IL CENTRO-SINISTRA E L’UNIFICAZIONE: TERMINI NUOVI NEL LINGUAGGIO DELLA POLITICA ESTERA SOCIALISTA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae
DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica

CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI

(ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI

La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969

M-STO/04
Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045

ANNO ACCADEMICO 2012-2013

 

CAPITOLO SECONDO

2.1 Il Centro-sinistra e l’unificazione: termini nuovi nel linguaggio della politica estera socialista

All’inizio degli anni Sessanta la situazione internazionale appariva molto complessa. La divisione del mondo in due blocchi contrapposti guidati dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica condizionava le scelte e le decisioni dei Paesi alleati. Kennedy e Kruscev si presentavano come i protagonisti indiscussi della scena mondiale, attenti alle nuove dinamiche internazionali ed ai cambiamenti ad esse connessi. I due leader mondiali, preoccupati di mantenere lo status quo ed il potere all’interno della propria sfera di influenza, avevano il compito di controllare e valutare che ogni possibile cambiamento interno ai singoli Stati non mutasse tale assetto. La profonda attenzione mostrata dall’amministrazione Kennedy riguardo le trasformazioni che stavano avvenendo all’interno della politica italiana era la testimonianza lampante di tale aspetto.

Fu, quindi, in tale contesto internazionale che, in Italia, all’inizio degli anni Sessanta si stava preparando l’incontro tra la Democrazia cristiana ed il Partito socialista italiano. Questo evento, considerato di portata storica non solo in Italia, metteva in moto meccanismi nuovi che provocavano molti timori ed  incertezze anche in seno al Dipartimento di Stato americano.  Fu solo grazie al rilevante aiuto   di alcuni membri dell’amministrazione Kennedy e di uomini vicini al Presidente come Arthur Schlesinger, Richard Gardner, Averell Harriman, Arthur Goldberg ed i sindacalisti Victor e Walter Reuther che si riuscì a sbloccare la delicata situazione. I rappresentanti del presidente Kennedy, infatti, attraverso incontri e colloqui con esponenti democristiani e socialisti incoraggiarono e resero possibile questo incontro103. Tale impegno fu favorito, inoltre, dalla pubblicazione nel gennaio del 1962 di un articolo di Pietro Nenni sulla rivista americana “Foreign Affairs” nel  quale si ribadiva la validità dell’Alleanza atlantica, questione che più di altre suscitava paure ed incertezze tra gli oppositori americani104. Le nuove dinamiche internazionali contribuirono, quindi, in maniera considerevole a promuovere il dialogo tra i due partiti italiani fino al definitivo approdo del Psi al governo.

La formazione dei primi governi di centro-sinistra fu, dunque, condizionata ed influenzata dal clima internazionale nel quale si trovò costretta ad operare.

Nel lungo ed approfondito dibattito che precedette l’ingresso del Psi nella “stanza dei bottoni”, la politica estera rappresentò, dunque, una delle questioni più complesse e spinose che i socialisti dovettero affrontare105. Durante le trattative furono frequenti i contatti ed i colloqui che avvennero tra il leader del Psi, Pietro Nenni ed il leader della Dc, Aldo Moro durante i quali si affrontò anche tale questione. Significativa a tal proposito è una lettera scritta da Nenni in seguito ad un incontro avvenuto con Moro nel maggio del 1963 nella quale,  nella parte relativa  alla politica estera, si possono individuare i principali punti del programma dei socialisti in questo campo.

“Il Psi non rimette in questione l’adesione italiana alla NATO e gli obblighi che ne derivano. Ma insiste perché tali obblighi conservino carattere strettamente difensivo e non siano estesi a zone non contemplate da Patto Atlantico.

Ciò che il Psi attende da un governo che voglia l’appoggio socialista è una intensificazione di sforzi e di iniziative per il disarmo equilibrato e controllato; per la proibizione di nuove esperienze nucleari; per la interdizione del possesso e dell’uso delle armi nucleari ad altri paesi, e specialmente alla Germania; per la creazione di una zona europea denuclearizzata che non alteri l’attuale equilibrio delle forze”.

Nella prima parte della lettera, Nenni assicurava l’adesione del Partito socialista italiano alla NATO e agli obblighi che ne derivavano insistendo e ribadendo, però, che tali obblighi avrebbero dovuto conservare il carattere strettamente difensivo e geograficamente delimitato. La conferma da parte socialista dell’accettazione del Patto atlantico rassicurò gli esponenti dei partiti della maggioranza: repubblicani, socialdemocratici e naturalmente democristiani che la ponevano come condizione irrinunciabile in politica estera.  Nenni  affermava, inoltre, la volontà di impegnarsi per la distensione necessaria per non incrinare l’equilibrio politico delle forze. Proseguendo nella lettera Nenni affrontò uno dei  temi considerati tra i più importanti nel disegno della politica estera  socialista:  quello dell’Europa.

“Un terreno d’azione in cui l’iniziativa italiana va rafforzata è quello della  politica di unità europea, con una ferma opposizione contro i fautori di direttori autoritari e militari; sollecitando l’integrazione della Gran Bretagna e dei Paesi Scandinavi nelle organizzazioni comunitarie; di queste promuovendo la democratizzazione ed il controllo secondo direttive di pianificazione a scala continentale; dando nuovo impulso al problema della creazione di un Parlamento europeo eletto a suffragio universale” 106.

Nenni individuava, quindi, nella politica europeista uno degli obiettivi fondamentali per la politica internazionale del governo consapevole che tale tema, a differenza di altri, non avrebbe trovato molti oppositori al governo ma anche nello stesso partito. In questa lettera Nenni esponeva, dunque, in modo chiaro le linee del programma che il partito socialista avrebbe cercato di perseguire in politica internazionale una volta approdato al governo, questione ancora aperta  all’interno del partito.

L’eventualità della formazione di un governo con la diretta partecipazione socialista accresceva, infatti, le tensioni interne al partito presenti non solo fra la maggioranza autonomista raccolta intorno alle posizioni di Pietro Nenni e la minoranza di sinistra rappresentata da Tullio Vecchietti e Lelio Basso ma anche all’interno della stessa corrente autonomista, nella quale Lombardi ed altri dirigenti vicini a lui si discostavano dalle tesi espresse da Nenni e De Martino.  Nel  giugno  del 1963 questa tensione esplose intorno al testo politico programmatico presentato dalla Dc a Nenni.

Il documento, che trovò la ferma opposizione della sinistra, fu, invece, discusso in modo approfondito dalla maggioranza autonomista in una riunione svoltasi  nella notte fra il 16 ed il 17 giugno del 1963,  nota come “la notte  di San Gregorio”, durante la quale la formazione autonomista, non trovandosi concorde su alcuni aspetti del testo programmatico giunse inevitabilmente ad una spaccatura107. Lombardi, Giolitti, Codignola, Zagari, Santi e Jacometti ritenendo, infatti, insufficiente l’elaborazione di alcuni punti del programma della Dc considerati da costoro fondamentali, non accettarono la proposta di votare per l’astensione sulla fiducia al nuovo governo. I dirigenti ritenevano,infatti, che argomenti come quelli riguardanti la scuola, la legge urbanistica, la politica di piano erano stati affrontati in modo incompleto e sintetico ed anche in politica estera si richiedevano chiare scelte, giudicando troppo generica la formula della disponibilità alla distensione espressa dalla Dc.

Al contrario Nenni ed i dirigenti a lui più vicini come De Martino, Mancini, Cattani, Ferri, considerando  positivamente  il  documento della Dc, proponevano l’astensione108. Alla seduta del Comitato centrale del 17 giugno la maggioranza autonomista giunse, quindi, spaccata non essendo riuscita a trovare alcun accordo. Il Partito continuava, infatti, ad essere diviso tra la sinistra, che rifiutava il documento della Dc, ed i dirigenti autonomisti ancora in disaccordo sulla decisione da prendere. La rottura interna alla maggioranza fu, in parte, ricucita solo in seguito a lunghe ed accese discussioni e fu, così, approvato l’ordine del giorno proposto da Jacometti. Nel testo del documento si ribadiva “la permanente validità della prospettiva del centro-sinistra, come unica alternativa  reale, nell’attuale situazione politica interna ed internazionale,  atta a determinare  uno sviluppo democratico della politica italiana”109. Il Comitato centrale respinse, inoltre, le dimissioni presentate in precedenza dalla Direzione e fissò  il congresso  del partito in ottobre. In seguito alle decisioni stabilite dal Comitato centrale socialista, Moro rinunciò all’incarico che fu affidato al presidente della Camera Giovanni Leone. Questa soluzione provvisoria, consentì al Partito socialista italiano di riflettere sulla delicata situazione interna ma soprattutto di cercare di ricucire lo strappo avvenuto nella maggioranza autonomista, uscita  divisa  dal  Comitato centrale di giugno.

La riconciliazione fu raggiunta solo nel luglio del  1963  in  seguito alla formulazione di un documento politico comune, i cosiddetti “Orientamenti di luglio”, nel quale vennero stabilite le posizioni della corrente autonomista da presentare al congresso del partito fissato per ottobre. Il testo fu elaborato da Francesco De Martino, vicesegretario del Psi, con il fondamentale contributo di altri dirigenti del partito. Solo in questo modo si riuscì a trovare un accordo sulle questioni più delicate che avevano trovato divisi i membri della maggioranza.

