di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

L’uso di concetti o termini è importante e richiede una onestà intellettuale rigorosa e seria, tale da dare credibilità a chi quei concetti o termini utilizza. Per esempio, per nulla casuale, il fatto che il governo Meloni usi il termine “democrazia diretta” per connotare la sua proposta di riforma costituzionale, denuncia, a mio parere, non solo ignoranza, ma un palese tentativo di ingannare l’opinione pubblica che, molto probabilmente, sarà chiamata al referendum per l’approvazione o meno della stessa proposta.  

La democrazia diretta ateniese

Inizierò allora dal concetto di democrazia diretta al tempo dei greci:

con tutti i limiti relativi ai cittadini che erano abilitati a essere i soggetti abilitati a partecipare, siamo pur sempre in una società antichissima dove esisteva la schiavitù, peraltro giustificata anche da Aristotele, la democrazia diretta consisteva nella riunione dei cittadini nella “ekklesia” luogo in cui a maggioranza venivano deliberate le leggi che regolassero la comunità. I cittadini direttamente e senza intermediazione costituivano quello che oggi definiremmo il potere legislativo, differenziando così la democrazia dalla monarchia e dall’aristocrazia. Nella monarchia era uno solo, il capo, che aveva il potere di emettere le leggi; nell’aristocrazia era una classe ristretta ad esercitare il potere legislativo. La democrazia diretta contiene quindi due elementi caratterizzanti: a) il potere spetta al popolo e b) tale potere è esercitato direttamente, senza intermediazioni, dal popolo.

E’ da osservare che le proposte di legge assoggettate all’approvazione del popolo trattavano di argomenti diversi, interessando gli interessi o il coinvolgimento di maggioranze non necessariamente costanti ma che potevano costituirsi, di volta in volta, con raggruppamenti diversi. La democrazia diretta, cioè, non presupponeva la costituzione di una maggioranza costituita dalle stesse persone in ogni evenienza, ma si basava su maggioranze che si costituissero di volta in volta a seconda degli argomenti proposti.     

Quando il secondo elemento viene meno, quando cioè l’esercizio della sovranità non è esercitato direttamente dal popolo ma, per esempio, da persone elette per svolgere la funzione legislativa in rappresentanza del popolo, si ha, come previsto dalla nostra Costituzione, la democrazia “rappresentativa”.  Il popolo cioè delega la sua sovranità a cittadini che si ritiene siano più competenti ed atte a gestire le faccende della politica.

La democrazia diretta ai nostri tempi

Ai sensi della nostra Costituzione, l’intervento diretto della popolazione intera in attività politiche, si attua secondo il principio per cui “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Le forme di esercizio della sovranità, con la partecipazione diretta del popolo, sono:

● elezione dei membri del Parlamento;

referendum abrogativo per le leggi ordinarie, previsto dall’art. 75 della Costituzione;

referendum confermativo per le leggi di revisione costituzionale, previsto dall’art. 138 della Costituzione;

● forme di referendum consultivi previsti dagli articoli 132 e 133 della Costituzione.  

Naturalmente l’elezione dei membri del Parlamento trasforma la democrazia diretta in democrazia rappresentativa.

Se volessimo attuare una democrazia diretta (all’ateniese) ai nostri tempi, penso che dovremmo guardare all’esperienza dei 5stelle che, tramite una piattaforma elettronica, hanno sperimentato, con le tecnologie moderne, una simile consultazione. L’esperimento, che ora pare abbandonato, non ha avuto molta partecipazione, ma comunque in un futuro, a livello nazionale, potrebbe essere realizzata. Anche se si trattasse soltanto di rispondere con un sì o con un no, la consultazione spingerebbe i cittadini ad approfondire e a ragionare sull’argomento ampliando gli spazi di partecipazione. Tale possibilità è oggi percorribile perché le tecnologie moderne permettono di elaborare con celerità e sicurezza il voto espresso dai cittadini e perché la diffusione dei computer, tablet, telefonini, rende possibile l’esercizio del diritto di voto alla quasi totalità della popolazione, con la possibilità di garantirla anche a quei soggetti senza gli strumenti tecnologici necessari (ad esempio costituendo centri di voto per tali soggetti).

La natura di questa consultazione, di cui venga garantita l’assoluta difesa da interventi esterni o da manipolazioni degli operatori, avrebbe ovviamente natura di parere non vincolante, anche se politicamente molto rilevante, a meno di riformare le forme e i limiti della Costituzione. Occorre tra l’altro prepararsi alle problematiche che l’I.A. potrebbe comportare, interferendo nelle consultazioni.

Va inoltre ricordato che la nostra Costituzione prevede e promuove, ad esempio all’articolo 3 e anche all’art.46, il coinvolgimento diretto dei cittadini nella gestione della cosa pubblica, coinvolgimento che tende a rendere sempre più efficace la partecipazione dei cittadini nella vita politica.

