di Renato Costanzo Gatti

Socialismo XXI Lazio |

Fermandomi un attimo a riflettere su cosa significhi oggi essere di sinistra, temo di poter giungere alla conclusione che la sinistra è un vero partito conservatore.

Conservatore perché, messa alle corde dalla situazione attuale, la sinistra non sa che porsi come difensore delle conquiste fatte dalla sinistra nel passato senza alcuna proposta costruttiva per il futuro.

La sinistra negli anni del secondo dopoguerra si è posta come la grande innovatrice sul fronte costituzionale ed economico, ponendosi come vero soggetto “rivoluzionario”,  ovvero come vera portatrice di valori innovativi, di costruttrice di una nuova società solidale che nulla aveva a che fare con il classismo borghese del passato e soprattutto completamente diversa dalla visione sociale del fascismo.

La grande positività della sinistra nel secondo dopoguerra è stata la capacità di schierarsi dalla parte della creatività della libertà anche in opposizione ai limiti di un bolscevismo vittima di una logica del potere incapace di perseguire la creatività dell’esplosione della libertà delle classi oppresse.

La scrittura della costituzione ha disegnato la percorribilità di una società socialista all’interno delle libertà democratiche, la costruzione di uno stato sociale ha costituito la realizzazione della visione gramsciana dell’eguaglianza, basata sulla trasformazione delle classi subalterne in soggetti consapevoli delle responsabilità di chi deve assumersi la capacità di governare nel concreto il cammino di un popolo.

L’assunzione della responsabilità di combattere il fascismo come premessa comune a tutte le forze alla costruzione di una concreta democrazia sostanziale e non formale. L’appello a tutte le coscienze responsabili a collaborare alla costruzione di una egemonia che svilisse la gretta mentalità borghese subalterna al profitto, ha fatto nascere in molti di noi il dovere di porsi come protagonista di una lenta, inesorabile, razionale, graduale, inarrestabile costruzione di un mondo più umano.

Ero direttore amministrativo di una multinazionale statunitense con possibilità di carriera trasferendomi negli USA, non avevo problemi nell’immaginare un mio percorso nel futuro per la vita della mia famiglia. Eppure l’ingenua, oggi giudicabile come irresponsabile, mia pulsione per la costruzione dal basso di una società nuova, mi portò a dare le dimissioni per entrare nel movimento cooperativo. Non rinnego la mia scelta, ma constato che non è servita a nulla.

La rinascita delle borgate romane che, grazie a Petroselli, da inabitabile rifugio di centinaia di migliaia di persone furono portate ad essere vivibili agglomerati di esseri umani, furono il segno di quanto fosse difficile lavorare per realizzare i progetti della sinistra ma di quanto fosse possibile farlo sull’onda di una comune visione di costruzione di civiltà.

C’era nelle discussioni in sezione, nell’incontro tra famiglie di diversa provenienza, nel confronto tra “intellettuali” e strati di popolazione più “incolta”, un vero processo di costruzione congiunta, dell’uno che sentiva il bisogno dell’apporto dell’altro e viceversa, fino a giungere ad una scelta comune. Un processo dalla base, dal basso che preludeva ad un cammino comune per la creazione di una democrazia sostanziale, di un superamento di un secolare classismo razziale.

Negli anni questo percorso si è sfaldato. E’ scomparsa ogni idea di un obiettivo da raggiungere se non quello di votare a sinistra (per fare che?) lasciando spazio all’indifferenza sfociata nel non voto, che oggi non è un non voto di ex compagni ma è un non voto di veri e genuini indifferenti.

Non abbiamo più quel minimo di progettualità rappresentato persino da quei governi Prodi. Siamo ridotti a difendere l’esistente attaccato da una destra risorgente non solo a livello locale o nazionale, ma mondiale.

Ci battiamo per portare la spesa per la sanità dal 6,3 al 7,2 del PIL, ci battiamo per un salario minimo di 9 euro l’ora, ci diamo da fare per organizzare un referendum contro il premierato, un altro referendum per abrogare l’autonomia differenziata, un altro ancora per lo jus scholae.

Assistiamo inerti allo stravolgimento della fiscalità, alla violazione di ogni principio di progressività dell’imposta, al furto perpetrato ai danni del lavoro dipendente e dei pensionati. Argomenti forti utilizzabili contro lo sfruttamento dei ceti bassi e medi vengono ignorati anche se violano palesemente la costituzione ed il principio marginalista della progressività. Ci accodiamo supinamente alla concezione del messaggio di “meno tasse per tutti” incapaci di un sussulto morale alla Padoa Schioppa.

Non abbiamo una visione per il futuro, se non cercare, da buoni conservatori, di difendere da posizioni obiettivamente soggiacenti, quella parvenza di democrazia che avevamo cercato di creare. Ci limitiamo a difenderci dalle manovre fascisteggianti di una destra che ha il chiaro progetto di abbattere la divisione dei poteri ed arrivare ad un esecutivo assoluto padrone.

Noi ci opponiamo alla soluzione albanese del problema immigratorio, ma non abbiamo una proposta alternativa; ci opponiamo al “piano Mattei”, perché non sappiamo in che consista, ma non abbiamo alcun piano alternativo; ci opponiamo al premierato ma non abbiamo una proposta per rimediare ad un bolso sistema di funzionamento delle istituzioni; ci opponiamo ma non abbiamo proposte alternative, non abbiamo creatività. Anche se ci rivolgiamo al socialismo non abbiamo la minima idea di cosa sia questo socialismo, in che cosa si concretizzi, quali obiettivi si ponga.   

Eppure ci sono temi enormi di fronte a noi: la subalternità dell’Europa agli USA, la debolezza europea nel campo della rivoluzione tecnologica condotta da USA e Cina, la lenta agonia di una Europa incapace di disegnarsi uno ruolo nella polarizzazione del mondo.

 Eppure Draghi ci pone il tema con disarmante concretezza; siamo di fronte all’agonia dell’Europa.  Forse un obiettivo, magari anche solo quello della sopravvivenza, ce l’avremmo. Ma il silenzio è tombale.