Nel documento si dava una definizione chiara dell’impegno che il partito avrebbe dovuto svolgere al  governo, si chiariva la questione del rapporto con i comunisti, e si tracciava una precisa linea di politica internazionale110. Riguardo  tale tema nel documento si affermava “che i profondi mutamenti in corso nella politica internazionale di cui il Psi è pienamente consapevole […] sono  di  tale natura da incoraggiare l’azione di un partito, come il Psi, che si è sempre battuto per la distensione, e che oggi si propone di proseguire tale azione in una maggioranza di governo”. Partendo dalla considerazione dell’evoluzione positiva dei rapporti  tra Stati Uniti e Unione Sovietica era affermato che, se da una parte “non provoca nell’immediato lo scioglimento e il superamento dei blocchi contrapposti e  comunque non può eliminare le ragioni del contrasto ideologico e di potenza che contrappone USA e URSS”, dall’altra “rende completamente possibile il perseguimento di una politica di disarmo e concede assai maggiore libertà di azione   a paesi, come l’Italia, finora imprigionati nella logica dei blocchi e  dell’equilibrio  del terrore”.

Nel documento si leggeva, inoltre che “l’equilibrio mondiale faticosamente rettosi fino ad oggi sulle responsabilità bilaterali e sul  terrore  reciproco degli Stati Uniti e dell’URSS, rischia di essere rimesso in discussione proprio nel momento in cui può essere positivamente superato”. In questo quadro incerto e precario sarebbe dovuto intervenire il Partito socialista italiano detentore  dei soli principi in grado di risolvere le complicate questioni internazionali. “In questa situazione e davanti al profilarsi di questi pericoli la tradizionale aspirazione pacifista e neutralista del socialismo italiano, deve trovare espressione su una  efficace politica estera a livello di Stato, tendente a risolvere le questioni politiche e territoriali ancora in sospeso dalla fine della guerra; ad accelerare la conclusione di accordi generali sul disarmo, e perciò a determinare le condizioni  per  il  superamento della politica dei blocchi”. Era ribadita, inoltre, l’adesione del Psi al Patto atlantico nell’interpretazione difensiva e geograficamente delimitata ma era nello stesso tempo affermato che “la constatazione del fatto oggettivo di trovarsi ad agire in un paese democratico occidentale non viene dal Psi confusa con l’accettazione del sistema economico prevalente del mondo occidentale, cioè dal sistema capitalistico, né tantomeno con l’accettazione della ideologia  atlantica,  come scelta di civiltà e della ragion di stato atlantica come norma di politica estera”111.

Il fine del Partito socialista italiano sarebbe dovuto  essere,  quindi,  “quello dell’edificazione di una società senza classi, pur salvaguardando e approfondendo i valori di libertà e le garanzie democratiche”. Nel documento era affrontato, inoltre, il tema dell’Europa, considerata un elemento fondamentale per  una stabile politica mondiale. Un’Europa che, però avrebbe dovuto dare voce  a nuove forze democratiche. “La voce e la rappresentanza dell’Europa non possono essere abbandonate ai ceti conservatori e agli uomini del passato,  devono  anzi  essere espresse con vigore dalle forze democratiche”.

Era affermata, inoltre, la necessità di migliorare i rapporti politici ed economici con i  paesi  comunisti  europei. Veniva affrontato, in seguito, il delicato tema del contrasto  tra URSS  e  Cina risolvibile, secondo gli autonomisti, non soffermandosi sull’aspetto ideologico ma dando un riconoscimento positivo alla realtà della Cina “mediante la sua ammissione all’ONU e la sua partecipazione ai consessi decisivi, soprattutto in materia di disarmo, per ottenere garanzie sicure contro la proliferazione delle armi atomiche”. Proseguendo su tale tema, il documento esponeva una riflessione fondamentale ed acuta riguardante l’Europa e la Cina, considerati soggetti indispensabili per le dinamiche internazionali e per la politica della coesistenza pacifica. “La politica di disarmo deve tenere conto della nuova sistemazione mondiale e non può prescindere né dall’Europa né dalla Cina; l’intesa, da perseguire tenacemente tra URSS e USA avrà validità e sarà permanente, se ad essa verranno successivamente associate ed impegnate le altre nazioni”.

Proprio su tale teoria si sarebbe concentrato lo sforzo dei socialisti al governo, volto all’impegno per l’affermazione dell’Europa ed al riconoscimento della Cina all’ONU. Nella parte finale del documento si affermava che “per le sue stesse origini di partito internazionalista e per il fatto stesso di intervenire con forze di governo soltanto in questa fase, senza responsabilità e legami con la politica estera del tempo della  guerra fredda, il Psi è in grado più di ogni altro partito, di avvertire con piena sensibilità i nuovi compiti dell’Italia nella fase attuale della politica internazionale e di costituire in una maggioranza di governo la forza più dinamica e avanzata”112.

Al Comitato centrale socialista del 4 settembre del 1963 furono presentati i documenti che sarebbero stati discussi al futuro congresso del partito, fissato per ottobre. La maggioranza autonomista, ricompattata in seguito  ad  estenuanti  trattative e mediazioni, si presentò alla riunione raccolta intorno al documento di luglio, che racchiudeva il programma politico programmatico della corrente. In  questa sede i dirigenti autonomisti, ritornando sulla questione della politica estera, riaffermarono “la tradizione internazionalista, pacifista e neutralista” e ribadirono la volontà “di respingere ogni interpretazione unilaterale degli avvenimenti internazionali; di non subordinare mai la propria azione agli interessi di potenza dei blocchi; di valutare le iniziative dei singoli Stati in relazione alla causa della pace e non al trionfo di un blocco sull’altro; di non sacrificare l’instabile equilibrio in atto   in mancanza di un equilibrio più sostanziale e concreto”113. La sinistra presentò un proprio documento che su molti importanti temi, si discostava in modo netto, da quello degli autonomisti. Nella parte relativa alla politica estera i dirigenti della sinistra basavano la propria valutazione sulla convinzione che  la  coesistenza  pacifica e le mutate condizioni internazionali avrebbero favorito e condotto alla definitiva affermazione del socialismo. “

La coesistenza  pacifica nel mondo non è  più soltanto un obiettivo di lotta del movimento operaio, ma è divenuta anche la prospettiva di una nuova era che si affaccia”. Per gli esponenti della sinistra continuava ad essere ritenuta valida “anche se permangono acuti i contrasti fra i tradizionali schieramenti internazionali degli Stati, mentre si aggravano i vecchi e affiorano nuovi dissensi all’interno dei blocchi” considerando che “le forze imperialistiche non possono ormai più respingere non solo il principio, ma neppure  la politica della coesistenza pacifica”. Secondo i dirigenti della sinistra tale prospettiva creava “non solo le condizioni nuove per il superamento della divisione del mondo in blocchi e per l’emancipazione dei popoli sfruttati dal vecchio o nuovo colonialismo, ma per la stessa lotta delle classi lavoratrici nei Paesi capitalistici avanzati”. Il Psi avrebbe dovuto avere ora, come già aveva avuto in passato, il compito di battersi per la politica della coesistenza  pacifica e proseguire  “le sue  lotte contro l’atlantismo, per il superamento dei blocchi e per la  neutralità  dello stato, vedendo in esse non solo obiettivi di pace, ma nella pace una condizione positiva per fare avanzare le classi lavoratrici verso il socialismo”.

Le nuove prospettive internazionali avrebbero potuto offrire, quindi,  al Partito “la possibilità  di assolvere più di ogni altra forza il compito di indicare ai lavoratori una politica attuale e concreta per aprire la via al socialismo in Italia”. Tale riflessione era supportata, inoltre, dalla teoria del “neutralismo attivo”  considerato  l’unico  principio in grado di “restituire all’Italia quella libertà necessaria a creare un collegamento con le forze che aspirano ad analoghi obiettivi”. Nel documento della sinistra era ribadito, quindi, che al centro della politica del partito ci sarebbe dovuta essere “la lotta per la neutralità” che “non mira soltanto a liberare il nostro paese dai gravosi e pericolosi impegni militari, ma è anche un valido e fondamentale  contributo alla lotta contro l’imperialismo, a gettare le basi di una politica nuova di coesistenza pacifica tra gli Stati dell’Est e dell’Ovest, dell’Europa, fondata sul superamento dei blocchi e sul disarmo”.

Tali considerazioni portavano i dirigenti della sinistra a considerare errato il ragionamento degli autonomisti, accusati di continuare a sottostare alla rigida logica dei blocchi non sfruttando appieno le reali e possibili occasioni per una definitiva vittoria del socialismo. Nel documento si leggeva infatti “questa politica si contrappone nettamente a quella della corrente autonomista, che si avvale invece della coesistenza per fare aderire il Psi  alla  politica atlantica, che pur nella sua variante moderata sarebbe sempre uno strumento di conservazione e di coordinamento dell’intero sistema capitalistico,  sia  nei rapporti con i Paesi socialisti che con quelli sottosviluppati”114.

La politica  estera  rappresentò,  dunque,  un forte motivo di  contrasto all’interno  del partito  ed  acuì  il  profondo  divario  presente  tra  le  due  correnti.  La  differente impostazione ideologica con la quale le due anime del partito affrontarono la questione si rivelò chiara, inoltre, durante il dibattito congressuale.

In un clima di profonde tensioni e contrasti si giunse, nell’ottobre del 1963, al XXXV congresso del Psi. Nell’assise socialista vennero esposte le linee relative alla politica internazionale formulate in luglio dalla maggioranza autonomista  del partito e quelle elaborate dai dirigenti della sinistra. Durante l’acceso dibattito congressuale il tema della politica estera fu affrontato in modo approfondito. Nei  diversi  interventi pronunciati dai dirigenti socialisti emersero in modo chiaro le diverse e contrastanti concezioni elaborate nell’intenso dibattito precongressuale  intorno  a  tale questione. Nella relazione del segretario del partito, Pietro Nenni, venne esposta la linea formulata dalla maggioranza autonomista del partito relativa ai principali temi politici. Nenni, nella parte riguardante la politica internazionale, effettuò un’attenta analisi del clima internazionale e, partendo da tale quadro, inserì la sua riflessione. Il segretario del Psi valutò, dunque, che i “molti fattori nuovi”, che avevano operato profondi cambiamenti nello scenario internazionale, lo rendevano “migliore” rispetto al passato.

