di Renato Costanzo Gatti
Socialismo XXI Lazio
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Premessa
Il fine della proposta riforma costituzionale ha come obiettivo quello di permettere all’esecutivo di durare più a lungo, possibilmente per tutta la legislatura, alfine di poter migliorare la produttività del governo permettendogli di operare con un orizzonte temporale più ampio di quello che la storia del nostro paese fa registrare come durata media di un governo.
L’obiettivo sembra ragionevole e condivisibile, c’è tuttavia da chiedersi se le modifiche costituzionali proposte siano funzionali al raggiungimento dello stesso. La proposta consiste di soli cinque articoli che analizzeremo con lo scopo, appunto, di testare se essi siano adeguati alla realizzazione del dichiarato scopo.
Articolo 1
L’articolo 1 della proposta modifica costituzionale recita:
“(Modifica all’articolo 59 della Costituzione)
1- Il secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione è abrogato.”
Vediamo allora cosa contempla l’art.59 della Costituzione e cerchiamo di capire lo scopo dell’abrogazione del secondo comma di detto articolo.
Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque.
Una prima osservazione ci rimanda all’affermazione perentoria fatta dalla presidente del consiglio nella conferenza stampa del 4 gennaio 2024, secondo la quale nessun potere del Presidente della Repubblica veniva limitato dalla proposta modifica costituzionale in esame. E’ palese che l‘art.1 in esame limita esplicitamente i poteri del Presidente della Repubblica, smentendo in modo inequivoco le affermazioni di Giorgia Meloni. Ma la limitazione dei poteri non è limitata a questo articolo ma, come vedremo, è oggetto di altre modifiche nei successivi articoli.
Ma in che modo l’abrogazione del secondo comma dell’art.59 della Costituzione è funzionale allo scopo di rendere più duratura e stabile la vita dell’esecutivo? Forse occorre andare a ricercare le ragioni per le quali questo secondo comma (qui nella forma già modificata da altra revisione costituzionale) fu introdotto dai padri costituenti. Riprendo da un articolo di Maria Grazia Rodomonte del 2022 questo paragrafo che spiega la ragione per la quale questo secondo comma sia stato costituzionalizzato:
“Nella seduta del 3 settembre 1946, nella seconda Sottocommissione, Mortati non manca in effetti di evidenziare come tra i vari fini che possono raggiungersi con un sistema bicamerale vi sia proprio quello di integrare la rappresentanza politica con altre forme di rappresentanza, quella territoriale e delle categorie, ma anche come l’istituzione di una seconda Camera possa rispondere all’esigenza di “selezionare particolari capacità e competenze”. Tale finalità si può ottenere delimitando la scelta degli eleggibili “per assicurare la presenza nell’assemblea legislativa di certe competenze individuali che il sistema dei regimi rappresentativi di per sé stesso non assicura”. Uno scopo che, secondo Mortati, appare particolarmente rilevante, realizzabile “prescrivendo che gli eleggibili siano scelti nell’ambito di determinati gruppi, che si suppone abbiano una certa competenza”. Importante “perché uno dei fattori che ha contribuito a determinare la cosiddetta crisi della democrazia è precisamente il difetto di competenza, tanto più sensibile nello Stato moderno che ha visto estendersi la sua sfera di attività in settori sempre nuovi e sempre più tecnici. Questo fine politico particolarmente importante può essere soddisfatto con la costituzione di una seconda Camera in cui si faccia una selezione degli eleggibili”. Secondo Mortati, infine, vi sono forme di composizione della seconda Camera che tendono a conciliare i vantaggi di vari sistemi e che, insieme agli elementi elettivi, comprendono anche elementi scelti in altro modo: “così, ci sono costituzioni che adottano un contemperamento del sistema elettivo con quello della nomina da parte del Capo dello Stato, ammettendo che un certo numero di membri del Senato sia nominato dal Capo dello Stato; ciò che può avere una ragione di essere, in quanto ci sono delle capacità che è opportuno assicurare alla seconda Camera, mentre non è opportuno siano scelte attraverso le elezioni: magistrati, membri dell’esercito o dell’amministrazione, ecc.”
