di Renato Costanzo Gatti
Socialismo XXI Lazio |
Da Wikipedia:
Fiducia
Nell’ordinamento italiano, la cui forma di governo è definita “parlamentare a debole razionalizzazione”, l’esistenza di un determinato esecutivo è strettamente vincolata all’ottenimento della fiducia da parte del Parlamento della Repubblica, unico organo titolare del potere legislativo e legittimato dal mandato popolare, espresso attraverso libere elezioni.
In seguito alla nomina ricevuta dal Presidente della Repubblica, il nuovo Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana è tenuto a chiedere a ciascuna delle due camere (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica) la fiducia: all’approvazione della mozione di fiducia è legato lo stesso ingresso del Governo nei suoi pieni poteri.
Il meccanismo del voto di fiducia è sancito dall’art. 94 della Costituzione. Entro dieci giorni dalla sua formazione, il Governo deve presentarsi alle Camere per il voto di fiducia, che viene espresso tramite mozione motivata e votata per appello nominale. Queste ultime due disposizioni hanno un preciso scopo: quello di creare una stabile maggioranza politica. L’obbligo di motivare la mozione fa sì che i vari gruppi si impegnino, se favorevoli, a sostenere il Governo in modo stabile. La votazione a scrutinio palese serve a far sì che i vari parlamentari si assumano la responsabilità politica personale di sostenere il Governo.[4]
Premio di maggioranza
A seconda delle peculiarità dei sistemi elettorali che prevedono il premio di maggioranza, questo può essere attribuito alla lista o coalizione vincente in tutti i casi oppure soltanto al verificarsi di certe condizioni, quali ad esempio il raggiungimento di una certa percentuale di voti. Una clausola siffatta ha lo scopo di mitigare la distorsione della volontà degli elettori insita nell’attribuzione del premio.
Sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale
Nel vigente sistema elettorale proporzionale, il premio di maggioranza, (…), secondo la Corte, “è foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi. In tal modo si può verificare in concreto una distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto”.
Questo meccanismo, che si aggiunge alle previsioni in materia di soglie per l’accesso al sistema proporzionale di attribuzione dei seggi, pur finalizzato al “legittimo obiettivo di favorire la formazione di stabili maggioranze parlamentari e quindi di stabili governi” non solo compromette, ma addirittura, secondo la Corte, rovescia “la ratio della formula elettorale prescelta dallo stesso legislatore del 2005, che è quella di assicurare la rappresentatività dell’assemblea parlamentare”. L’effetto che ne deriva è quello di “una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare,secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”. Questo effetto è incompatibile non solo con l’art. 1 Cost., ma anche con l’art. 67 Cost. che configura le Camere come “sedi esclusive della rappresentanza parlamentare” titolari di funzioni esclusivamente proprie, tra cui quella di revisione costituzionale.
In queste valutazioni la Corte inserisce la dirimente constatazione dell’assenza nella vigente legge elettorale di “una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio”: questa mancanza determina “un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto” stabilito dall’art. 48, secondo comma, Cost.. Infatti, nei sistemi proporzionali, gli elettori hanno “la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del “peso” del voto “in uscita”, ai fini dell’attribuzione dei seggi, che non sia necessaria ad evitare un pregiudizio per la funzionalità dell’organo parlamentare”. (…)
In definitiva, secondo la Corte costituzionale, il legislatore nel perseguire discrezionalmente l’obiettivo di rilievo costituzionale della stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali in ambito parlamentare deve rispettare il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, quali la sovranità popolare, l’uguaglianza anche del voto, la rappresentanza politica nazionale.
Dalla analisi dei testi sopra ricordati possiamo trarre queste implicite indicazioni:
● La vita del governo dipende dalla volontà delle Camere;
● Il premio di maggioranza nasce all’interno del meccanismo di elezione dei parlamentari;
● La stabilità e l’efficienza dell’esecutivo deve rispettare il vincolo del minor sacrificio della sovranità popolare, dell’eguaglianza del voto e della rappresentanza politica nazionale.
