LA VOLONTA’ GENERALE DI ROUSSEAU

di Renato Costanzo Gatti

Socialismo XXI Lazio |

Sulla Repubblica del 28 aprile Maurizio Molinari riporta uno scritto di Isaiah Berlin in cui si legge:

“il più sinistro e formidabile nemico della libertà in tutta la storia del pensiero moderno” è Jean Jaques Rousseau perché è stato lui a creare gli strumenti filosofici essenziali alla tirannia contemporanea giustificando l’idea di un rapporto diretto tra il leader ed il popolo che si contrappone in maniera netta al pensiero di Montesquieu sull’equilibrio fra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario su cui sono fondate le democrazie contemporanee.

Per quanto io conosca il pensiero di Rousseau ritengo di non concordare con quanto affermato da Berlin nel testo di Molinari.

Se infatti il pensiero di Rousseau ha una componente tanto indefinita quanto metafisica costituita dal concetto di “volontà generale”, ciò non permette di dedurne “un rapporto diretto tra il leader ed il popolo” fonte delle forme più deteriori del populismo se non di tirannia. Rousseau, nel suo “Contratto sociale” parte da una premessa, ovvero che nello stato naturale della società i popoli erano liberi ed uguali, ma sono stati rovinati dallo sviluppo delle scienze e delle arti, presentandosi oggi come una situazione in cui dominano disuguaglianza e ingiustizia. Per superare questo stadio ed in particolare per poter superare le disuguaglianze di proprietà e di diritti, attualmente caratterizzanti le società odierne, si rende necessaria una alienazione totale a favore di un’entità superiore di cui gli individui sono soci. In tal modo tutti i cittadini difendendo la comunione difendono sè stessi e difendendo sé stessi difendono, di riflesso, la comunione. Sparisce in tal modo ogni ingiustizia e ogni disuguaglianza tra i cittadini.

Lo stato nasce attraverso un contratto per cui ciascuno rinuncia alla libertà illimitata della condizione di natura, non però per consegnarsi nelle mani di un sovrano, non sottoscrivono cioè un pactum subiectionis bensì ricevono da ogni altro membro della comunità la stessa rinuncia: questa alienazione dà origine ad una persona sociale, il sovrano, la cui volontà è la volontà generale.

Scrive Rousseau nel capitolo sesto del libro primo del Contratto sociale:

Queste clausole, beninteso, si riducono tutte ad una sola, cioè all’alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità: infatti, in primo luogo, dando ognuno tutto sé stesso, la condizione è uguale per tutti, e la condizione essendo uguale per tutti, nessuno ha interesse a renderla gravosa per gli altri”.

Il potere sovrano viene esercitato dall’assemblea di tutti i membri della comunità riuniti insieme: ogni legge che viene espressa dalla volontà generale ha per oggetto il bene generale della comunità. Il potere sovrano è inalienabile: non può essere esercitato da un rappresentante eletto per legiferare in nome dell’assemblea.

Esecutivo, legislativo e giudiziario sono indivisibili essendo una emanazione del potere sovrano della volontà generale. Su questa non-separazione dei poteri Berlin ha ragione, ma ha assolutamente torto a sostenere un rapporto diretto tra leader e popolo ovvero un rapporto personalistico populistico, autocratico se non tirannico. Vi leggerei invece una vocazione ad un comunismo pre-scientifico, derivante dall’alienazione totale di ciascun associato, coniugato con elementi di democrazia diretta costituita dalla gestione del potere sovrano da parte dell’assemblea di tutti i membri della comunità.

L’utopia russoviana nasce, a mio parere, da una concezione metafisica della volontà generale e dalla forzata indifferenza tra il possesso personale del particolare e il possesso associato del globale.