di Renato Costanzo Gatti

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In questo 2024 quasi tutto il mondo si apprestare ad andare a votare per scegliere chi guiderà i paesi nel preoccupante scenario mondiale che ci si prospetta. Le elezioni più importanti sono naturalmente in Russia, in Europa e negli USA. Non mi occuperò della Russia e affronto il tema dal mio angolo di osservazione: quello economico. Al momento è sicuramente la situazione geopolitica che preoccupa, stante i conflitti in corso, che conoscono solo escalations e tingono di grigio scuro l’orizzonte. Ma l’aspetto economico è poi alla base di ogni conflitto, sia esterno che interno, ed è quello che più conta se si guarda alle elezioni con un orizzonte lontano ma le cui basi si impostano qui ed ora.

La situazione degli USA

A mio parere Biden si presenta alle elezioni con una situazione economica straordinariamente forte. Le sue aziende raggiungono da sole un livello record di capitalizzazione, che supera quello di tutto il resto del mondo. Le borse mondiali capitalizzano 110 mila miliardi di dollari, gli USA fanno la parte del leone, il New York Stock Exchange (Nyse) capitalizza 25 mila miliardi, il Nasdaq 21.700, ma ciò che va sottolineato è che mentre il Nyse dal 2016 è cresciuto del 35.1%, il Nasdaq è cresciuto del 189.3%. E sappiamo che il Nasdaq quota titoli tecnologici, quelli che grazie all’intelligenza artificiale, stanno conoscendo risultati incredibili. I nomi delle aziende tecnologiche che investono nell’I.A. sono noti: Microsoft, Apple, Amazon, Meta e Alphabet. Microsoft capitalizza 3 mila miliardi di dollari (il PIL italiano nel 2023 è di 2 mila miliardi di dollari), Ndivia, una stella nascente, che produce programmi per istruire i computers per operare con l’I.A., regina nel settore, registra utili incredibili; ha fatturato 60 miliardi di dollari e ha realizzato profitti per 33 miliardi.

E’ ovvio che dietro a questi risultati ci siano investimenti in ricerca e sviluppo (R&S) che sono alla base del successo schumpeteriano dell’economia statunitense. Gli investimenti in R&S in Europa sono un quinto di quelli negli USA e la metà di quelli in Cina. Gli investimenti sull’I.A. negli USA sono 50 volte quelli europei. L’azienda europea che ha investito di più nel 2023 è la Volkswagen (investimenti sull’auto elettrica) con 18.9 miliardi di euro, Google (Alphabet) ha investito il doppio, 37,1 miliardi, Meta 31,5, Microsoft 25,5, Apple 24,6 e, fuori dagli USA, la cinese Huawei ha investito 20,9 miliardi e la coreana Samsung 18,5 miliardi. (Vedasi l’articolo di Eugenio Occorsio su Affari e Finanza di lunedì 11 marzo).

Gli USA, smentendo le previsioni di qualche anno fa, hanno una economia che continua a correre grazie alla politica, un tempo europea, di finanziare la crescita a debito. Washington, per affrontare la crisi Covid, ha stanziato 5 trilioni di dollari; ha poi aggiunto altri 2 trilioni di dollari come incentivi pubblici pluriennali agli investimenti con misure quali l’Infrastructure Investment and Jobs Act, il Chips Act e l’Inflation Reduction Act. Quest’ultimo atto, poi, prevedendo incentivi per gli acquisti di merci che fossero prodotte negli USA, ha praticamente introdotto i dazi doganali non con il prelievo fiscale all’importazione ma escludendo i beni importati dagli incentivi concessi alle produzioni USA.