Il miglioramento dei rapporti tra Washington  e  Mosca, l’accresciuto peso dei Paesi del Terzo Mondo all’interno dell’ONU ed il nuovo ruolo che in questo clima avrebbe potuto ricoprire l’Europa rappresentavano per i socialisti autonomisti il punto di partenza della loro valutazione operata in politica estera. Il mutato clima internazionale avrebbe potuto concedere, infatti, una maggiore autonomia all’Italia nel campo internazionale e, quindi, anche al Psi al governo. Secondo Nenni e gli altri autonomisti ad esso legati, il miglioramento del clima internazionale avrebbe potuto garantire ai socialisti una maggiore libertà di decisione e di scelta non solo all’interno del governo ma anche all’interno dello stesso sistema atlantico. “Non è imminente un accordo di pace e di non aggressione tra i due blocchi, non sono imminenti il disarmo atomico ed il disarmo generale.

Ma queste cose sono divenute possibili e per esse  si può ormai lavorare senza inforcare  il destriero dell’utopia”. Nenni proseguì ribadendo che i fattori di cambiamento avvenuti in politica internazionale avrebbero permesso al partito di “riconsiderare alcuni atteggiamenti di politica estera, senza venire meno ai principi ispiratori del nostro internazionalismo, del nostro pacifismo, del nostro tradizionale neutralismo, che hanno sempre avuto un solo comune obiettivo, quello di assicurare  la  pace nostra e del mondo”. Partendo, quindi, proprio da queste considerazioni il leader socialista giustificava non solo l’adesione del Psi al Patto atlantico e agli obblighi  che ne derivavano ma anche la volontà di non rimettere in discussione tale alleanza. Una conseguenza logica, se vista all’interno della riflessione operata dagli autonomisti in politica estera.“Diventa così possibile operare all’interno come all’esterno dei blocchi considerando i problemi della sicurezza non come puri  e isolati problemi di tecnica militare, la cui soluzione monotona sia ‘sempre più armi  ed armi sempre più micidiali’, ma subordinando ogni decisione tecnico-militare alla volontà politica di accrescere la possibilità della distensione, del disarmo, della  pace.”

Nell’ultima parte del suo intervento Nenni analizzò, inoltre, uno dei fattori considerato tra i più importanti per i socialisti in politica estera: il ruolo dell’Europa.  I socialisti italiani, infatti, iniziarono da allora ad impegnarsi in modo più  determinato per proporre e favorire l’unificazione europea fondata, però, su una nuova idea di Europa contrapposta a quella proposta da De Gaulle. Nenni espresse   la volontà di “opporre l’idea di una Europa del popolo, fondata sulla democrazia nei suoi singoli stati e nelle sue istituzioni comunitarie, dedita alle opere della pace e della solidarietà mondiale”115. L’impegno per la formazione di un’Europa forte ed unita fu un punto centrale della politica estera formulata dai socialisti e sarebbe rimasto un costante obiettivo sul quale impegnarono e concentrarono le  proprie forze.

I dirigenti autonomisti, durante le giornate congressuali, oltre ad esporre le proprie riflessioni, si trovarono costretti a rispondere alle pungenti critiche mosse dagli esponenti di sinistra, primo fra tutti Tullio Vecchietti. Il leader della sinistra nel suo lungo intervento, accusava apertamente gli esponenti della maggioranza di svendere il patrimonio  socialista  in cambio dell’ingresso  del Psi  al governo. Il dirigente della sinistra del Psi dedicò gran parte del suo intervento ai temi della politica estera, considerati di fondamentale importanza. Vecchietti per prima cosa, dunque, tenne a ribadire i tratti tradizionali del patrimonio ideologico proprio del socialismo italiano in politica estera. “Il carattere distintivo del nostro Partito in tutta la sua ormai lunga storia è stato anzitutto la fedeltà all’internazionalismo, il rifiuto della politica dell’avversario di classe, sia nei conflitti di interessi imperialistici sia nella politica colonialistica”.

Vecchietti proseguì descrivendo la “felice eccezione” propria del movimento socialista italiano costretto però, ora, dalla maggioranza del Psi  a  “pagare il prezzo della politica internazionale” per andare al governo con la Dc, prezzo che consisteva nell’accettazione “senza riserva alcuna” della  politica atlantica, un prezzo considerato troppo alto dai dirigenti della  sinistra.  La minoranza, per voce di Vecchietti, proponeva, quindi, “una politica coerente che rappresenti un originale contributo alla distensione internazionale”  affermando,  però, “che fare tutto il possibile non può significare il  passaggio  dall’altra  parte della barricata, far propria la politica atlantica che è lo scudo del capitalismo occidentale, pur continuando a coltivare la vocazione neutralistica”. Vecchietti ribadiva la necessità di “inserire il patrimonio neutralistico […] nella nuova situazione che si è creata, per combattere validamente contro i  tentativi  di  perpetuare il sistema artificioso di alleanze militari e di blocchi”. Proponeva, quindi, “di ingaggiare una lotta contro i blocchi in quanto tali, che sono diventati inutili anche ai fini della sicurezza”. Nell’ultima parte del suo intervento relativa alla politica estera il dirigente della sinistra dichiarò che “l’impegno del Psi nell’atlantismo annullerebbe il contributo originale ed essenziale del nostro Partito alla elaborazione di una politica della sinistra europea che ha una ragione d’essere soltanto se creerà le condizioni per un avvio autonomo dell’Europa  al  socialismo”116. Con tale espressione Vecchietti proseguiva, quindi, la critica nei confronti dell’ala autonomista che, continuando ad appoggiare la politica dell’atlantismo, annullava qualsiasi opportunità di attuare una trasformazione socialista della società possibile, secondo il dirigente della sinistra, solo attraverso il rafforzamento dell’Europa.

Nella parte conclusiva Vecchietti ribadì, dunque, i principi che tutta la sinistra all’interno del Psi poneva alla base della politica internazionale. Tale politica si fondava sul presupposto del superamento dei blocchi e sulla volontà di attuare una trasformazione socialista della società realizzabile solo attraverso il cambiamento dello status quo e sul determinante ruolo che, in tale contesto, avrebbe dovuto svolgere l’Europa. Tale tesi veniva ripresa e ribadita nella replica dall’altro leader della sinistra interna al partito, Lelio Basso. Il dirigente socialista confermò  i  principi esposti da Vecchietti e, rivolgendosi alla maggioranza con toni molto duri e critici, la accusava di accettare un programma di  governo  insoddisfacente  e contrario ai principi socialisti.

“Un programma che non ci soddisfa, è un programma su cui non siamo disposti a marciare, tanto meno siamo disposti a marciare quando abbiamo l’impressione che il Partito oggi, o almeno la maggioranza del Partito, manchi del mordente necessario per imprimere un segno inconfondibile  sulla  politica estera del futuro governo”. Basso, proseguendo nel suo intervento si rivolse  a Nenni con toni ancor più polemici: “Dov’è, compagno Nenni, lo smalto che tu avevi una volta nei tuoi interventi di politica internazionale, quando difendevi vigorosamente la politica del neutralismo, quando difendevi vigorosamente una politica in cui noi crediamo tuttora?”. Incalzando nella polemica, il dirigente della sinistra mosse una critica puntuale su tutte le dichiarazioni relative  alla  politica estera formulate dalla maggioranza, “formule che ci spaventano” alle quali contrapponeva una diversa interpretazione e visione. “Noi chiediamo ai socialisti qualche cosa di più, chiediamo di battersi non soltanto per eliminare le cause di urto fra i blocchi, ma per eliminare addirittura i blocchi, per superare i blocchi,  per portare veramente l’umanità fuori da questo pericoloso e paralizzante irrigidimento”117.

I dirigenti della sinistra, quindi, criticarono fortemente l’atteggiamento della maggioranza del Psi che, per una possibile partecipazione al governo, avrebbe svenduto tutto il patrimonio della tradizionale politica internazionale socialista, pagando il prezzo troppo alto dell’accettazione della strategia  dell’Alleanza Atlantica. Concetti ribaditi, inoltre, nella mozione finale presentata dalla corrente di sinistra che confermava i principi espressi nelle singole relazioni. “Il Congresso ritiene che ad una linea dimostratasi negativa e illusoria occorra sostituire una linea basata su una vigorosa ripresa dell’azione di classe, che respinga  ogni  collaborazione con la Dc che sia fondata sul rovesciamento delle alleanze, sull’atlantismo, secondo le esplicite richieste dei gruppi dirigenti della Dc e del Psdi”118.

In seguito intervenne al dibattito congressuale il vicesegretario del partito, Francesco De Martino che affrontò le critiche mosse dai dirigenti della sinistra. Il dirigente socialista rispose agli attacchi della sinistra con domande retoriche, formulate con toni polemici, nelle quali si scorgevano, inoltre, le sue riflessioni. Affrontando il tema della politica estera, De Martino si domandava: “ma  allora quello che noi stiamo compiendo è un delitto, è l’abbandono delle  tradizioni  pacifiste e neutraliste del Partito, o è una azione realistica intesa a sviluppare in  modo più concreto e più efficace, non più come motivo di propaganda o di  agitazione popolare di un Partito, ma come motivo di azione di governo, la politica internazionale del nostro paese?”. Proseguendo ribadì quello che era l’argomento fondamentale sul quale si basava tutta la linea degli autonomisti, affermando che “non si può giudicare la politica internazionale ignorando i mutamenti profondi che nel corso della esperienza di un ciclo storico intervengono nella situazione internazionale”, accusava, quindi, la sinistra interna al Psi  di non avere “il coraggio di trarre da questo riconoscimento le conseguenze necessarie”.

