I SOCIALISTI E L’ECONOMIA

di Renato Costanzo Gatti

Socialismo XXI Lazio |

I dati positivi riportati da Nomisma per il 2023 relativamente all’economia italiana dovrebbero tuttavia approfondire quanto dell’aumento del PIL sia dovuto al superbonus che sta portando oneri al bilancio statale per oltre 200 miliardi di € e dovrebbe anche considerare che se l’occupazione aumenta in modo superiore all’aumento del PIL, allora non si può che concludere che l’incremento dell’occupazione, non generando PIL, è il risultato di una decrescente produttività, indice questo deludente da trent’anni a questa parte.

Più orientati alle future prospettive della nostra economia sono gli articoli seguenti apparsi sul numero di febbraio di Limes:

● Fabrizio Maronta – All’Italia serve l’industria, all’industria serve lo Stato;

● Giovanni La Torre – Il declino ce lo siamo scelto;

● Alessandro Aresu – Usciamo dal giorno della marmotta.

Indicherò alcuni indici, comparativi con quelli della Francia e della Germania, che dovrebbero farci pensare anche ai fini di un programma politico per i socialisti, non solo, ma soprattutto italiani.

INDICIITALIAGERMANIAFRANCIA
Fatto 100 il PIL del 2007, il PIL nel 2023 è95,6116,7117,6
Non abbiamo ancora recuperato il crollo del 2008   
Aumento della produttività dal 2000 al 20231%21%22%
In venti anni nessun progresso tecnologico   
Una delle cause il nanismo   
Imprese non finanziarie  (000)3.6402.8453.084
Imprese fino a 9 dipendenti (000)3.4492.0982.923
% sul totale94,7%73,7%94,7%
Imprese con più di 249 dipendenti (000)3,64710,7804,897
% sul totale0,10%0,38%0,15%
Valore aggiunto grandi imprese36,50%55,80%53,10%
Valore aggiunto piccole imprese25,20%17,80%13,50%
%uale dipendenti grandi imprese24,20%43,00%48,30%
%uale dipendenti piccole imprese42,50%18,90%23,10%
Nanismo vuol dire non investire in R&S   
% PIL in R&S1,35%3,02%2,19%
Altri indici   
Pressione fiscale42,90%42,10%48,00%
Costo orario in €29,139,540,8
Ore lavorate1.6941.3411.511
Frontiera tecnologica   
Numero aziende semiconduttori41358
Vendite in € (000)1.06315.251.126597.000
%uale0,0035%38,0000%2,0000%
    

L’analisi degli indici sopra riportati ci dà una idea del nostro paese come un paese in inesorabile declino, “un paese” come scrive Maronta che “viene da trent’anni di delocalizzazioni, dismissione della grande industria buttata a mare con l’acqua sporca di un Iri degradato a mangiatoia partitica, accaparramento di impianti e infrastrutture già pubblici da parte di capitalisti senza capitali desiderosi di rendite e refrattari all’investimento”; un paese che crede ancora che “competere con la Cina facendo i cinesi – o fingendo di essere ancora l’Italia povera e speranzosa degli anni 50 – sia una strada saggia o anche solo furba”; un paese dove la grande assente, da anni, è la politica industriale, lasciata ad una libera competizione di imprenditori mediocri.

Per quanto tempo potrà resistere la struttura industriale italiana stante il divario tecnologico tra noi e gli altri paesi, divario che tra l’altro, si prospetta in ulteriore espansione. Come scriveva Alessandro Pansa su Limes una decina di anni fa, il nostro paese “ha sviluppato – forse non del tutto inconsapevolmente, ma di sicuro molto attivamente – un processo di deindustrializzazione e disinvestimento, ostacolando ripetutamente la creazione di grandi imprese in settori strategici”, le cause di ciò vanno ricercate nella mancanza di una adeguata politica industriale, nel familismo del capitalismo nostrano ritroso a cedere il controllo delle loro creature, nella difficoltà ad agganciare lo sviluppo tecnologico. Sempre secondo Pansa l’Italia “non è riuscita ad internalizzare la microelettronica nei prodotti e nei servizi offerti dalle sue imprese. Dagli anni novanta in poi, mentre i concorrenti investivano nell’elettronica, l’ammontare di tecnologia contenuta nei prodotti italiani ha cominciato a calare. Questo paradigma ormai l’abbiamo perso e non possiamo fare nulla per ricuperarlo”.

Basta andare a rileggere le pagine di Mariana Mazzucato sull’indispensabile ruolo dello stato nell’innovazione tecnologica, un ruolo ineludibile se si vuole restare in corsa nella competizione produttiva dei nostri tempi, ruolo che consiste nella scelta di obiettivi strategici futuri realizzabili, nella programmazione dei passi necessari al raggiungimento di quegli obiettivi, nella capacità di unire nello sforzo nazionale imprenditori, capitali privati e forze sindacali coinvolti, ciascuno con le sue responsabilità, nel perseguimento di un obiettivo condiviso.

Ecco che allora, a mio parere, è sterile per un partito socialista porsi come obiettivo politico la redistribuzione del prodotto cercando di costruire un welfare state basato su un sistema produttivo declinante, mentre dovrebbe porsi come obiettivo primario il tema del sistema produttivo, una politica industriale che nella razionalità programmatoria sia in grado di assorbire e sviluppare il massimo di innovazione tecnologica, sviluppare in modo sistematico la formazione e la professionalizzazione degli operatori residenti e immigrati (benvenuti grazie al declino della nostra natalità), trattenere le intelligenze che oggi fuggono all’estero.

Le battaglie per il salario minimo, per l’abbassamento della pressione fiscale, il perseguire una competitività basata sul basso coto della mano d’opera, sono battaglie di retroguardia; ben altro dovrebbe essere l’obiettivo dei socialisti italiani ed europei in un mondo che vede il riposizionamento internazionale dei poli politici e dei paesi loro aderenti.