Ritorna, ci siamo dimenticati di Mariana Mazzucato?, l’importanza del ruolo del pubblico nel sistema economico statunitense con una preminenza programmatoria determinante. Tema che dovrebbe essere molto presente nel mondo socialista per intervenire in questo colossale trasferimento di fondi dal mondo del lavoro al capitale. Ma conosciamo pure che questa stampa di dollari senza limiti è fonte di inflazione che viene limitata grazie all’ “esorbitante privilegio” derivante dal fatto che i dollari sono tolti dalla circolazione dai paesi che li tengono come riserve valutarie nelle loro casse. Ma il processo di de-dollarizzazione ha raddoppiato, dagli inizi di questo anno, il numero di paesi aderenti, contrastando l’effetto anti-inflazionistico a favore del dollaro. Ecco una variabile che non potrà non incidere sul futuro degli USA.

La situazione dell’Europa

La situazione europea penso possa essere descritta facendo riferimento a quanto dice Draghi, incaricato dalla Commissione europea di redigere un rapporto sul dossier competitività. Draghi insiste sulla necessità di mobilitare enormi investimenti per consentire all’Europa di poter competere con gli USA e con la Cina i paesi che stanno affrontando da protagonisti la sfida per l’egemonia economica negli anni futuri.

Secondo Draghi i soldi necessari per questi investimenti sono solo una parte del problema, occorre rivedere anche le regole che l’Europa ha costruito per il suo funzionamento e che non sono funzionali ad una politica di vitalità ed efficacia nella ricerca di un protagonismo economico. Esiste un problema di estrema evidenza: come può l’Europa essere competitiva se l’energia elettrica ci costa il doppio di quanto costa negli USA e il gas naturale ci costa cinque o sei volte tanto?  Chiaramente la nostra politica estera è chiamata ad affrontare questo tema che ci rimanda al come porci di fronte al tema Ucraina nel caso gli USA, come sta succedendo, si defilino lasciando alla sola Europa la gestione di questa guerra su commissione. Particolare enfasi è posta da Draghi alla rapida accelerazione della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica ed in particolare dello sviluppo dell’I.A. generativa le cui applicazioni pratiche in ambiti quali la sanità e l’istruzione sono di vasta portata.

La situazione è molto critica e richiede una riflessione seria sulla riduzione del rischio delle potenziali vulnerabilità.

La situazione italiana

Le preoccupazioni per il nostro paese non possono ignorare quanto è successo con il superbonus del 110%. Con l’obiettivo di ridurre la emissione di gas serra abbiamo speso, accertati finora, 150 miliardi di euro che hanno sì creato PIL, ma graveranno sui bilanci pubblici per i prossimi 5 anni. Ma investire nell’edilizia non ha comportato nessun effetto positivo sulla competitività del sistema, sono state costituite centinaia di imprese edili senza professionalità con dipendenti a tempo determinato o in nero, i prezzi sono esplosi “tanto poi paga lo stato” ponendo le basi per pressioni inflazionistiche. Nel mondo, come ricerca sull’I.A. siamo al 22esimo posto, abbiamo preferito l’edilizia, potevamo almeno produrre quei pannelli fotovoltaici che importiamo dalla Cina.

Nel 2023 l’ISTAT rileva un deficit del 7,2% e per il 2024 non si ampliano le risorse per investimenti ma, al contrario, queste vengono tagliate: il credito d’imposta per R&S e in investimenti in tecnologie avanzate fino al 2023 era concesso alle imprese nella misura del 10% della base imponibile, ma nel 2024 il credito è dimezzato tagliando anche i massimali di investimento e si è inoltre abolito il credito d’imposta potenziato per le attività di R&S nel mezzogiorno.

E come si cerca di arginare l’esondazione del deficit? I rinnovi dei contratti dei dipendenti pubblici sono al di sotto dell’inflazione, l’indicizzazione delle pensioni è parziale con tagli anche significativi su quelle medio-alte, ancora, gli effetti del deficit e dell’inflazione si riversano sui redditi di lavoro e simili.

La situazione italiana riflette quindi la situazione europea, e, a causa della fase recessiva della Germania e delle nuove regole della legge di bilancio, non possiamo essere ottimisti sul nostro futuro.