Il vicesegretario del Psi proseguendo su questa linea affermò, inoltre, che il Partito socialista  italiano,  non avrebbe dovuto “restare indifferente” di fronte alle scelte stabilite dal governo ma che, avrebbe dovuto, al contrario, cercare di colmare “il vuoto” della politica estera italiana. Affermò, infatti, “che il dovere, non l’interesse ma il dovere del Partito socialista è di agire, per quanto sta nelle sue possibilità, nelle sue capacità e nelle sue forze”. De Martino pensava, quindi, che solo in questo modo l’Italia “da forza estranea”, “di retroguardia” si sarebbe potuta trasformare in “una forza attiva, una forza di avanguardia, la quale non si limiti a sostenere le iniziative  di  distensione del presidente Kennedy ma assuma iniziative proprie”119.

L’intervento di Paolo Vittorelli, responsabile della Sezioni esteri del Partito socialista italiano dal congresso di Milano del 1961, si concentrò sui temi di politica estera. Il dirigente autonomista, volendo soprattutto chiarire in modo definito l’importante compito che il partito socialista avrebbe dovuto svolgere in politica estera una volta approdato al governo, sottolineò le importanti responsabilità che si sarebbe dovuto assumere. “Perché altro è, compagni, appoggiare un governo dall’esterno […] senza assumere nessuna responsabilità per quello che riguarda la  sua politica estera e senza chiedere quindi in compenso nessun mutamento sostanziale nell’indirizzo di questo governo, e altro è trovarsi in un Consiglio dei ministri dove […]si è costretti ad assumere una lunga parte della  politica generale  del governo del quale si è partecipi”.

Ribadì, in seguito, come già avevano fatto gli altri dirigenti autonomisti, la volontà di non voler rimettere in  discussione  le  alleanze ratificate dal Parlamento italiano affermando che il Psi “non ha il diritto di stracciare tutti i trattati conclusi dall’Italia” ma, proseguendo nel discorso dichiarò che, pur avendo ereditato dai governi precedenti “una grave ipoteca”, il Psi avrebbe potuto arrecare al governo un proprio ed importante contributo “in difesa della politica di pace e di neutralità” reso possibile dal cambiamento favorevole avvenuto nel panorama internazionale. Partendo dalla considerazione “che i blocchi oggi non sono più dei blocchi monolitici con una sola politica, con la politica di uno Stato guida” osservava, quindi, che “la guerra fredda è finita, che è possibile cominciare a costruire la pace”. Proseguendo nel suo lungo intervento dedicato alla politica estera Vittorelli criticò, riferendosi alla sinistra del Psi, la posizione di chi, “dai banchi dell’opposizione” si limitava a levare solo voci di protesta. Motivando la sua critica affermava che “è una posizione molto comoda questa, compagni, la posizione di protesta: ma se poi scoppia la guerra le proteste non saranno servite a nulla, compagni, perché oggi sono i governi, buoni o cattivi che siano, gli unici che  abbiano l’autorità per concludere accordi distensivi, per prendere iniziative  nel  senso della distensione”.

Il dirigente autonomista voleva, in questo modo,  sottolineare l’importanza che rivestiva per i socialisti l’ingresso del partito nel governo che, se da una parte rappresentava una pesante responsabilità, dall’altra era anche considerata come una grande opportunità da dover sfruttare. “Noi avremmo il dovere di non rinunciare a quella possibilità anche modesta, anche limitata, che il Partito socialista italiano, attraverso l’influenza che eserciterebbe  su  questo  governo, e dall’interno di questo governo, alla possibilità sia pure  modesta  e  limitata di modificare gli orientamenti dell’azione internazionale dell’Italia”. La partecipazione attiva del Psi significava, inoltre, anche  condivisione  di responsabilità per le decisioni e le scelte effettuate dal governo sulle questioni di politica estera ma Vittorelli e gli altri esponenti della corrente autonomista erano pronti ad accettare questa sfida, spinti dalla speranza di poter apportare il contributo socialista in questo delicato campo. “In questo senso il Partito  socialista italiano ha  il dovere, a nostro giudizio, di portare anch’esso il suo piccolo granello di sabbia nello sforzo comune per la causa della pace”120.

In   seguito,   nel   dibattito  congressuale   intervenne   Riccardo   Lombardi. La relazione del dirigente socialista era molto attesa da entrambe le  ali del partito.  Nenni e gli altri dirigenti autonomisti temevano, infatti, che la difficile ricucitura, avvenuta dopo la notte di San Gregorio, fosse troppo sottile per poter resistere all’urto del congresso e la sinistra, confidando proprio in questa incertezza, sperava  in un riavvicinamento. La relazione di Lombardi deluse, però, le aspettative di Vecchietti  e  della  sua  corrente  poiché  non  si  discostò  in  modo  sostanziale dalle dichiarazioni espresse dagli altri autonomisti. Nella parte relativa alla politica estera Lombardi, volle ricordare innanzitutto “la lotta  gloriosa” combattuta  a suo tempo  dal Psi contro l’Alleanza atlantica, non rinnegando i principi che allora la guidarono ed accettata ora, solo per le mutate condizioni internazionali. Il dirigente socialista tenne, però, a sottolineare con decisione e fermezza che l’accettazione di tale Alleanza non significava accettazione dei principi alla base di essa, di una  concezione o scelta ideologica che non poteva essere accolta  in  cambio  dell’ingresso del Psi al governo.

Dichiarò, quindi: “il rifiuto dell’ideologia atlantica come scelta di civiltà è l’onore di questo partito e questo onore non si può deporre sulle soglie di nessun ministero”. Il dirigente socialista concentrò poi il suo  intervento su due termini connessi tra loro e considerati fondamentali nella politica estera socialista: il disarmo e la distensione affermando che “la politica del disarmo non è un omaggio reso a un luogo comune facilmente accreditato presso le masse anche per ragioni tradizionali: c’è una carica rivoluzionaria molto importante  in essa” e parlando della distensione dichiarò “che non è semplicemente una questione di buone maniere, non è un sostituire alla grinta una faccia più conciliante, ma è una politica che come già vediamo, dai primi risultati, […] dall’allentamento  della  guerra fredda passa già a delle conclusioni di enorme rilevanza”. Proprio grazie ai miglioramenti avvenuti nel panorama internazionale  Lombardi,  non  solo giustificava l’accettazione del Patto Atlantico ma auspicava, inoltre, un ruolo più attivo per l’Italia, rimasta sino a quel momento succube ed inerte di fronte alle decisioni prese in politica internazionale dagli altri Paesi.

Dopo aver dichiarato che “si capisce che in questo contesto il nostro paese deve intervenire e se  noi  accettiamo di muoverci all’interno di un governo che ha ereditato l’accettazione di  un patto militare, e quindi lealmente assumiamo la responsabilità e la corresponsabilità della difesa del nostro paese”, affermava che tale comportamento non significava devolvere “ad altri la cura di decidere i modi come noi dobbiamo e possiamo assicurare la nostra difesa”. Secondo Lombardi proprio questo errato atteggiamento, riconosciuto nell’aver lasciato “il carico di condurre alla distensione e di organizzare la pace […] sulle spalle delle sole grandi potenze”, aveva portato il Paese “a non fare nessuna politica estera” poiché “la diplomazia italiana continuava  a fare quello che aveva sempre fatto ovvero “registrare fedelmente, mugugnando o sorridendo, le decisioni altrui, in sostanza le decisioni della potenza egemone”121. Lombardi sosteneva, dunque, come tutti gli altri membri della maggioranza autonomista, la necessità di un cambiamento di rotta nella politica estera italiana basata su un ruolo più attivo dell’Italia favorito dal mutato clima internazionale.

Alla conclusione del congresso, la maggioranza autonomista presentò la mozione finale che stabiliva di “rimuovere il limite dell’appoggio esterno al  governo” autorizzando, così, la partecipazione del partito al primo governo di centro-sinistra organico. Nella parte relativa alla politica internazionale erano riconfermati i principi della tradizione socialista fondata sull’internazionalismo, il pacifismo ed il neutralismo ed, inoltre, era riconfermata l’accettazione dell’alleanza atlantica seppur nella formulazione di alleanza “difensiva e geograficamente delimitata”122. Il Partito socialista italiano rinunciò, quindi, a rimettere  in  discussione le alleanze ratificate dal Parlamento, accettando l’adesione dell’Italia al Patto atlantico, intesa come rispetto degli obblighi militari ad esso legati e non come scelta di civiltà, come tenne a ribadire Lombardi nel suo intervento al congresso. I dirigenti socialisti, Nenni per primo, erano, dunque, consapevoli che tale politica fosse, oramai, la più realistica e l’unica possibile nel complicato clima  internazionale. Il leader socialista, infatti, “riteneva che la nuova situazione internazionale consentisse di affrontare i grandi problemi della distensione e della pace fuori dagli schemi tradizionali” considerando, quindi, “la  politica  estera  italiana in una prospettiva più politica che militare”123.

