LA CARTA IDEOLOGICA DELL’UNIFICAZIONE: TEMI TRADIZIONALI E NUOVI ASPETTI NELLA POLITICA ESTERA SOCIALISTA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae
DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica

CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI

(ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI

La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969

M-STO/04
Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045

ANNO ACCADEMICO 2012-2013

 

CAPITOLO SECONDO

2.2 La carta ideologica dell’unificazione: temi tradizionali e nuovi aspetto nella politica estera socialista

Al Comitato centrale socialista del 16 settembre del 1966, l’ultimo prima del congresso dell’unificazione, furono esaminati ed, infine, approvati i documenti dell’unificazione: lo Statuto, le Norme transitorie e la Carta ideologica.  Al centro  del dibattito fu posto il documento ideologico elaborato dal Comitato paritetico in seguito a numerose discussioni e criticato ferocemente dalla sinistra interna al  partito. I giudizi negativi, che furono ripresi, in parte, durante il dibattito congressuale, riguardarono in modo particolare l’aspetto relativo alla politica estera. Tale questione venne affrontata al punto numero sei della Carta ideologica. Nel documento si associavano a temi tradizionali del patrimonio ideologico socialista indirizzi nuovi, frutto dei cambiamenti avvenuti sia in seguito all’unificazione che mutato clima internazionale.

L’elemento nuovo e più rilevante era rappresentato dall’ingresso del nuovo partito nell’Internazionale socialista, costituendosi come “sezione dell’Internazionale socialista”. Il Psu si sarebbe impegnato, quindi, a  seguire i fondamentali principi dell’Internazionale individuati nella “solidarietà dei lavoratori del mondo intero; l’appoggio e l’aiuto ai popoli che ancora debbono raggiungere la loro indipendenza  o che debbono difenderla  da interferenze straniere e da residui colonialistici” ed inoltre nella “lotta contro l’imperialismo nelle forme tradizionali e nuove in cui si manifesta”. Il nuovo partito avrebbe avuto come obiettivo principale quello “dell’organizzazione della pace” considerato  “il  problema dominante del mondo e di ogni singola nazione”, analizzava, inoltre, “i punti di convergenza nella azione internazionale dei socialisti, al di sopra  dei  blocchi militari o al loro interno” indicati nello “sforzo comune di assicurare all’Organizzazione delle Nazioni Unite l’autorità e l’universalità di cui ha bisogno per assolvere il compito di suprema regolatrice delle relazioni internazionali”.

Il Psu avrebbe garantito, quindi, “l’appoggio alla politica della distensione, del disarmo, della non proliferazione e disseminazione, e della interdizione degli armamenti nucleari”. Il nuovo partito confermando “la consapevolezza dei rischi inerenti ad  ogni alterazione unilaterale dell’attuale equilibrio sul quale si regge la pace nel mondo, sia pure in modo precario” si sarebbe impegnato nella “ricerca di sempre maggiori rapporti tra i paesi dell’Ovest e dell’Est” e per “l’incoraggiamento ai paesi neutrali e non impegnati nel loro sforzo di rinascita politica ed economica e di mediazione pacifica”. Nel documento si ribadiva, inoltre, l’accettazione del Patto Atlantico e degli obblighi ad esso legati nella interpretazione difensiva e geograficamente delimitata. Il Psu considerava “obiettivi costanti e supremi del Partito […] la messa al bando della guerra e il superamento dei blocchi militari”, il nuovo partito si sarebbe impegnato, inoltre, “nella costruzione dell’unificazione dell’Europa” affermando che “nel mondo di oggi la mancata unificazione europea crea un vuoto che spetta ai socialisti di colmare nell’interesse della pace”139.

Il primo aspetto fondamentale ma soprattutto nuovo presente nella Carta ideologica dell’unificazione era rappresentato dal sancito ritorno del  Partito socialista italiano all’interno dell’Internazionale socialista. L’organizzazione, dalla quale era stato espulso nella primavera del 1949, era stata considerata, sino a pochi anni prima, incapace di incidere sui problemi internazionali, soggiogata  dalle  logiche dei blocchi e, quindi, indifferente di fronte alle lotte di liberazione coloniale. L’Internazionale socialista, in vista dell’unificazione, rappresentava, ora, il luogo migliore per dare “l’appoggio e l’aiuto ai popoli che ancora debbono raggiungere la loro indipendenza o che debbono difenderla da interferenze straniere e da residui colonialistici”. Per alcuni dirigenti della sinistra interna al Psi tale contraddizione  non era stata risolta, persistendo, anzi, in modo ancora evidente. Secondo il loro giudizio, l’Internazionale continuava, quindi, a presentare questi  gravi  limiti  che non potevano essere accettati.