Se questa è la ragione sottostante all’introduzione in Costituzione del secondo comma, risulta inconcepibile, ai fini di una maggior stabilita e durata dell’esecutivo, la sua abrogazione. Non si vede ragione per cui, escludendo dal Senato persone di eccelsa competenza e conoscenza nei vari campi della cultura e dell’arte, si possa rafforzare la stabilità dell’esecutivo. Le ragioni, a mio modo di vedere, rispondono ad altre esigenze: la prima risponde all’esigenza politica, espressa nelle motivazioni, di lasciare una esclusiva di nomina dei parlamentari al popolo che esprimerebbe in tal modo chiaro la sua sovranità, nessuna interferenza di presunta “casta” vada a contagiare la genuina espressione popolare: il rapporto popolo/premier sarebbe in tal modo garantito. La seconda ragione risiede nella dichiarata volontà di eliminare i governi cosiddetti “tecnici”, quei governi cioè che contravvenendo al rapporto diretto popolo/premier hanno in passato minato la sovranità popolare. L’esempio più palese è quello della nomina di Mario Monti a senatore a vita ed il successivo incarico di governo avvenuto come una classica manovra di palazzo.
Ma i governi tecnici nascono quando la politica si dimostra incapace ad affrontare tematiche, generalmente economiche, che solo degli esperti possono affrontare, spesso proponendo misure impopolari (quali ad esempio la riforma Fornero), senza doversi preoccupare del consenso elettorale, preoccupazione che spesso è alla base dell’incapacità della politica di affrontare tali problemi. La messa al bando di governi tecnici rende più drammatica la vita dell’esecutivo ed il suo confronto/scontro con le camere aumentando sensibilmente il rischio di dover ricorrere allo scioglimento delle camere; ma nello specifico vedremo più avanti.
Articolo 2
Esaminiamo ora il secondo articolo della proposta di modifica costituzionale che recita:
“(Modifica all’articolo 88 della Costituzione)
1- Al primo comma dell’articolo 88 della Costituzione, le parole: «o anche una sola di esse» sono soppresse.”
Anche in tal caso occorre andare ad esaminare l’articolo citato al fine di valutare la finalità della soppressione di alcune parole.
L’articolo 88 citato recita:
“ll Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.”
ll potere di scioglimento si configura come un potere non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, presidenziale, potere che viene corretto e limitato ad ulteriore conferma della scorretta affermazione della premier. Dove cercare allora la ragione di questa limitazione da collegarsi allo scopo di rafforzare la durata dell’esecutivo? In questo caso, tuttavia, pare che l’eliminazione delle parole “o anche una sola di esse” possa farsi risalire ai dubbi avanzati sulla legittimità dello scioglimento di una sola camera dopo la legge costituzionale n. 2 del 1963 che ha equiparato la durata delle due Camere, risolvendo il problema di far coesistere Camere elette in momenti diversi. Non si rinvengono precedenti dello scioglimento di una sola Camera.
Riconosciuto il valore tecnico di questo secondo articolo, non si può tuttavia non rilevare che con l’eliminazione delle parole “o anche una sola di esse” si rende esplicita la volontà di non frapporre eccezioni, talora pretestuose, alla chiara finalità di rendere quasi necessitato lo scioglimento delle camere quando si incrini il rapporto profondo tra popolo/premier e sua maggioranza. La purezza di quel rapporto, come vedremo più avanti, non sembra ammettere eccezioni, sotterfugi, manovre ostative alla fine della legislatura in caso di rottura di detto rapporto tra elettore ed eletto.
Articolo 3
Esaminiamo ora l’art. 3 della proposta modifica costituzionale; esso recita:
(Modifica dell’articolo 92 della Costituzione)
1- L’articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente:
« Art. 92. – Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione delle due Camere e del Presidente del Consiglio avvengono contestualmente. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i princìpi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio, assegnato su base nazionale, garantisca il 55 per cento dei seggi in ciascuna delle due Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio dei ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura.
Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i ministri».
Vediamo ora il testo dell’art. 92 che dovrebbe essere sostituito:
“Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.”
Il primo comma è immutato rispetto all’attuale versione dell’art.92; la novità della riforma consiste:
Nel secondo comma:
a) Elezione del presidente del consiglio a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni;
b) Votazioni contestuali per l’elezione del presidente del consiglio e delle due camere;
c) Assegnazione su base nazionale di un premio che garantisca il 55 per cento dei seggi in ciascuna delle due camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del consiglio dei ministri;
d) Il presidente del consiglio è eletto nella camera nella quale ha presentato la sua candidatura.
Nel terzo comma:
e) Il Presidente della Repubblica non nomina più il presidente del consiglio ma gli conferisce l’incarico di formare il governo.
Per quanto riguarda il punto a) il presidente del consiglio viene eletto a suffragio universale; esso cioè non viene designato da una consultazione popolare perché poi il Presidente della Repubblica lo nomini, ma, scavalcando i poteri del Presidente della Repubblica, l’elezione è a suffragio universale mentre il Presidente della Repubblica si limita a conferirgli l’incarico di formare il nuovo governo. Ne discende quindi che il presidente del consiglio ha una legittimazione ben diversa da quella assegnata agli altri ministri: esso diventa un primus inter pares e non più un unus inter pares, viene creata quindi una nuova figura istituzionale che modifica l’assetto originario della Costituzione creando un profondo problema sui rapporti tra Presidente della Repubblica e presidente del Consiglio l’uno eletto dai parlamentari, il secondo eletto dal popolo. Il problema consiste nella discrasia nel modo di elezione tale da far nascere dubbi sulla gerarchia tra le due figure.
Più oscuro è il punto b), infatti non è chiaro se la contestualità dell’elezione del presidente del consiglio e delle due camere comporti una scheda elettorale unica o una doppia scheda: una per la camera ed una per il senato. Nel primo caso si pone il dubbio se si possa votare per uno schieramento in una camera e per un altro schieramento per l’altra camera; se dovesse prevalere l’ipotesi di scheda unica con voto unico per le due camere sorgerebbero dubbi forti sulla legittimità di tale limitazione della sovranità del popolo elettore. Se poi si andasse al voto con due schede potrebbe succedere che un candidato alla presidenza del consiglio si presenta (vedasi punto d) in una camera e un altro candidato si presenta in un’altra camera. In tal caso nulla vieterebbe ad un elettore di votare entrambi i candidati creando forti dubbi sull’esito elettorale.
Inimmaginabile poi la situazione dei giovani che votano solo alla Camera e che quindi non potrebbero votare un candidato premier che ha presentato la sua candidatura al Senato. La limitazione del voto “giovanile” ad una sola camera e non sarebbe attuabile nel caso di una scheda unica.
Tale dubbio si aggrava anche in relazione al punto c) dove potrebbe succedere che un candidato eletto in una camera faccia scattare il premio del 55% anche nell’altra camera dove per assurdo la coalizione vincente nella prima camera risultasse perdente nell’altra.
Il massimo dell’assurdo sarebbe nel caso in cui la coalizione A vincente sia alla Camera che al Senato si vede detronizzata al 45% dei seggi per il fatto che il/la candidata presidente del consiglio della coalizione B risulta vincente.
L’oscurità di questa norma costituisce il vero valore di questa legge in quanto è in questo meccanismo che si assicura una maggior stabilità dell’esecutivo; è il premio incondizionato del 55% il vero punto di forza cui viene affidato il compito di assicurare governi che durino 5 anni; non è cioè l’elezione diretta del presidente del consiglio il fulcro della riforma ma è, al contrario, un premio in seggi che non discende dalla sovranità popolare ma da un algoritmo di dubbia equità.
Passiamo ora all’Art. 4 della proposta modifica:
(Modifiche all’articolo 94 della Costituzione)
1- All’articolo 94 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il terzo comma è sostituito dal seguente:
«Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non sia approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche in quest’ultimo caso il Governo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere»;
b) è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio eletto, il Presidente della Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia. Qualora il Governo così nominato non ottenga la fiducia e negli altri casi di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio subentrante, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere».