Durante il dibattito congressuale e nei documenti finali emerse in modo chiaro la divergente visione delle due correnti sulla politica internazionale e dei principi da porre alla base di essa. I dirigenti della sinistra  fondavano la propria valutazione  sulla convinzione che la politica della coesistenza pacifica, i miglioramenti avvenuti nei rapporti tra Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica ed i cambiamenti del panorama internazionale avrebbero favorito e condotto ad una definitiva affermazione del socialismo. I socialisti, spinti da tali condizioni, avrebbero dovuto proseguire nella lotta contro l’imperialismo, nella critica contro l’atlantismo e l’operato degli Stati Uniti,  inoltre, avrebbero dovuto continuare a battersi per il superamento dei blocchi  e per l’affermazione del neutralismo, principio fondamentale che sarebbe dovuto essere posto alla base della nuova politica estera socialista.

Gli esponenti autonomisti, pur partendo dalle medesime considerazioni giungevano, però, ad opposte conclusioni. Nenni ed i dirigenti a lui più vicini valutavano, infatti, positivamente i cambiamenti avvenuti nel panorama internazionale, che avevano favorito un clima di distensione e stabilità. Il nuovo contesto internazionale, secondo gli autonomisti, avrebbe permesso una maggiore libertà di manovra per l’Italia e per lo stesso Partito socialista italiano che, proprio alla luce delle nuove dinamiche, giustificava non solo l’accettazione del Patto atlantico ma anche il rifiuto di rimetterlo in discussione. Nenni era convinto, infatti, delle potenzialità che derivavano dal nuovo panorama internazionale che avrebbero permesso ai socialisti di accettare la politica estera del governo e dei principi alla  base di essa ma anche di avere al governo più iniziativa in questo campo. Pur rimanendo nella logica dei blocchi contrapposti, considerati l’unica garanzia di stabilità mondiale, gli autonomisti consideravano possibile introdurre al governo i principi fondamentali della tradizione socialista come il neutralismo ed il pacifismo. Gli autonomisti erano convinti, infatti, che il clima della distensione avrebbe reso possibile una evoluzione della politica estera italiana in questa direzione124.

La vittoria della corrente autonomista al congresso stabilì il definitivo approdo del Psi al governo e fissò le nuove linee politico-ideologiche del partito125. Le profonde differenze emerse durante il dibattito congressuale si rivelarono troppo grandi per poter permettere la convivenza delle due correnti all’interno dello stesso partito, la rottura divenne, dunque, inevitabile.

Il Partito socialista italiano, orfano dei dirigenti della sinistra, si apprestava ad affrontare l’importante e delicata sfida del governo con il desiderio e la volontà di traghettarne al suo interno il patrimonio ideale socialista. Durante gli anni  di  governo questo proposito si rivelò, però, arduo da realizzare.

I principi che erano stati posti alla base della politica estera socialista furono, infatti, in parte rivisti ed ammorbiditi. Internazionalismo, pacifismo e neutralismo, termini, sino a quel momento considerati fondamentali nel linguaggio della politica estera del Psi, furono messi a dura prova dagli avvenimenti internazionali ma soprattutto dalle scelte fatte dal governo davanti a tali eventi. Il Psi si trovò così costretto, in più occasioni, ad accettare le risoluzioni formulate dal governo senza condividerne  i principi,  comportamento non accettato da tutti i dirigenti del partito.  I socialisti italiani si trovarono, quindi, condizionati dalle scelte effettuate dagli altri partiti di governo in campo internazionale, scelte spesso non condivise ed, a volte, anche fortemente criticate. Le gravi crisi internazionali scoppiate durante gli anni Sessanta e le decisioni adottate dal governo di fronte ad esse misero, dunque,  in  seria difficoltà il Psi, provocando forti tensioni e duri contrasti tra le varie anime presenti in un partito già profondamente diviso al suo interno.  I  bruschi  cambiamenti che stavano avvenendo nel panorama mondiale ebbero, quindi, importanti ripercussioni sulle dinamiche interne al  partito  intaccandone la  solidità ed acuendone le divergenze sorte intorno a questioni di politica estera.  Il dibattito  sul ruolo della politica internazionale fu, inoltre, ripreso e discusso durante il processo di unificazione con il Partito socialdemocratico che si presentò come un momento di profondo cambiamento per il Partito socialista italiano.

Nel dicembre del 1964, in seguito alla elezione del leader del Partito socialdemocratico Giuseppe Saragat a Presidente della Repubblica, prese avvio in modo definitivo il processo di unificazione126. Tale questione fu posta  al  centro  delle discussioni del XXXVI congresso del Partito socialista italiano del novembre del 1965. In questa assise socialista il tema della politica estera considerato punto fondamentale dell’unificazione, non fu però esaminato in modo approfondito; le questioni affrontate in questo campo riguardarono in larga parte il Vietnam e la questione dell’ammissione della Cina all’ONU127. Il dibattito congressuale si concentrò, dunque, sul progetto dell’unificazione considerata di fondamentale importanza per le sorti del Partito socialista italiano e le critiche dei dirigenti socialisti contrari a tale progetto si concentrarono, quindi, su tale questione tralasciando altri temi. L’intervento del segretario del partito si limitò, dunque, ad  una breve esposizione su tale tema, dopo aver dichiarato che “la complessità e la gravità dei problemi che incombono sull’umanità esige decisione  e  coraggio”  e dopo aver affermato che “L’ONU deve essere rafforzata e posta sempre meglio in grado di assolvere ai suoi compiti”, esponeva i principi che avrebbero  dovuto  ispirare la politica estera del Psi.

“Il disarmo deve essere perseguito ed attuato sia pure in modo graduale. La coesistenza deve essere assicurata e nessuna modifica avventata dei rapporti di forza deve essere tentata, prima che si creino le solide basi  di nuovi e migliori equilibri”128. De Martino si limitò, dunque, ad esporre in modo riassuntivo le future linee che i socialisti avrebbero dovuto seguire in politica estera ed a ribadire la necessità di mantenere gli equilibri esistenti nel sistema internazionale. In seguito, nel dibattito congressuale intervenne, Nenni che dedicò parte della sua relazione alla politica estera ma, come nell’intervento del segretario, non ci furono spunti nuovi di riflessione. Nenni iniziò con il ribadire la validità del Patto atlantico affermando che “non costituisce un ostacolo insormontabile per chi, come noi, è alla ricerca dell’unità del mondo nella pace”, rivendicando come un risultato tutto socialista il fatto che “la politica estera del nostro Paese non soggiace più allo spirito di crociata o dell’oltranzismo”, chiarendo che “non è più una politica  a senso unico, ma ha trovato il modo di conciliare la fedeltà  delle  alleanze decise  dal Parlamento con una serie di iniziative verso i paesi alleati, verso quelli non impegnati e verso i paesi del blocco comunista”.

Il leader socialista poneva come obiettivo fondamentale della politica estera del partito la ferma volontà di ricercare una soluzione negoziata  per ogni conflitto volendo “preservare dagli attacchi diretti  e indiretti la politica della coesistenza pacifica”129. Nell’ultima parte della relazione Nenni ribadì la volontà socialista di intensificare la battaglia per l’Europa da dover combattere con l’aiuto delle forze della sinistra democratica e dell’Internazionale socialista. Nella mozione finale approvata dal congresso vennero riconfermati tutti i principali tratti della politica estera socialista espressi da Nenni  nel  suo  intervento130.

Nel gennaio del 1966 si svolse il XIV congresso del Psdi ed anche in questa assise    la questione posta al centro del dibattito fu rappresentata dal  progetto  di unificazione. Durante il dibattito congressuale non mancarono, però, alcune riflessioni espresse sul tema della politica estera, affrontato in modo specifico dal segretario Mario Tanassi e dal responsabile dell’Ufficio esteri, Antonio Cariglia. Il segretario del partito nella sua relazione ribadì i principi cardine della politica internazionale del partito socialdemocratico. Tanassi iniziò il suo intervento confermando, infatti, “la solidarietà con le nazioni del Patto Atlantico il cui scopo fondamentale è quello di garantire attraverso l’equilibrio delle forze la pace per tutti nella sicurezza di tutti” e proseguì affermando che la politica estera italiana avrebbe dovuto avere come unico termine di riferimento “l’ideologia democratica”. “Esso è il solo termine di riferimento legittimo e necessario dal momento che non si fa politica estera che non sia ideologicamente qualificata”. Tanassi riconfermava con questa espressione l’adesione all’Alleanza atlantica intesa come scelta di civiltà. Individuava, inoltre, nei termini di “libertà, sicurezza, eguaglianza, e giustizia” i cardini base di tale politica che avrebbe avuto come “fine supremo” la pace ma  quella “risultante dall’organizzazione della libertà in un regime di sicurezza e dall’organizzazione dell’eguaglianza in un regime di giustizia: dunque,  in  una parola, la pace organizzata”. L’organizzazione della libertà e dell’eguaglianza sarebbero dovute avvenire, dunque, “in un regime di sicurezza e di giustizia” garantito dalla adesione alla NATO.

Dopo una lunga digressione che, partendo dalla fine della seconda guerra mondiale ripercorreva tutte le tappe che portarono l’Italia alla scelta atlantica, ritornò su tale questione, ribadendo che “l’appartenenza dell’Italia all’Occidente, al mondo della libertà significò sempre più coerenza ideale  e pratica alle ragioni che avevano presieduto alla nascita dell’Italia democratica e deliberata volontà di tenervi fede”. Proseguì nel suo intervento affermando, inoltre “s’intende pertanto che la pietra angolare della politica estera italiana  non  poteva non essere, e rimanere, la scelta dell’occidente”.

