di Renato Costanzo Gatti

Socialismo XXI Lazio |

Lucio Caracciolo dalle pagine della Repubblica ci parla della ferita al cuore della Russia e ci aiuta a orientarci nella complessa situazione della guerra russo/ucraina.

Riporto alcune frasi scritte dal direttore di Limes e aggiungo mie considerazioni personali che amerei condividere con chi mi legge.

Il primo punto è la situazione di Putin “per cogliere l’effetto dell’incursione ucraina in Russia c’è un solo indicatore vero: la faccia di Putin. (…) molte delle teste sedute intorno al suo tavolo salteranno. L’alternativa oggi assai improbabile è che salti la sua”. Putin quindi eclissato dalla sua operazione speciale che sta colpendo a fondo il clima politico russo da quando il paese invasore è diventato, a sua volta, un paese invaso. Cede la logica paese invasore/paese invaso, ma crolla con essa il mito di Putin. Con la consapevolezza che chi gli succedesse potrebbe essere peggio di lui.

Il secondo punto riguarda Zelensky la cui poltrona potrebbe saltare “se l’avanzata volgesse in rotta con il sacrificio delle migliori tra le truppe ancora a disposizione per non crollare nel Donbass”. Ora è giusto e corretto che Zelensky voglia (o debba) difendere il suo paese invaso, senza dimenticare ciò che è successo nel 2014 né quello che è successo con l’invasione pacifica della NATO nei primi anni 2000 con Clinton. La difesa scelta da Zelensky è stata quella di affidarsi, utilizzandoli, ai paesi occidentali chiedendo loro armi più armi più armi. La scelta di affidarsi alla solidarietà dei paesi occidentali è stata finalizzata alla “vittoria” senza definire ciò che questa vittoria significasse. Facile temere che escalation dopo escalation il livello dello scontro si avvicinasse, giorno dopo giorno, alla terza world war, prospettando che ad un certo livello lo scontro (specie se la Russia si trovasse, come si trova, in difficoltà) portasse all’uso dell’arsenale atomico. La miopia strumentale di Zelensky associata al tentennante comportamento degli USA (i famosi 60 miliardi bloccati per mesi) ed alla nullità della posizione europea sta rischiando di rendere sempre più vicina uno scontro catastrofico.

Il terzo punto. “Ed è su questo che conviene orientarsi. Vale specialmente per noi italiani e per gli altri europei finora (auto)esclusi da qualsiasi ruolo politico, ridotti a fornitori di armi su cui non abbiamo controllo” dobbiamo pensare al dopo, alla ricostruzione del paese distrutto, al suo ingresso nell’Europa “ottenuto in deroga alle regole di ingaggio opposte da Bruxelles agli aspiranti consoci. (…) I costi dell’ammissione di Kiev sono insostenibili per l’UE nella configurazione geopolitica-finanziaria vigente. Il tasso di solidarietà con le vittime dell’Orso è e sarà in calo fisiologico.” Un’idea di come comportarci dopo il conflitto, di quale posizione cui puntare per non subire le decisioni altrui sembra il minimo che possiamo aspettarci dai nostri politici nazionali ed europei.

Come quarto punto la NATO. “Kiev pretende una garanzia di sicurezza da Washington e alleati. L’esperienza di questi anni con americani, britannici e altri nordici che a parole spingevano gli ingenui leaders ucraini verso la Nato mentre nei fatti precostituivano l’impossibilità di ammettervela scoprendo all’uopo l’informalità delle istituzioni e la precarietà della locale democrazia, non promette bene”. Gli USA sono orientati al fronte pacifico e tendono ad orientalizzare la NATO lasciando agli europei il cavarsela in questa situazione.

Infine, la possibile soluzione. “Il compromesso territoriale è fattibile. Al netto delle aree russe oggi penetrate dall’incursione ucraina, l’attuale linea del fronte lascia infatti alla Russia spazi abitati quasi interamente da russi, filorussi o opportunisti. All’Ucraina una geografia umana meno disomogenea di prima. (…) Ciò di cui i dirigenti ucraini sono da tempo coscienti e di cui trattano con gli interlocutori amici e/o rilevanti, ma evitano di esporre in pubblico. (…) Il punto critico è lo status dell’Ucraina ridotta forse di un quinto del territorio e di metà degli abitanti che aveva nel 1991 (da 51 milioni a 25)”. Se la soluzione è questa, realisticamente perseguibile non rimane che trovare che prende l’iniziativa diplomatica uscendo da quella sterile posizione tra occupante ed occupato (oggi forse meglio vedere come occupante/a sua volta occupato) ed agire nella cogente finalità di disinnescare il processo delle escalations. Ma l’Europa, e non solo lei, è rassegnata e inoperante dando “per scontato che dopo le elezioni americane si tratterà sul serio, forse sopravvalutando l’impegno e la capacità di Trump o di Harris”. Ancora una volta una Europa egemonizzata e marginalizzata.