In questo articolo si delinea chiaramente la sostanziale differenza con il sistema attualmente in vigore; con la Costituzione vigente il Presidente della Repubblica ricerca, finché possibile, all’interno delle Camere l’esistenza di una maggioranza per permettere alla legislatura di durare anche al di là di casi di negata fiducia al governo che si è presentato alle camere. Con la proposta modifica questa funzione del Presidente della Repubblica viene negata e si passa molto più speditamente allo scioglimento delle camere e alla cessazione della legislatura. E ciò in contrasto con l’asserita volontà di avere governi di durata più estesa che non l’attuale.
Si noti che con il comma aggiunto si impone al Presidente della Repubblica di conferire l’incarico, in caso di cessazione del precedente governo, al presidente del consiglio dimissionario o a un altro parlamentare candidato in collegamento al presidente eletto. La cosa ha un senso se l’originario presidente del consiglio si dimette per ragioni di salute o altre ragioni non politiche.
La cosa diventa più incomprensibile se la cessazione del presidente eletto dipende da questioni politiche, ad esempio una rottura della alleanza che aveva vinto le elezioni. Se ci pensiamo i 60 e più governi, che si sono succeduti nella storia della nostra Repubblica, avevano ottenuto la fiducia di un’alleanza che è successivamente venuta meno. Perché ciò non dovrebbe succedere anche con la Costituzione modificata come proposto? Ma se l’alleanza è venuta meno come si può identificare “un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia”, senza destinarlo ad una inevitabile bocciatura?
Da notare infine che la cessazione del presidente eletto trova l’alternativa in un sostituto nella originaria coalizione, non esiste un’alternativa per il presidente sostituto; o dura fino alla fine del quinquennio o si sciolgono le camere (l’evitare quest’ultima soluzione costituisce un forte supporto alla continuità del governo del sostituto).
Passiamo ora al quinto ed ultimo articolo.
Esso recita:
Norme transitorie)
1- Restano in carica i senatori a vita nominati ai sensi del secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione, nel testo previgente alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale.
2- La presente legge costituzionale si applica a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere, successiva alla data di entrata in vigore della disciplina per l’elezione del Presidente del Consiglio dei ministri e delle Camere.
Non è chiaro se i senatori a vita nominati restano in carico finché campano oppure decadono al momento in cui si applichi la nuova legge costituzionale, ovvero dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle camere.
Conclusioni
Dall’esame fatto se ne può trarre la conclusione che questa proposta riforma costituzionale è basata su un rafforzamento dell’alleanza di governo vincente cui viene garantito il 55% dei seggi in entrambe le camere e da una esaltazione del provvedimento di scioglimento delle camere tale da dissuadere i parlamentari ad imboccare la strada della revoca della fiducia al governo anche in presenza di una crisi grave all’interno delle forze costituenti l’alleanza. In sintesi o continua il governo premiato dai seggi aggiuntivi o TUTTI A CASA.
Il collegamento tra premier eletto e maggioranza gratificata dal premio di seggi, porta ad un rapporto stretto tra esecutivo e legislativo, in un periodo dove il legislativo vede già notevolmente ridotte le sue funzioni; riduzione che comporta il configurarsi dei rapporti come una cinghia di trasmissione tra un esecutivo forte e una maggioranza che ratifica l’operato dell’esecutivo. E ciò in presenza di un Presidente della Repubblica cui sono ridotti in modo sostanziale i compiti e la possibilità di azione politica. Si rileva inoltre che questa cinghia di trasmissione conferisce di fatto all’esecutivo il potere di nominare i due terzi della Corte Costituzionale, compromettendo l’equilibrio dei poteri.
In fondo, se l’obiettivo è quello di avere un esecutivo più duraturo parrebbe che l’introduzione della “sfiducia costruttiva” potrebbe essere un provvedimento positivo non squilibrante il balance of powers della nostra Repubblica.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.