Il segretario del partito non toccò e non accennò in nessun passaggio della sua lunga relazione alla delicata situazione vietnamita ed alla conseguente questione dell’ammissione della Cina all’ONU: i temi più spinosi che erano al centro di accesi dibattiti sia al governo che all’interno dei singoli partiti anche tra gli stessi partiti socialisti. Dure e pesanti furono, infatti, le critiche che alcuni membri della minoranza del Psi rivolgevano ai socialdemocratici rei di appoggiare o meglio, non criticare l’intervento degli Stati Uniti in Vietnam. Tanassi, forse consapevole anche  di tale attrito e proprio in vista dell’imminente unificazione si limitò, dunque, a ribadire i tradizionali principi della politica internazionale socialdemocratica legati  ad una totale fedeltà all’Alleanza atlantica intesa come scelta di civiltà,  non  toccando tali complesse questioni.

In seguito intervenne nel dibattito congressuale Antonio Cariglia, responsabile dell’Ufficio esteri del Psdi. Nella sua relazione, come già in quella del segretario, vennero ribaditi in modo chiaro tutti i temi tradizionali del patrimonio ideologico socialdemocratico. Il vicesegretario del Psdi dedicò, infatti, larga parte del suo intervento a temi relativi alla politica estera. Cariglia concentrò la sua riflessione sul fondamentale ruolo che il Patto Atlantico aveva ricoperto e continuava a ricoprire all’interno della politica estera italiana. Il vicesegretario del Psdi confermò fermamente l’adesione a tale alleanza intesa, inoltre, come scelta di civiltà. “Fu opportunamente detto che la nostra fu una scelta di civiltà, allorché affermammo la nostra solidarietà con le democrazie dell’Occidente”, ribadendo  inoltre  che anche nel mutato clima politico internazionale ed interno “essa resta una scelta di civiltà, e ciò non solo per gli antichi legami che esistono tra i popoli dell’Occidente, ma per fede comune nella capacità della democrazia di saper garantire il pieno esercizio  delle libertà individuali, nonché per la comunanza di valori morali e culturali”. Cariglia proseguendo su tale linea affermò, inoltre, che “ogni controversia tra le nazioni nasce come problema geograficamente delimitato, ma può trovare soluzione soltanto nell’ambito complessivo degli equilibri ai quali sono interessati i due blocchi”.

Riflessione differente rispetto a quella elaborata ed espressa dai socialisti che al contrario, non solo rifiutavano l’adesione all’Alleanza Atlantica intesa “come scelta di civiltà” ma l’accettavano solo se inserita in un contesto geografico delimitato. Cariglia con tale ragionamento si discostava, così, dall’interpretazione socialista dell’Alleanza atlantica che, invece, continuava a considerare l’unico e fondamentale rimedio per le controversie internazionali. Il dirigente socialdemocratico affrontò, in seguito, i temi del pacifismo e del neutralismo. Per Cariglia il pacifismo continuava ad essere un punto importante nella politica estera socialdemocratica, “un aspetto fondamentale dell’etica socialista nonché una condizione essenziale per realizzare il socialismo”, “un imperativo” al quale non erano mai venuti meno. Affrontando, in seguito, il tema del neutralismo, il dirigente socialdemocratico affermava che il superamento della formula del neutralismo” era considerato “improponibile in un mondo in cui la guerra, che si pone come limite della stessa esistenza dell’uomo, dovrebbe risolvere non conflitti di interesse ma un contrasto di civiltà”. Nell’ultima parte del suo intervento Cariglia tornò a parlare del Patto Atlantico considerato “un fatto vitale per il mondo occidentale” che “assunse anche decisa caratterizzazione ideologica determinata dalla sostanziale unità etico- politica dei Paesi dell’Occidente”, ne riaffermò, quindi, la attuale validità, ribadita anche in un altro passo del suo intervento.

“Oggi, il sostanziale e profondo divario  tra la situazione politico-militare immediatamente post-bellica e quella attuale, le trasformazioni in atto nel mondo comunista, con la conseguente perdita da parte  della URSS del suo ruolo di stato-guida, le implicazioni della politica gollista,  nonché lo spostamento dei termini competitivi tra le due grandi potenze su  un  terreno politico-economico-sociale, pongono i problemi di un più esteso e valido contenuto dell’Alleanza Atlantica, anche in vista della sua prossima scadenza”. Tale considerazione partiva dalla constatazione delle mutate condizioni  internazionali  che, secondo il dirigente socialdemocratico, non mettevano in  discussione  la  validità di tale Alleanza ma la ponevano di fronte a problemi nuovi risolvibili solo attraverso il rafforzamento di essa. Cariglia individuava  come obiettivi precisi  di  tale programma, volto al rafforzamento dell’Alleanza, la rimozione delle “obiezioni circa una effettiva disponibilità dell’arsenale missilistico americano in caso di aggressione ai paesi europei alleati” dichiarando, inoltre, che “l’unico modo per fare del Patto uno strumento efficiente e moderno è quello di renderlo organismo di effettiva responsabilità comune, un centro comunitario di decisione basato sul rapporto tra eguali in ordine ad una politica  mondiale tendente alla  ricerca della  pace nella sicurezza” ponendo come condizione principale “il reciproco riconoscimento di pari diritti e doveri e, quindi, la elaborazione in comune della strategia politico-militare dell’Alleanza e ancora un meccanismo decisionale che garantisca la sicurezza di tutti, quali che siano le circostanze”.

Cariglia collegava quindi il discorso del rafforzamento dell’Alleanza atlantica con quello dell’affermazione dell’Europa, considerata un soggetto forte solo se inquadrato in questo sistema. “Come la politica del Partito ha più volte indicato, la logica dell’Alleanza non può che implicare la realizzazione di una vera e propria partnership euro-atlantica”. Tale progetto aveva come necessaria premessa il raggiungimento dell’unificazione europea. “Solo a questa condizione l’Europa può aspirare ad essere un vero partner uguale degli Stati Uniti”. Il dirigente socialdemocratico riteneva, infatti, che solo “in questa strategia della  pace,  si  colloca la funzione dell’Europa, a condizione che sia saldamente unita su basi democratiche, che si liberi da ogni residuo nazionalistico, da  propensioni terzaforziste in campo economico, politico e nucleare”. L’ultima parte del suo intervento fu dedicata all’Internazionale socialista, considerata di fondamentale importanza per garantire ed assicurare gli ideali di democrazia e di pace. “L’Internazionale ha assunto con coerenza ed obiettività, posizioni di fermezza in ogni circostanza fedele agli ideali di democrazia e di pace, lottando contro il colonialismo, difendendo l’uguaglianza razziale, prodigandosi in aiuti morali e materiali in favore di dei popoli oppressi da dittature di ogni tipo, sostenendo i Paesi in via di sviluppo e favorendo sempre una soluzione pacifica e negoziata di tutte le controversie e dei conflitti nei vari scacchieri”131.

Differenti furono, invece, le dichiarazioni presenti nel documento proposto da “Iniziativa e Unità Socialista”, una piccola corrente minoritaria  all’interno  del Partito socialdemocratico che si distinse in alcuni tratti dalle linee di politica estera esposte dalla maggioranza. Nel documento si affrontò, infatti,  l’importante  questione dell’ammissione della Cina all’ONU che, anche se in modo non esplicito poiché non vi erano contenute considerazioni precise, toccava anche la tragica questione vietnamita. Si esprimeva, inoltre, il propositivo ruolo che il  partito  avrebbe potuto svolgere in politica internazionale individuato nel dovere di “stimolare il governo a promuovere, nel quadro delle alleanze che non  possono essere evidentemente oggetto di discussione, iniziative idonee a qualificare la funzione dell’Italia nel mondo atlantico, nel senso di una ricerca e valorizzazione costante di tutte le occasioni di distensione e di pace”.

Affermando, inoltre, che “l’Italia ha un grande compito da assumere responsabilmente e al tempo stesso audacemente, per il bene della pace e per la distensione, senza mettere  in  discussione le alleanze tradizionali, ma nella prospettiva del  superamento  dei blocchi militari e della loro logica funesta”. Nel documento veniva  dichiarato, inoltre, che si sarebbe dovuto procedere in favore di un “benefico processo distensivo” per evitare la formazione di una “nuova Yalta, vale a dire nella spartizione del mondo in zone di influenza gestite autoritariamente dalle due  massime potenze”. Per evitare tale degenerazione del processo di distensione il documento indicava come unica soluzione possibile “il rilancio dell’Europa unita” che desse l’avvio ad “un processo di redistribuzione del potere decisionale nel  mondo […] e ad una corretta impostazione della politica distensiva che non sia ridotta ad un colloquio a due per la spartizione della gestione autoritaria del globo”. All’interno di questa nuova Europa si soffermò sul fondamentale ruolo che avrebbe dovuto ricoprire il movimento socialista europeo e le linee che tale movimento avrebbe dovuto seguire inquadrandole all’interno della difficile situazione internazionale.

“La importante funzione propulsiva che il movimento socialista è chiamato a svolgere nella costruzione europea impone che la sua fedeltà all’Alleanza Atlantica e agli impegni che ne derivano non si risolva in quella che si è convenuto chiamare “scelta di civiltà”. Infatti se è assolutamente, fuori discussione che fra dittatura e libertà il socialismo non può optare che per la libertà, è anche vero che non vogliamo scegliere fra lo statalismo burocratico, terroristico e dittatoriale e concezioni della vita e del mondo fondate sul profitto e sul dominio politico, diretto o indiretto, delle concentrazioni economiche”132.

Nella parte conclusiva del documento a tali soluzioni vi si contrapponeva  quella del movimento socialista europeo, si leggeva, infatti “il socialismo ha una propria e originale soluzione per la creazione di una nuova civiltà politica fondata su valori diversi da quelli attuali, soluzione che sarebbe però velleitario tentare di portare avanti nel quadro di ipotesi neutraliste che oggi non esistono”133.

