è glamour nella guerra. Oscar Wilde (Il critico come artista), sostenne: “finché la guerra sarà considerata una cosa malvagia, conserverà il suo fascino. Quando sarà considerata volgare, cesserà di essere popolare”. Al momento bisogna ammettere che è molto, molto popolare. Se per chiedere ai governanti di operare, ai singoli di pregare per la pace si arriva a chiedere, urlando, la morte di chi si difende; se per invocare una pausa nel conflitto si inneggia contemporaneamente al lancio di missili ed alla apertura su più fronti del conflitto, evidentemente c’è un radicale cambiamento dell’uso dei sistemi che hanno tradizionalmente impostato la logica. Disgraziatamente si viene anche a smorzare l’invito a cercare in se stessi la pietà necessaria per riconoscere l’umanità propria e del nemico, giacché la pietà non nasce soltanto dalla tenerezza che si prova per chi è sentito come simile se non eguale, ma anche per chi si disprezza.

La diplomazia nell’era atomizzata e informatica fa molta fatica a svolgere la sua missione, eppure, se condotta seriamente, lontana da microfoni e dalle telecamere, quando è cosciente della realtà contemporanea ed anche dai precedenti storici che l’hanno determinata, può aprire occasioni che bisogna intravvedere e valorizzare.

Quello del segretario generale delle Nazioni Unite sull’origine delle barbarie commesse da Hamas nei confronti dei civili israeliani non è stato uno scivolone o una cattiva interpretazione di un debole pensiero. È stato un grave errore che non renderà più celere la necessaria riforma della pur essenziale ONU.

Tanto per cominciare occorre sgomberare il campo da possibili pensée cachées : António Guterres è un fine diplomatico, che ha governato lungamente il suo paese, ha presieduto il Consiglio europeo, ha contribuito alla soluzione di Timor est, è stato per dieci anni Alto Commissario per i Rifugiati, ed è al secondo ( per tradizione ultimo) mandato di Segretario generale dell’ONU. Insomma, non è uno sprovveduto. È cresciuto nella famiglia delle Nazioni Unite e ne conosce la debolezza e la forza.

Guterres sa bene che la forza dell’ONU nacque a Yalta nel febbraio del 1945, non, come vuole la retorica, con la carta Atlantica firmata da Roosevelt e Churchill nel 1941 i cui principi di base ispirarono qualche mese dopo, nel giugno del 1945, lo Statuto fondativo dell’ONU a San Francisco.

Fu a Yalta che la Russia accettò la proposta americana appoggiata dalla Gran Bretagna di riformare la vecchia e fallita Società delle Nazioni.

Lo Statuto di San Francisco armonizzò due concezioni sino ad allora conflittuali: l’utopia democratica che era stata propria del Presidente Wilson e che ancora esercitava un fascino attrattivo nell’elettorato statunitense e l’approccio realistico di Roosevelt, secondo il quale il solo efficace strumento di gestione degli affari mondiali era il direttorio delle grandi potenze. Osservo di passaggio che questo realismo permea ancora buona parte del pensiero statunitense ben alimentato da Henry Kissinger.

Il rapporto tra “direttorio” ed universalità dell’organizzazione è misurato dai diversi meccanismi che regolano l’Assemblea generale e il Consiglio di sicurezza.

L’Assemblea generale rappresenta l’uguaglianza fra le nazioni ed i principi dell’universalità dei diritti che devono regolare i rapporti tra gli Stati, ma le sue risoluzioni non sono vincolanti.

È il Consiglio di sicurezza ad esprimere decisioni vincolanti in caso di crisi internazionali, ma soltanto a patto che uno dei cinque paesi con seggio permanente (dieci sono rinnovati biennalmente) non esprima il suo veto.

Il diritto di veto fu esplicitamente richiesto a Yalta da Stalin.

La dissoluzione ufficiale dell’URSS nel 1991 sancì la fine del progetto mondiale di ripartizione dei poteri del mondo, nelle quali erano comprese la creazione di stati cuscinetto in Europa, tramite annessione o imposizione al potere, anche con le armi, di partiti unici alle dipendenze di Mosca e l’obbligata cogestione, dove possibile, degli affari mondiali. Nei decenni seguiti al 1991 l’ONU non è riuscita a riformare il bi-polarismo che lo aveva generato ed ha con sempre maggiore evidenza mostrato le sue difficoltà.