Nella Carta ideologica erano riportati alcuni dei fondamentali principi della tradizionale politica internazionale del Psi riconosciuti nell’internazionalismo, nel pacifismo e nella lotta contro l’imperialismo. Era, inoltre, confermata l’adesione del nuovo partito all’Alleanza atlantica ed agli obblighi ed i vincoli legati ad essa intesi sempre nella loro interpretazione difensiva e geograficamente delimitata; era, quindi un partito “atlantico” e non “atlantista” poiché, non accettando il Patto atlantico inteso “come scelta di civiltà”, ne respingeva l’ideologia140. Il nuovo partito sarebbe stato, inoltre, europeista anche se in questo campo le dichiarazioni esposte nella Carta si limitarono ad una riaffermazione per un impegno volto “alla costruzione dell’unificazione”. Non erano presenti, inoltre, dichiarazioni inerenti  ad  un eventuale ruolo autonomo dell’Europa all’interno dei blocchi o ad un suo contributo incisivo nella scena politica internazionale.

Nel documento ideologico, accanto a chiare esposizioni di principi ed obiettivi politici, emergevano, però, degli aspetti in parte contraddittori. Il nuovo partito avrebbe avuto “come obiettivo costante e supremo” quello del superamento della politica dei blocchi pur ritenendo indispensabile  la difesa degli equilibri esistenti  che, al tempo stesso, si basava proprio su tale politica. Nella situazione internazionale, infatti, il mantenimento dello status quo continuava ad essere considerato come l’unico fattore “sul quale si regge la pace nel  mondo”. “L’appoggio alla politica della distensione”, considerato un punto fondamentale  nella Carta, mal si conciliava con la lotta all’imperialismo e con il proposito di appoggiare ed aiutare i popoli in lotta per la propria indipendenza; iniziative che avrebbero potuto mettere in crisi i principi stessi della distensione141.

La difficoltà di conciliare principi ed interpretazioni tra loro contrastanti appariva evidente nella Carta ideologica dell’unificazione e non derivava solo dal tentativo di accostare due patrimoni ideologici in parte differenti ma non inconciliabili. Una tale difficoltà era, inoltre, il frutto di una mancanza di unità di vedute presenti all’interno dello stesso Partito socialista italiano. Le differenti interpretazioni elaborate intorno ai principi ideologici e  politici  dell’unificazione, che riguardavano anche le linee di politica estera, avevano prodotto una frattura interna al partito che non aveva permesso l’elaborazione di una comune base per la realizzazione del progetto. Il Psi, alla vigilia dell’unificazione,  si  presentava, dunque, spaccato tra una corrente autonomista, sempre pronta a  cercare  e sottolineare gli aspetti comuni con la socialdemocrazia, ed una corrente di sinistra che, al contrario, si soffermava a rimarcare le differenze ancora presenti tra i due partiti, accusando i dirigenti autonomisti di aver piegato la tradizione socialista al progetto di unificazione.

Le differenti concezioni dell’unificazione e degli aspetti della politica estera legati ad essa emersero dirompenti nel dibattito al Comitato centrale,  durante  il quale i principi relativi alla politica estera, esposti nel punto sei della Carta ideologica, furono posti sotto accusa da alcuni dirigenti del partito. Lombardi e Giolitti non risparmiarono, infatti, le loro critiche su tale aspetto considerato un  punto fondamentale da preservare e difendere dalle insidie dell’unificazione.

Lombardi, intervenendo alla riunione del Comitato  centrale,  giudicò  addirittura “uno scandalo per un partito socialista, il rifiuto di inquadrare la sua posizione internazionale in un coerente giudizio non dell’imperialismo generico, ma di quello del nostro tempo con le sue manifestazioni precise di oggi alle quali è  legato il problema della pace” accusandoli di “rifugiarsi nel diversivo di un europeismo che, privo di specificazioni e indicazioni socialiste finisce per essere obiettivamente reazionario in quanto si identifica con la prospettiva di una integrazione europea dominata  dalla potenza egemone che è poi la nazione leader  del capitalismo mondiale”. Il “rifiuto” di condannare l’imperialismo nascondendosi “nel diversivo dell’europeismo” avrebbero condotto il Partito socialista  italiano  verso “la accettazione e addirittura la canonizzazione dell’equilibrio mondiale fondato sulle alleanze militari e politiche in contraddizione fragrante con tutta la storia del movimento operaio e del socialismo italiano”142.

