di Renato Costanzo Gatti

Socialismo XXI Lazio |

Scrive Aldo Potenza in un suo recente intervento: “La globalizzazione che ha permesso alle imprese di indebolire la classe operaia con la minaccia, più volte attuata, del trasferimento all’estero delle attività produttive”.

Questa affermazione, che trova riscontro nel reale, specialmente nel nostro paese, pecca, a mio modo di vedere, nell’individuare il punto critico, l’errore, il motivo principe del fenomeno. Aldo indica nel “colpevole” la globalizzazione, io, invece, sposterei il mio bersaglio sulla immaturità e scarsa capacità imprenditoriale (penso naturalmente all’imprenditore schumpeteriano) del nostro capitalismo.

La globalizzazione conosce varie fasi; da quella arcaica, tradottasi in un colonialismo imperialistico, a quella del periodo dei due blocchi mondiali USA e URSS, per sfociare poi ad una gestione unica egemonizzata, dalla fine della guerra fredda, dagli USA; al declino di questa egemonia e quindi alla fase attuale in cui gli equilibri internazionali sono in decisa ridefinizione.

Da un punto di vista economico la globalizzazione comporta un incremento degli scambi economici allargando la partecipazione di questi scambi a tutti i paesi, in particolare a quelli in via di sviluppo e a quelli sotto sviluppati; ricordo i risultati politici della gestione di questa fase dal GATT all’OMC culminati con l’ingresso della Cina nel WTO. Un vecchio detto di Bastiat recita che dove circolano le merci non circolano i soldati, e se guardiamo nel mondo dal dopoguerra a oggi, il mondo (purtroppo non tutto) ha conosciuto un periodo di tre generazioni dove i cittadini non hanno conosciuto la guerra ed i suoi terrori.

Certo in questa redistribuzione a livello mondiale della produzione è indubbio che le differenze di tenori di vita, meglio la differenza dei salari comporta quanto scrive Aldo, ma è indubbio che la perdita di competitività del nostro paese dipende dalla scelta fatta dalle nostre imprese a non ricercare nell’aumento di produttività l’arma per vincere la concorrenza, ma a ricercare invece di puntare sui bassi salari, scelta inconcepibile visto il livello salariale dei paesi nuovi apparsi sul mercato mondiale e considerato il fatto che, dopo l’adesione all’euro, abbiamo perso lo strumento della svalutazione della lira. Aggiungo che oltre alla perdita di posti di lavoro dovuti alle delocalizzazioni, osserviamo in Italia il fatto preoccupante per cui i fondi che investiamo nell’istruzione con soldi provenienti dalle nostri imposte, producono intelligenze e competenze che regaliamo ai paesi verso i quali, attratti dagli alti salari, fuggono i nostri laureati.

E’ dovuto intervenire il ministro Calenda per cercare di spostare le scelte produttive verso una maggior produttività REGALANDO detassazioni e/o bonus a fondo perduto a chi investisse in innovazione tecnologica: in poche parole si regalano i soldi dei contribuenti (lavoratori e pensionati) a chi non è capace di fare il suo mestiere invogliandolo con i bonus a fare ciò che ci si aspetterebbe che un imprenditore facesse. Quei soldi sono stati regalati con una modalità virtuosa nel senso che non sono regali a pioggia senza un corrispettivo comportamento auspicato, ma solo a fronte di effettiva aumentata capacità produttiva tecnologica, ma quei soldi, essendo dei contribuenti, potevano a mio parere essere dati, come succede nella norma, come PARTECIPAZIONI di un fondo che entrasse nella gestione dell’impresa agevolata.

La scelta di competere con i bassi salari pone il nostro sistema produttivo in seria difficoltà in un periodo in cui le innovazioni tecnologiche si impongono come il fattore decisivo nel presente e nel prossimo futuro. Penso ai computer quantistici e soprattutto all’intelligenza artificiale (I.A) che stanno rivoluzionando il modo di produzione, con la conseguente rivoluzione sui rapporti tra le classi sociali. La miopia della nostra classe imprenditoriale si traduce in una critica alla tanto decantata iniziativa privata. Il cui massimo esempio è rappresentato dalla Fiat, per anni campione indiscusso, vezzeggiato e foraggiato (si pensi alla rete autostradale) che è scomparsa dal nostro paese lasciando un deserto sterile.

Parlavo di intelligenza artificiale, ebbene attualmente gli investimenti in I.A. sono di 130 miliardi di dollari, ebbene 100 miliardi sono investiti in USA e Cina e solo i restanti 30 sono investiti dal resto del mondo. Ciò ci deve far capire qual è la strada da imboccare. E con ciò intendo una iniziativa europea che costruisca il CERN dell’I.A.; su questa strada mi pare ci inviti Draghi che nel suo rapporto sulla competitività europea indica come necessario un investimento di 500 miliardi di € all’anno per prospettare un futuro europeo in presenza dei concorrenti USA e Cina.

Certo che la globalizzazione cui guardiamo e che purtroppo si sta polarizzando (vedi la nascita dei BRICS) non guarda né alla globalizzazione delle multinazionali statunitensi né a quella del modello cinese; deve tendere cioè ad un modello più solidale, comprensivo, ibridizzante. Ma questo è un discorso troppo enorme da essere neppur abbozzato in questa sede.