di Renato Costanzo Gatti
Socialismo XXI Lazio |
Ragioniamo senza pregiudizi
Un interessante articolo di Gabriele Guzzi (Limes 2/2024) ci invita ad un ragionamento, dopo una ventina di anni, sui risultati dell’adozione dell’euro come moneta unica da parte di molti paesi europei.
So che questo è un argomento quasi sacro ed indiscutibile, ma da esseri razionali, quali crediamo di essere, non dovrebbe essere sacrilego interrogarci su questa santità.
Sono note le preoccupazioni di molti governatori di Bankitalia (Baffi in primis) e di molti economisti (Caffè) sull’introduzione dell’euro, non come atto finale della realizzazione dell’unità europea, ma come atto acceleratore di un processo in essere. Possiamo dire che fu un atto volontaristico non supportato dal parere favorevole degli economisti.
Il Governatore Fazio, ad esempio, rimarcò che “non esistevano le condizioni, ben presenti nella teoria economica, per l’adozione di una moneta comune” (Fazio – Le conseguenze economiche dell’euro – Cantagalli).
Le preoccupazioni vertevano sul fatto che delle tre armi economiche utilizzabili dallo Stato per regolare gli effetti monetari, ovvero: gestione del cambio, determinazione del tasso di interesse e politica fiscale; i primi due erano persi dai singoli paesi e attribuiti ad autorità europee la cui legittimità democratica era tutta da dimostrare, avendo come risultante una moneta senza Stato, di uno Stato senza esercito e senza poteri di una redistribuzione federale.
C’era, e c’è, la palese contraddizione tra una moneta unica in presenza di stati in diversissime situazioni economico-finanziarie, senza prevedere quegli aggiustamenti presenti in un paese a conduzione federale, scaricando le contraddizioni sul singolo paese che dispone poi dell’unica arma fiscale per governarsi.
Con la moneta unica la nostra economia, abituata a correggere le parità con i “terremoti finanziari” che con la svalutazione ridavano respiro (precario) alle nostre esportazioni, fu irrigidita comportando, senza risultati concreti, ad un rarissimo fenomeno: un più che ventennale avanzo primario connesso ad un indebitamento che si avvia ai 3.000 miliardi di euro.
Riporto dall’articolo in commento:
“Nel complesso, quindi, l’euro ha favorito quei paesi che meglio si adeguavano all’impostazione ordo-liberale dei trattati. Uno studio del Central for European Policy di Friburgo ha provato a quantificare i benefici per le singole nazioni. La Germania e i Paesi Bassi avrebbero avuto un dividendo dall’euro rispettivamente di 1.893 e 346 miliardi di euro. L’Italia e la Francia avrebbero subito una perdita rispettivamente di 4.325 e 3.591” miliardi di €.
La fretta e la sordità (o il non considerare) ai pareri degli economisti, portarono i politici ad affrettarsi ad una decisione storica (e ritenuta liberatoria) che avrebbe potuto essere più ponderata. L’adesione all’euro non fu un errore degli economisti, come spesso si ritiene, ma fatto dai politici “per raggiungere una peraltro indefinita finalità politica su cui ormai è lecito avanzare forti e radicali perplessità”.
Cosa ci aspettavamo dalla moneta unica
● Il varo dell’euro auspicava il raggiungimento di diversi obiettivi tra cui: la promozione della crescita economica, la riduzione delle divergenze tra i vari paesi e una importanza internazionale in competizione con il dollaro.
Dopo una ventina di anni osserviamo che:
● l’Eurozona è cresciuta molto meno degli USA, è in notevole ritardo nei settori tecnologici (come ci ricorda Draghi nel suo recente intervento a La Hulpe); Andrea Bonanni su Repubblica del 17 aprile così introduce il suo commento sul discorso di Draghi “L’Europa non sta perdendo la sfida economica con le altre potenze globali, Cina e Stati Uniti. L’ha già persa, a causa della propria frammentazione”.
● La divergenza all’interno dell’Eurozona è aumentata; l’Italia è passata da competitrice con l’industria tedesca a subfornitore di quella economia, senza che l’economia tedesca accettasse di aumentare la domanda interna per rendere meno pesante la sua posizione di esportatrice cronicamente mercantilista.
● L’euro, tranne alcune sporadiche proposte dei paesi arabi esportatori di petrolio che lo indicavano come moneta alternativa al dollaro, è oggi molto marginalizzato con la crescita dei paesi BRICS che ormai coinvolgono un terzo della popolazione mondiale ed un quarto dei traffici internazionali. L’euro non ha una potenza militare, non ha un mercato unico dei capitali (vedasi ancora il discorso di Draghi), non ha una unione bancaria, tutti elementi che ne fanno una moneta non competitiva con il dollaro o con la nascente moneta dei BRICS.
E’ lecito chiedersi se la scelta fatta venticinque anni fa abbia mantenuto le sue promesse? E quali soluzioni o proposte possono essere avanzate?
Che fare?
Nelle sue conclusioni Gabriele Guzzi prospetta quattro possibili percorsi per pensare ad un nuovo disegno per l’euro:
1 – Unione fiscale e monetaria, ovvero, praticamente, unificare la politica monetaria e fiscale di tutti i paesi in una unica gestione europea, rendere cioè europeo il nostro debito così come quello di tutti gli altri paesi aderenti all’euro. Opzione quasi impossibile perché non tutti i paesi della UE hanno adottato l’euro come moneta.
2 – Adottare una soluzione tipo il “bancor” proposto da Keynes a Bretton Woods (ma uscendone perdente). Il “bancor” è una moneta non in circolazione perché tutti i paesi mantengono la loro moneta, ma hanno con il bancor un cambio fisso. Tale moneta è usata per i pagamenti tra i paesi partecipanti e il gestore ogni anno rivede i comportamenti di ciascun paese aderente e può dietro a imposizioni, cui i destinatari devono attenersi, rivedere la fissità del cambio; le imposizioni non sono comminate solo a chi ha bilanci con troppe importazioni ma anche a quei paesi che eccedono nelle esportazioni.
3 – Uscita dell’Italia dall’euro, proposta che, stante il nostro debito, sarebbe più che altro un suicidio.
4 – Lasciare le cose come stanno condannando il nostro paese ad un declino economico che, collegato con il declino demografico e culturale, ci porterà all’irrilevanza.
Personalmente condivido la proposta numero 2 ma ciò come risposta economica, conscio che, aggiungere questo tema ai vagiti di una Europa in decisa crisi identitaria, non farebbe che aggravare la crisi.
Ma una presa di coscienza è comunque doverosa.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.