Nella forte critica all’imperialismo, non “di quello generico” ma nello specifico “di quello del nostro tempo” si potrebbe intendere una critica all’imperialismo degli Stati Uniti, insito nei caratteri costitutivi dell’atlantismo. Partendo da tale considerazione Lombardi effettuava una critica rivolta a tutta la nuova linea di politica estera scelta dai socialisti. La nuova impostazione della politica internazionale stabilita dagli autonomisti prevedeva, inoltre, un europeismo “reazionario”, “privo  di  specificazioni e indicazioni socialiste” ma soprattutto “dominato dalla potenza egemone che è poi la nazione leader del capitalismo mondiale”, identificata, quindi, negli Stati Uniti. L’Europa degli autonomisti sarebbe stata, dunque,  “dominata”  dagli Stati Uniti avendo perso, quindi, quei caratteri antimperialisti che le avrebbero potuto permettere di ritagliarsi un ruolo autonomo nel panorama internazionale, indipendente dal blocco atlantico. La nuova politica estera avrebbe portato, inoltre, “ad una canonizzazione dell’equilibrio mondiale” che si scontrava con tutta la tradizione del socialismo italiano.

Antonio Giolitti, intervenendo nel dibattito, si unì alle critiche di Lombardi. Il dirigente della sinistra affermò che “la chiarezza e la coerenza della prospettiva socialista esige scelte molto precise sul terreno della politica estera, in  una  situazione internazionale che per la sua complessità esige sì prudenza e duttilità di comportamenti ma impone ai socialisti posizioni nette contro le aggressioni imperialiste e a favore dei popoli in lotta per l’indipendenza, come nel caso del Vietnam”143. Anche Giolitti esigeva, dunque, scelte chiare e precise  in  politica  estera e, come Lombardi, richiedeva una posizione più netta e decisa contro l’imperialismo.

Il segretario del partito replicò alle pesanti dichiarazioni dei dirigenti della sinistra. Nel suo intervento De Martino giudicò le critiche rivolte ai principi esposti nella Carta dell’unificazione, “eccessive” affermando, al contrario, che “i principi sanciti sono quelli tradizionali della lotta pacifista, antimperialista, del superamento dei blocchi. Questo è esplicitamente detto nel documento”. Affrontando, in seguito,  il tema del Patto atlantico dichiarava che il Psi aveva accettato l’Alleanza atlantica senza annullare “le sue precedenti posizioni”. “Né si può dire che il partito abbia accettato oggi l’Alleanza atlantica, annullando le sue precedenti posizioni.  In realtà  il partito già nei precedenti congressi aveva accettato tale stato internazionale dell’Italia, come un dato politico non come un principio permanente ed ideale”. Per  il segretario socialista anche la Carta ideologica, così come il Psi, “non accetta il permanere dei blocchi come un dato eterno; essa si dichiara invece contraria ai mutamenti unilaterali dei rapporti di forza solo perché tali mutamenti non favorirebbero la causa della distensione e della pace ma la renderebbero più precaria”144.

De Martino, per difendere dagli attacchi della sinistra il contenuto della Carta ideologica riprese le tradizionali riflessioni utilizzate dai socialisti autonomisti. Il segretario socialista ribadiva, infatti, l’accettazione del Patto atlantico come una scelta già presa dai socialisti nei precedenti congressi, anche se teneva  a puntualizzare che si trattava di un “dato politico” e non di “un principio permanente ed ideale”, così come teneva a precisare che la politica dei blocchi non era intesa “come un dato eterno”. Ciò che De Martino riconfermava era il rifiuto di ogni modifica unilaterale dello status quo, considerato indispensabile per la politica della distensione. Il mantenimento degli equilibri esistenti era considerato un principio fondamentale nella politica estera socialista ma rappresentava nello stesso tempo un controsenso presente anche nella Carta ideologica.