Nonostante il documento della minoranza affermasse, quindi, la piena e totale adesione al Patto atlantico, come del resto era scontato per tutti  i  dirigenti  all’interno del Partito socialdemocratico, si criticava, seppur lievemente, la cieca e impassibile accettazione dei principi che erano alla base di esso come, invece, dichiarava e faceva la maggioranza all’interno del partito e si contrapponeva  a  quella visione, una soluzione propria del movimento socialista europeo fondata su “valori diversi da quelli attuali”.

Alla conclusione del congresso le idee espresse nel documento presentato da “Iniziativa e Unità Socialista” non vennero tenute in considerazione e la linea che prevalse fu, come scontato, quella della maggioranza. Il documento conclusivo, presentato da Mario Tanassi, ottenne il 96% dei voti. Fu, così, approvata con stragrande maggioranza la politica proposta dal segretario del partito e si avviò su  tali basi teoriche, comprendenti, quindi, anche quelle di politica internazionale, l’incontro dei due partiti socialisti.

L’avvicinarsi dell’unificazione condusse, inoltre, i dirigenti di entrambi i partiti socialisti a proseguire l’analisi di alcuni temi che più di altri suscitavano ancora dubbi e perplessità, tra questi vi era, appunto, anche la politica estera.  Secondo alcuni dirigenti socialisti, che continuavano ad opporsi al progetto di unificazione, gli aspetti della politica internazionale legati, come  conseguenza  logica, al progetto di unificazione, esigevano una più attenta ed approfondita analisi. All’interno del partito Riccardo Lombardi, proseguendo nella sua forte critica al progetto dell’ unificazione, affrontò nel giugno del 1966, al convegno della sinistra socialista, di cui era il leader, anche questo aspetto della questione.

I motivi per i quali abbiamo opposto e apponiamo un no risoluto (e non un equivoco ni assortito di se e di ma e di quando) alla proposta di addivenire alla fusione fra il nostro partito e il Psdi sono di quadruplice ordine: tutti e quattro convergenti sul vero nodo della questione, vale a dire che la fusione non rappresenterebbe affatto l’acquisizione alle posizioni del Psi di altre forze disponibili per una politica socialista; e neppure un incontro a mezza strada fra le posizioni del Psi e del Psdi. Al contrario si tratterebbe di una vera e propria capitolazione del Psi, della sua eliminazione come forza politica autonoma classista e internazionalista e infine dell’accettazione piena e definitiva della ideologia, del metodo politico e del costume della socialdemocrazia: per questo diciamo trattarsi non di unificazione socialista ma di unificazione socialdemocratica, che avverrebbe cioè sulla piattaforma teorica e pratica della socialdemocrazia.

Lombardi, quindi, proseguendo nella sua critica, esponeva alcuni dei principali motivi del rifiuto che concernevano proprio questioni di politica estera.

“Il secondo ordine di motivi è di carattere internazionale. Il Psi ha mantenuta sempre viva la sua vita in confronto dei blocchi politici e militari in cui la guerra fredda ha diviso il mondo: essa trovò la sua più vivace espressione nel neutralismo del nostro partito, inteso a preservare per il movimento operaio una posizione di indipendenza dalle esigenze della strategia mondiale dei due blocchi e dalla pretesa di egemonizzare e strumentalizzare, ai fini della loro politica di potenza, non solo gli stati ma anche il movimento di classe. Fu tale esigenza di autonomia che giustificò l’apparente singolarità (che non fu anomalia ma originalità) del Psi rispetto a tutti gli altri partiti classici in Europa; fu essa uno dei motivi di fondo per cui mai fummo né siamo comunisti. Ma fu anche uno dei motivi per cui non fummo, non siamo né potremmo divenire socialdemocratici.

Lombardi continuò la sua critica alla socialdemocrazia sottolineando la sua cieca e passiva fede nell’atlantismo, accusa che più volte il dirigente  della  minoranza aveva rivolto al Psdi con il fine di rimarcare la profonda differenza rispetto alla tradizione socialista.

Il Psdi ha fatto del suo atlantismo (e del congiunto anticomunismo) una scelta di civiltà, così come pure ha fatto una scelta di civiltà il Pci con la propria scelta. Noi rifiutiamo tale scelta manichea, rifiutando il tardivo battesimo atlantico, perché sappiamo che quelle acque lustrali (neanche somministrate a un bambino ignaro ma a un partito vetusto!) non ci rigenererebbero ma ci farebbero perdere l’anima socialista e internazionalista134.

Il dirigente socialista indicò, inoltre, come ulteriore motivo di opposizione al progetto di unificazione l’adesione all’Internazionale socialista. Considerata una logica conseguenza dell’unificazione ed altro aspetto negativo legato al tema della politica internazionale. La riammissione nell’Internazionale socialista, affermava Lombardi, era considerata una “condizione irrinunciabile (irrinunciabile per il Psdi, inevitabile per il Psi) dell’unificazione” e rappresentava un ulteriore allontanamento se non proprio abbandono dei tradizionali valori socialisti, piegati ad una definitiva resa ai principi socialdemocratici. Infine Lombardi ribadì la sua “risoluta  opposizione alle proposte di unificazione socialdemocratica” sottolineando il fermo tentativo, operato da una parte del Psi, di opporsi “all’identificazione del partito con la socialdemocrazia”, riconoscendo, in questo modo, “la lotta contro l’unificazione” come “la lotta per salvare l’autonomia del Psi”135.

Durante l’estate del 1966 proseguirono, quindi, gli interventi pronunciati dai dirigenti socialisti sulla questione dell’unificazione e delle conseguenze ad essa  legate in vista della imminente realizzazione di tale progetto. Nel luglio del 1966 i due segretari socialisti rilasciarono un’intervista al settimanale “l’Espresso” nella quale era affrontato il tema dell’unificazione che implicava l’analisi di  altre  questioni ad essa connesse come, appunto, quella  della politica estera. Tale articolo si rivelò emblematico e fondamentale per comprende la differente  impostazione  ed il diverso significato che Francesco De Martino e Mario  Tanassi attribuivano al  ruolo della politica estera. La questione veniva affrontata in una domanda dell’intervista, dal contenuto peraltro già significativo: “su certi problemi, come quello della politica estera, sui quali i due partiti socialisti hanno espresso differenti posizioni e valutazioni, anche di recente, quale sarà l’atteggiamento che assumerà la delegazione al governo del partito unificato?”.

La risposta di De Martino se da un parte rimandava la soluzione del problema  ai contenuti dei futuri documenti congressuali, dall’altra esprimeva interessanti considerazioni.

“L’atteggiamento sarà definito nei documenti costitutivi del partito unificato. Nel corso degli anni la forza delle cose ed i mutamenti della situazione internazionale, le possibilità della distensione pure nel permanere delle alleanze, la convinzione che le alleanze devono essere adoperate per assicurare la pace non per un confronto di forza e di potenza, hanno già indotto i due partiti ad un avvicinamento delle loro posizioni. Il compito essenziale del partito unificato non potrà che essere quello della pace, della distensione, del superamento dei blocchi militari, nell’adesione delle alleanze tradizionali dell’Italia, che non possono ancora essere disdette per non alterare l’equilibrio delle forze su cui regge la pace, ma che sono suscettibili dei mutamenti imposti dalla nuova situazione mondiale e dall’Europa. Il carattere pacifista ed internazionalista proprio del movimento socialista sarà presente nel partito unificato.

Quanto al resto, gli orientamenti generali vanno fissati; è ovvio che una definizione precisa e puntuale del programma e delle sue singole parti spetterà al Congresso del partito.

Il segretario del Psi, dopo aver dichiarato che la mutata situazione internazionale aveva permesso ai due partiti socialisti di avvicinare le proprie posizioni, ribadiva, però, la necessità di trasferire nel nuovo partito alcuni dei caratteri fondamentali della tradizionale politica estera socialista indicati in quello pacifista ed internazionalista, ribadendo, inoltre, come compiti fondamentali per il Psu: quello della pace, della distensione, del superamento dei blocchi militari. De Martino, inoltre, pur confermando l’adesione alle alleanze stipulate in precedenza dall’Italia, non escludeva la possibilità di un probabile cambiamento realizzabile in futuro.

La risposta del segretario del Psdi risultò differente rispetto a quella di De Martino soprattutto nell’inquadrare la questione. Tanassi si limitava, infatti, a considerala una risultante scontata della formazione dei governi di centro-sinistra.

I due partiti collaborano insieme al governo da qualche anno e possiamo dire tranquillamente che le due delegazioni al governo no hanno mai avuto dissensi di rilievo e comunque tali da essere considerati superiori ai normali dissensi che pure esistono tra uomini di uno stesso partito.

Siamo certi quindi che la delegazione al governo del futuro partito unificato troverà facilmente una posizione politica univoca tale da rappresentare, con sempre maggiore efficacia, la politica già oggi comune ai due partiti.

E’ vero che i due partiti hanno espresso valutazioni diverse sulla politica estera ma ciò non ha impedito la collaborazione allo stesso governo e, come dimostra il recente passato, i due partiti hanno via via ridotto la differenza delle valutazioni anche su questo delicato problema.

Se è stato possibile collaborare alla politica estera del governo, che quasi ogni giorno deve fare le sue scelte pratiche anche in questo settore, riteniamo che non sia difficile concordare fra socialisti una linea comune di politica internazionale in difesa della pace nella libertà e nella sicurezza di tutti i popoli, nel contesto delle alleanze esistenti, in relazione all’equilibrio delle forze e per una politica di distensione internazionale.

Concludiamo quindi questo punto affermando che il nuovo partito definirà subito la sua posizione136.