I contenuti della democrazia

Restringere il concetto di democrazia al solo esercizio del voto, è, a mio parere, estremamente limitante ma purtroppo ai nostri giorni pare che l’esercizio democratico si limiti solo al momento delle elezioni. Infatti tutti i partiti operano in funzione delle prossime consultazioni, cosa che, ad esempio in questi giorni, si proiettano su un arco temporale di quasi un anno in attesa delle prossime elezioni europee. I partiti allora pensano solo ad attrarre consensi con regalie piccole o grandi ai potenziali elettori rendendoli cioè incapaci di affrontare temi importanti quando ciò potrebbe far perdere loro voti alle prossime consultazioni elettorali.

Va purtroppo ricordato che nei casi in cui il paese si è trovato in difficili situazioni economiche, i politici non sono stati in grado di affrontare tali situazioni con provvedimenti talora impopolari anche se necessari a superare le difficoltà. Facile pensare ai casi in cui si è dovuto ricorrere a governi “tecnici” quali quelli di Ciampi, Monti e Draghi. I tecnici, non condizionati dalla ricerca del consenso, hanno potuto agire nell’interesse (che ci siano riusciti è un’altra faccenda) del Paese.

Ma la riduzione dell’esercizio della democrazia al solo esercizio del voto, ha allontanato quasi la metà dei potenziali elettori dall’esercizio del voto, denotando una evidente crisi, stanchezza e sfiducia nell’esercizio della democrazia così come si attua oggi. E poi diciamocelo, si vota anche in paesi che non hanno la minima parvenza di paesi democratici, e ciò demistifica il valore dell’esercizio del voto.

Ne deriva che la democrazia richiede partecipazione in tutti quegli istituti che negli anni scorsi si sono formati nella scuola, nella sanità, nella fabbrica, nella società civile. Oggi tale partecipazione si è parecchio affievolita portando l’elettorato in stato di rassegnato disinteresse. Se per Gaber la libertà e partecipazione, per me è la partecipazione che è democrazia.

Infine, ed il punto è importantissimo, la democrazia significa separazione dei poteri. In un sistema di bilanciamento dei poteri, che garantisce contro ogni forma di autoritarismo nella funzione e nella gestione della cosa pubblica, risiede l’habitat naturale della democrazia. Occorre che il legislativo trovi i suoi limiti nella costituzione; che l’esecutivo abbia i suoi limiti nella fiducia del parlamento e in una magistratura attenta; che la magistratura trovi i suoi limiti nella legga; che il Presidente della Repubblica garantisca l’applicazione della costituzione e sia garante di un corretto comportamento degli altri poteri.

La riforma costituzionale della Meloni

Se alfine la democrazia non è solo il voto ma è fatta anche di partecipazione e di separazione dei poteri, se la democrazia diretta è una forma di coinvolgimento del popolo nelle decisioni di politica, se questi dunque sono i contenuti di un concetto abbastanza ampio e articolato come giudicare la proposta di modifica costituzionale promossa da Giorgia Meloni? La premier ha ragione nel dire che la durata media di un governo è di un anno e mezzo, ma da qui a proporre il plebiscito per dare tutto il potere al premier e chiamare ciò democrazia diretta è sintomo di una ignoranza istituzionale e di una arroganza autoritaria. Il popolo nella visione della Meloni non diventa il soggetto deliberante principale ma delegherebbe (democrazia rappresentativa) la sua sovranità ad un individuo solo senza vincoli di mandato (il premier fa sì un programma ma poi se non lo rispetta nessuno lo contesta), insomma l’esatto contrario della democrazia diretta.

La riforma proposta, oltre a farneticare sul concetto di democrazia diretta, presenta una norma antiribaltone che è un assurdo logico. Tale norma prevede che se il premier eletto dovesse cadere con il suo governo, l’incarico ad un nuovo premier dovrebbe essere dato ad un parlamentare eletto all’interno della stessa maggioranza risultata vincente alle elezioni. Ma se il premier (salvo il caso di morte) decade è perché la maggioranza che lo ha eletto si è rotta e quindi non è più in grado di ritrovarsi unita nell’indicare un nuovo premier (a meno che la proposta venga da Salvini che spera di rimpiazzare la Meloni).

 Ma questa proposta soprattutto mina l’equilibrio dei poteri, sacrificando il ruolo del Presidente della Repubblica e prospettando una separazione delle carriere in magistratura che prelude al porre il pubblico ministero alle dipendenze dell’esecutivo. Sul primo aspetto, ovvero sulla limitazione dei poteri del Presidente della Repubblica, non ci si rende conto come possa funzionare l’equilibrio dei poteri qualora il Presidente della Repubblica fosse eletto dal Parlamento ed il premier fosse eletto dal popolo; prospettiva questa che non è neppure da essere immaginata stante la sua pericolosità.

Ritengo infine che la stabilità dell’esecutivo e la accelerazione del funzionamento del processo legislativo siano obiettivi legittimi e tuttavia raggiungibili con altri strumenti; cito ad esempio la sfiducia costruttiva, la limitazione dei decreti d’urgenza combinata al monocameralismo.