Al XXXVII congresso straordinario del Psi dell’ottobre del 1966, i dirigenti socialisti si trovarono di fronte ad una unificazione già avvenuta. Lombardi e  Giolitti, intervenendo nel dibattito congressuale, proseguirono le critiche rivolte al progetto di unificazione ed ai contenuti esposti nella Carta ideologica. I dirigenti della sinistra ripresero gli argomenti polemici già espressi nell’ultima riunione del Comitato centrale indirizzati verso i principi elaborati nel documento relativi alla politica estera. Il segretario del partito, Francesco De Martino si trovò, così, nuovamente costretto a cercare una mediazione tra la corrente autonomista, favorevole al progetto, e la corrente di sinistra fortemente contraria ma decisa a rimanere nel futuro partito. La sua relazione al congresso si discostò da quella pronunciata al Comitato centrale di settembre. Nel precedente intervento era contenuta, infatti, una difesa dei principi espressi nella Carta ideologica dell’unificazione, pronunciata, forse, per attutire le polemiche.

Le dichiarazioni presentate al congresso riprendevano, invece, alcuni spunti critici formulati, in precedenza, da Lombardi. Nel suo intervento, infatti, pur riproponendo alcuni tratti espressi nella Carta ideologica, ne approfondiva altri più vicini alla tradizione socialista ma ignorati dal documento. Per prima cosa, il segretario del Psi affrontò il tema del ritorno del partito nell’Internazionale socialista, considerato un risultato raggiunto in conseguenza del positivo cambiamento della situazione internazionale che aveva imposto il collegamento del Partito socialista italiano con gli altri partiti dell’Europa occidentale. “La distensione internazionale ha fatto sentire i  suoi benefici effetti ed il problema del collegamento del Partito con gli atri partiti dell’Europa occidentale si è imposto”. Tale imposizione non avrebbe dovuto impedire, però, “al Partito Unificato di avere contatti e scambi di opinioni con ogni altro movimento operaio e progressista in qualsiasi parte del mondo,  a cominciare dai Paesi dell’Est europeo, non solo per la migliore conoscenza di tutti i problemi,  ma anche per giovare alla causa della pace e della distensione”. De  Martino  affrontò, in seguito, il delicato tema dell’Europa, fonte di attrito tra le due anime del partito.

Il segretario socialista considerava fondamentale la  costruzione  di un’Europa socialista unita, forte, fuori dalla rigida logica dei blocchi, fondata su una stretta  collaborazione  dei socialisti “con tutte le forze della sinistra democratica”.  Un soggetto politico libero ed autonomo per la realizzazione del quale “i socialisti possono dare un grande contributo a questa opera storica, che può giovare in modo decisivo all’assetto dell’equilibrio mondiale, al superamento dei blocchi, alla pace”.

Una visione comune a quella espressa da Lombardi che avrebbe voluto un’Europa socialista in grado di incidere sulle dinamiche internazionali come soggetto indipendente, libero dalla logica dei blocchi. Seguendo  le riflessioni di Lombardi,  De Martino indicò come obiettivi fondamentali per una politica estera socialista, “l’internazionalismo, l’appoggio ai popoli coloniali od ex coloniali in lotta per la   loro indipendenza e la lotta contro l’imperialismo nelle  forme tradizionali  e nuove  in cui si manifesta” riaffermando, inoltre, “i temi più generali” indicati “nel rafforzamento dell’ONU e soluzione negoziata dei contrasti, distensione, disarmo, non proliferazione e disseminazione, interdizione degli armamenti nucleari,  ricerca di sempre  maggiori rapporti fra Est ed Ovest, incoraggiamento ai paesi neutrali, ed  in definitiva porre al bando la guerra, superare i blocchi militari”. Il segretario socialista in questo quadro internazionale e “nella coscienza che ogni alterazione unilaterale dell’attuale equilibrio delle forze crea gravi rischi” affrontava il tema  della Nato. De Martino, dopo aver ribadito l’accettazione del Patto atlantico che “risponde ad una visione realistica dei rapporti internazionali dell’Italia” puntualizzava, però, che tale vincolo “non implica rinunce alla lotta per la  distensione e la pace, né significa accettazione dell’Alleanza come scelta di civiltà.   Il nostro rifiuto di qualsiasi legittimazione ideologica di una alleanza militare  è ovvio, dal momento che l’ispirazione fondamentale del Partito è di perseguire la distensione ed il superamento dei blocchi”145. Il segretario socialista ribadiva, in questo modo,  la sostanziale differenza che vi era ancora tra i due partiti  socialisti,  un aspetto più volte rimarcato anche dagli esponenti della sinistra.