Tanassi inserì la questione della politica estera del nuovo partito nel più ampio discorso del definitivo approdo del Partito socialista italiano al governo ed alla trasformazione, quindi, del Psi in partito di governo. Secondo il segretario del Psdi, dunque, la comune presenza dei due partiti socialisti al governo che, per forza di cose, li portava all’accettazione di una linea di politica estera comune, sminuiva le differenti considerazioni esposte su tale questione. La collaborazione di entrambi i partiti al governo per il segretario del Psdi attenuava e minimizzava, di fatto, quelle divergenti e spesso contrastanti valutazioni più volte  espresse  da  numerosi esponenti socialisti ed era soprattutto la garanzia di un facile incontro dei due partiti su questo tema. Tale considerazione si rivelava superficiale e sbagliata e sottovalutava l’importanza che invece tale questione ricopriva all’interno del Partito socialista italiano. Alcuni dirigenti socialisti sottolineavano, infatti, nei  loro interventi la differente e contrastante visione che avevano i  due  partiti nell’affrontare le delicate questioni di politica internazionale di quegli anni.

All’interno del Psi i dirigenti della minoranza continuavano a porre al centro delle loro obiezioni anche motivi di politica estera come emerse in modo chiaro nella seduta del Comitato centrale del luglio del 1966, nella quale Lombardi ribadì la differenza che ancora perdurava in questo campo tra i due partiti socialisti. Il dirigente socialista affermò, infatti che “il Psdi è stato tradizionalmente l’alfiere dell’atlantismo nella sua interpretazione più oltranzista” dichiarando, inoltre, che questa era “espressione di una linea che accetta la logica della politica americana e dell’imperialismo137”. Lombardi ripropose queste obiezioni anche nel successivo incontro del partito riunito in Direzione per discutere sui  documenti  politici  elaborati dal Comitato paritetico per l’unificazione. Il dirigente socialista, riprendendo i motivi già esposti in precedenza alla riunione della sinistra socialista, tornò ad attaccare le linee base del progetto di unificazione concentrando la sua critica su quattro punti fondamentali. Lombardi poneva, questa volta, come  argomenti decisivi, posti al primo e secondo punto, quelli relativi alla politica internazionale individuati ancora una volta “nella rinuncia ad una chiara presa di posizione sul fenomeno dominante dell’imperialismo nella sua più vistosa manifestazione di intervento militare e finanziario degli USA” e  “nella adesione  data al sistema di alleanze ed alla politica di equilibrio militare, adesione che è un ostacolo a far valere una posizione efficace dell’Italia  nel momento in cui i sistemi  di alleanza sono in crisi e possono aprire la via a condizioni nuove di convivenza pacifica”138. Nelle accuse di Lombardi era contenuta un’approfondita riflessione relativa alla politica internazionale, elaborata in seguito a valutazioni e considerazioni scaturite proprio dalla paura delle conseguenze ideologiche dell’unificazione. Lombardi individuava nell’adesione al sistema delle alleanze un ostacolo ad una possibile azione dell’Italia e di conseguenza anche del Psi, partito di governo, nel campo internazionale. Il dirigente socialista, considerando in crisi i sistemi di alleanza, criticava la rinuncia ad una chiara presa di posizione non solo da parte del Partito socialista italiano ma del governo italiano contro l’imperialismo americano.

L’impegno di Lombardi e di alcuni esponenti  della sinistra era rivolto, quindi, al tentativo di salvaguardare e proteggere il tradizionale patrimonio socialista dal pericolo, insito nella unificazione, di una degenerazione socialdemocratica. La questione della politica internazionale si inseriva, quindi, in tale dinamica e rappresentò un punto importante e ricorrente nelle critiche di Lombardi e dei  dirigenti della sinistra, preoccupati, come più volte dimostrato, che l’unificazione portasse ad un inevitabile cambiamento di rotta che avrebbe potuto far perdere o addirittura abbandonare alcuni dei principi della tradizione socialista.  Il timore di  una socialdemocratizzazione del Psi era, dunque, fortemente presente tra gli esponenti della sinistra che, già critici verso il governo di centro-sinistra del quale non approvavano alcune scelte, si trovavano ora costretti ad accettare un nuovo progetto politico con una forza, il Psdi, che consideravano estranea alla tradizione socialista. Le differenze tra i due partiti erano ancora profonde e sostanziali e la comune presenza al governo non le avrebbe di certo potute cancellare .

Lombardi e la nuova sinistra, per certi aspetti, presero il posto della vecchia sinistra di Vecchietti e Basso che, opponendosi alla svendita del patrimonio ideologico socialista derivata dall’ingresso del Psi al governo, abbandonarono il partito.  Il dirigente socialista si trovava, ora, ad avere le medesime preoccupazioni   e, per tali ragioni, si impegnava a lottare tenacemente per salvaguardare i principi della tradizione socialista dall’unificazione. L’attacco all’imperialismo,  all’atlantismo e alla politica di potenza degli Stati Uniti furono presenti anche nelle critiche di Lombardi che si stava allontanando sempre di più dalla linea politica tracciata da Nenni e dagli altri autonomisti sino a giungere alla definitiva rottura alla vigilia dell’unificazione.

 

Note:

103. Per una ricostruzione dettagliata degli avvenimenti che precedettero la formazione del primo governo di centro-sinistra, L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra: importanza e limiti della presenza americana in Italia, Laterza, Roma 1999 e S. Di Scala, Da Nenni a Craxi: il socialismo italiano visto dagli USA, SugarCo, Milano 1991.

104. G. Mammarella, P. Cacace, La politica estera dell’Italia. Dallo Stato unitario ai giorni nostri,

Laterza, Bari 2008. pp. 214-215.

105. T. Nencioni, Tra neutralismo e atlantismo. La politica internazionale del Partito socialista italiano 1956-1966, in “Italia contemporanea”, settembre 2010, n.260. Per l’analisi della politica estera del Partito socialista italiano durante il primo governo di centro-sinistra si vedano pp. 450- 470.

106. Pietro Nenni, Aldo Moro. Carteggio 1960-1978, intr. e cura Giuseppe Tamburrano, La Nuova Italia, Firenze 1998. p. 12-13.

107. G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro-sinistra, cit., p. 240-245.

108. M. Degli Innocenti, Storia del Psi, cit., p. 314-316.

109. G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro-sinistra, cit., p. 246.

110. F. De Martino, Un’epoca del socialismo, cit., pp. 249-255. Nel documento della corrente autonomista, nella parte relativa alla politica estera, furono effettuate alcune correzioni suggerite da Riccardo Lombardi. Nel testo sono riportate le modifiche proposte dal dirigente, p.255.

111. Secondo Francesco De Martino tale espressione era stata introdotta nel documento su iniziativa di Riccardo Lombardi. Si veda nota n. 8 di tale lavoro.

112. Partito socialista italiano, 35° congresso nazionale, Roma, 25-26-27-28-29 ottobre 1963. Resoconto integrale con un’appendice di documenti precongressuali, Edizioni Avanti!, Milano 1964, pp.660- 669.

113. Ivi, p.646.

114. Ivi, p.697 e segg.

115. Ivi, pp.50-56

116. Ivi, pp.118-128

117. Ivi, pp.560-562

118. Ivi, p. 594.

119. Ivi, pp. 356-357.

120. Ivi, pp. 482-489.

121. Ivi, pp. 285-289.

122. L’accettazione del Patto atlantico da parte del Partito socialista italiano fu stabilita dalla mozione finale al XXXI congresso del partito che si svolse a Torino dal 31 marzo al 3 aprile del 1955.

123. M. Degli Innocenti, Storia de Psi, cit., p. 319.

124. In sede storiografica, A. Benzoni, I socialisti e la politica estera, in M. Bonanni (a cura di), La politica estera della Repubblica italiana, Comunità, Milano 1967. Benzoni, affrontando tale questione, affermava “la visione socialista dei problemi mondiali, quale si delinea a partire dal 1963, è sensibilmente diversa da quella del periodo precedente. Alla visione dinamica che legava tra di loro (sia pure in modo meccanico) il progredire della distensione, del neutralismo e del il socialismo si sostituisce ora una visione che accentuando la componente di difesa della pace la lega sostanzialmente al mantenimento degli equilibri esistenti”.

125. Alla conclusione del congresso la mozione di “Autonomia socialista” raggiunse il 54,42%, la

mozione della sinistra ottenne il 39,3% dei voti e quella proposta da Sandro Pertini Per l’unità del Partito ottenne il 2,16%.

126. Le complicate vicende legate al processo di unificazione sono descritte in modo approfondito nel primo capitolo di questo lavoro.

127. Tali questioni sono trattate in modo specifico nel terzo capitolo di questo lavoro.

128. “Avanti!”, 11 novembre 1965.

129. P. Nenni, Il socialismo nella democrazia, cit., pp.339-340.

130. “Avanti!”, 16 novembre 1965.

131. “Socialismo Democratico”, 16 gennaio 1966.

132. G. Averardi, I Socialisti democratici, cit., p. 415.

133. Ivi, p. 416.

134. Riccardo Lombardi, Perché rifiutiamo l’unificazione con il Psdi, in Id. , Scritti politici, a cura di S. Colarizi, vol. II, Marsilio, Venezia 1978, p.61-63.

135. Ivi, p.64.

136.  “Socialismo Democratico”,  10 luglio  1966. Una intervista dei compagni De  Martino  e  Tanassi.

Intervista ripresa interamente da “l’Espresso”, 3 luglio 1966, “Si prepara la Costituente del socialismo”.

137.  “Avanti!”, 30 luglio 1966.

138.  “Avanti!”, 30 luglio 1966.