Esaminiamo allora la proposta di revisione costituzionale alla luce di queste indicazioni, avendo altresì presente che le variazioni della Costituzione scritta pretendono l’osservanza dei principi, anche non scritti, insiti nella cultura e nello spirito costituzionale.
Con la proposta di revisione della Costituzione viene a cadere la prima indicazione secondo cui “vita del governo dipende dalla volontà delle Camere” rovesciata nel suo contrario per cui è “la vita delle Camere che dipende dalla volontà del governo”. Questo per due ragioni:
a – secondo la nuova Costituzione la legge elettorale dovrebbe “assegnare un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del consiglio”; ecco che allora la maggioranza nella Camere è strumentale al supporto dell’esecutivo decretandone la subalternità;
b – sempre secondo la nuova Costituzione la sfiducia al presidente del consiglio eletto comporta lo scioglimento delle Camere, scioglimento che il Presidente della Repubblica deve eseguire senza alternative. Nel concreto l’eventuale dissenso della sovranità popolare, rappresentata dai suoi organi eletti, porta allo scioglimento delle Camere e all’azzeramento della sovranità popolare.
La seconda indicazione secondo la quale “Il premio di maggioranza nasce all’interno del meccanismo di elezione dei parlamentari” è stravolto in modo inconcepibile; infatti il premio di maggioranza non viene determinato con meccanismi che partono dalle risultanze del voto espresso dagli elettori di Camera e Senato ma viene determinato dalle risultanze del contestuale voto per l’elezione del presidente del consiglio. La cosa è assurda se si consideri che un partito o una coalizione che alle camere prende ad esempio il 10% dei voti ma che avendo presentato un candidato alla presidenza del consiglio di indubbia fama e affidabilità e che quindi risulti essere il presidente del consiglio eletto, ebbene quel partito o coalizione in infima minoranza nelle preferenze degli elettori passerà dal 10% alla maggioranza dei seggi in entrambe le camere. E la maggioranza potrà essere relativa, assoluta o qualificata. Ciò dipenderà dalla legge elettorale approvata perfettamente in linea col dettato costituzionale.
Il fatto che l’espressione di voto per una carica (il presidente del consiglio) stravolga il risultato elettorale di altre istituzioni costituzionali (Camera e Senato) è una ipotesi inaccettabile ma è quanto questa riforma costituzionale ci propone. Va notato che nei paesi dove esiste un rafforzamento dell’esecutivo rispetto alle Camere (Francia e USA ad esempio) l’elezione del “capo” non è mai contestuale all’elezione delle Camere, e ciò per evitare che la contemporaneità delle due espressioni di voto possa essere un danno all’equilibrio dei poteri, equilibrio che la proposta meloniana mette in seria difficoltà se si pensa alle nuove sacrificate capacità di equilibrio rappresentate dal Presidente della Repubblica e delle Camere.
Posto che questa riforma tenda a garantire stabilità all’esecutivo rafforzandone l’efficienza ( siamo passati alla terza indicazione), mi pare che questo obiettivo sia ottenuto sacrificando la sovranità popolare, l’eguaglianza del voto e della rappresentanza politica.
Il meccanismo proposto dalla riforma meloniana si può configurare con due differenti situazioni:
a – ad ogni crisi della maggioranza la presidente eletta ricatta la sua coalizione con l’alternativa o mi voti o si va tutti a casa sciogliendo le Camere. In tal caso l’autoritarismo delle democrature si va consolidando snaturando la democraticità del nostro paese.
b – nel caso in cui la maggioranza in crisi non riesca a ricomporsi, avremo questa situazione assurda: oggi i governi durano mediamente un paio di anni nel corso della legislatura, domani il governo durerà per tutta la legislatura, quest’ultima però durerà in media due anni.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.