Già abbiamo scritto su questo giornale della relazione introduttiva alla Assemblea generale del segretario Guterres che è stata franca, realistica, forte e che sostanzialmente aveva ricevuto un consenso più largo del previsto e che, per parte mia, considero meritato.

Ma, ma, ma un segretario generale non sbaglia così grossolanamente da accusare una parte in conflitto giustificando l’attacco di Hamas perché avvenuto nel contesto di “56 anni di soffocante occupazione.” Il Segretario Generale sa bene che nella debolezza del sistema onusiano (le risoluzioni assembleari non sono vincolati, il diritto di veto, come nel caso in questione, esercitato dalla Russia impedisce l’attività del Consiglio) soltanto il suo ufficio è in condizione di esercitare una efficace e riservata azione diplomatica. È apparsa subito la debolezza di condannare “ in modo inequivocabile gli orribili e inauditi atti di terrore compiuti da Hamas il 7 ottobre in Israele” e chiedere che “tutti gli ostaggi devono essere trattati umanamente e rilasciati immediatamente e senza condizioni” e nello stesso tempo , prima del rilascio degli ostaggi non avvenuta a tutt’oggi, prima della organizzazione dell’esercito e delle altre forze armate, prima dell’inizio delle ostilità, condannare la parte offesa : “ Eccellenze- ha detto all’Assemblea il Segretario-è importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono venuti dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione. Hanno visto la loro terra costantemente divorata dagli insediamenti e tormentata dalla violenza; la loro economia soffocata; la loro gente sfollata e le loro case demolite. Le speranze di una soluzione politica alla loro situazione sono svanite. Le rimostranze del popolo palestinese non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas. E questi terribili attacchi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese”.

Quale sia la punizione collettiva non è dato al momento sapere, perché quello che si conosce è il continuo invito ad abbandonare i fortini di Hamas nascosti negli ospedali, nelle case, nei sotterranei, nei tunnel, ma non è questo il problema ora in discussione. È necessario pensare perché il segretario generale dichiara impossibile una soluzione politica, trasforma una idea di reazione in un proposito di vendetta e nei fatti, ma anche de iure, chiede l’impunità per atroci delitti.

Probabilmente è sfuggita l’intenzione della Cina di moderare i conflitti aperti e di non dare fiato ad un alleato scomodo qual è la Russia, un attore infido quale si è palesemente dimostrato Erdogan, un pericoloso concorrente in aree di interesse cinese quale l’Iran.

Probabilmente è sfuggito che usando esercizi d’arte orientale da mesi Washington e Pechino si esercitano all’incontro di San Francisco che tra poche settimane inizierà a definire i nuovi assetti mondiali e che tra questi non manca la reciproca attenzione economica e di sicurezza del medioceano che lega il Pacifico al Mediterraneo.

Probabilmente è sfuggito che i palestinesi e tanta parte del mondo arabo guardano ad una riedizione del Patto di Abramo più inclusivo dei diritti palestinesi e che questo mondo teme più gli Hezbollah, Hamas, Teheran, Damasco che il promesso sviluppo economico possibile nel riconoscimento e nella sicurezza di Israele.

Probabilmente è sfuggito che Biden è meno debole di quanto raccontato dalla Russia e che il popolo israeliano essendo un popolo democratico sa gestire le sue alleanze e le sue aspettative. Allo stato attuale l’Iran sa di rischiare molto e di non potersi triangolare con Ankara e Mosca per difendersi in caso di attacchi etero diretti contro Israele perché la reazione missilistica americana sarebbe immediata.

Ancora una volta concludo con un occhio speranzoso. Perché se si riesce a trovare spiragli di luce è possibile leggere il grande libro della Pace.

Mi piace pensare che la Giustizia non mancherà mai se nella Giustizia, nell’amore avremo fede.

In una Europa che si vergogna delle sue radici che hanno saputo unire diritto, ragione e fede ricordo volentieri un passo di Luca

( 18,1-8)“ E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti . che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Cerchiamo di fargliela trovare, anche senza l’immediata partecipazione di Antonio Guterres.

Pubblicato su www.ilmondonuovo.club