La relazione di Pietro Nenni fu quasi interamente dedicata ad una riflessione sul Patto atlantico, questione di politica internazionale che più di ogni altra vedeva contrapposti il leader socialista a Riccardo Lombardi. L’accettazione della Nato era considerata ed inquadrata dai dirigenti della sinistra, Lombardi per primo, in  un’ottica di svendita della tradizione socialista, iniziata con l’ingresso al governo di centro-sinistra ed ora definitivamente compiuta  in seguito all’unificazione. Nenni,  al contrario,continuava a giustificare tale accettazione come una logica conseguenza  del mutato contesto internazionale: la stessa teoria sulla quale si era fondata la riflessione degli autonomisti al XXXV congresso del partito alla  vigilia  dell’ingresso al governo. Nenni con tale argomentazione si difese  da  “alcune  critiche sulla politica internazionale del Partito che ci vengono fatte fuori e qualche volta nell’esercizio di un diritto incontestabile anche dentro il Partito”. Il leader socialista ribadì il fatto che “anche in questo campo, compagni, non ci sono state improvvisazioni” affermando che “la partecipazione italiana al Patto atlantico, non è un prezzo che noi abbiamo pagato al centro-sinistra o che paghiamo all’unificazione socialista. E’ il risultato della evoluzione della situazione internazionale dal 1949 fino ad oggi”.

Posizione ribadita da Nenni in un altro passo del suo intervento nel quale affermava “quello che mi pareva utile sottolineare è che nel campo della politica internazionale, come in ogni altro, abbiamo seguito una linea politica coerente e conseguente, scaturita dalle scelte autonome  dei nostri  Congressi e non da sollecitazioni esterne”. Il leader socialista con tale affermazione voleva confermare il fatto che l’accettazione del Patto atlantico risaliva ad una riflessione operata dai socialisti ed elaborata molto tempo prima dell’approdo al centro-sinistra od al progetto dell’unificazione e che, quindi, non si trattava di una posizione strumentale ma una decisone sostenuta dal contesto internazionale.

“Quella è diventata da allora – non da adesso – la nostra posizione, in un contesto più vasto, in cui la difesa e l’organizzazione della pace venivano collocate nel quadro dell’equilibrio dei due blocchi (l’equilibrio detto del terrore), della politica della distensione, del disarmo, della non proliferazione delle armi atomiche, della soluzione pacifica e negoziata dei conflitti tra gli Stati, della valorizzazione del Terzo Mondo e della universalizzazione dell’ONU con l’ingresso in essa della Cina nella posizione di diritto che le compete, accettandone gli oneri. Queste sono le direttive sulle quali abbiamo imbastito la nostra azione di politica internazionale e il nostro contributo alla politica estera del nostro Paese”146.

Negli interventi di Lombardi e Giolitti furono riprese le linee di critica relative alla politica internazionale del nuovo partito ribadite sino a quel momento fuori e dentro il partito, sottolineando le differenze di interpretazioni e di prospettive legate  a questo delicato ed importante tema che ancora permanevano nel nuovo partito.

Nel suo intervento Giolitti ribadì “la fermezza della posizione contro l’imperialismo” che secondo il dirigente della sinistra “risponde non  solo all’esigenza di fedeltà alla tradizione internazionalista e pacifista, ma anche alla necessità di coerenza operativa in un’azione  che non può rimanere circoscritta entro  i confini nazionali ormai anacronistici”. Giolitti proponeva, quindi,  come  “alternativa positiva da contrapporre alla politica imperialistica” quella  di  “un  nuovo tipo di rapporti tra Paesi sviluppati e sottosviluppati, nei quali si realizzano i valori socialisti di libertà, giustizia, eguaglianza”. Per Giolitti tale  alternativa  sarebbe dovuta essere affidata ai Paesi europei mentre l’Italia l’avrebbe potuta stimolare. Il dirigente socialista proseguì facendo una critica all’esperienza del riformismo socialdemocratico giudicato “superato e riassorbito dall’evoluzione del capitalismo contemporaneo e della stessa società del benessere”, non in grado,  quindi, di risolvere i problemi internazionali. Per Giolitti solo una efficace riorganizzazione della sinistra avrebbe potuto risolvere questi gravi problemi “che impongono revisioni profonde a tutte le componenti del movimento operaio e che non si risolvono senza la forza di uno schieramento che le comprenda tutte”147.

Lombardi dedicò gran parte del suo intervento al tema della politica estera. Il dirigete della sinistra, partendo dal presupposto “che è impossibile oggi non considerare il fatto che la politica nazionale e la politica economica di un partito  sono fortemente condizionate dalla situazione internazionale”, affermava che “non c’è possibilità di un’azione socialista, che incida sulle strutture, che non tenga conto dei condizionamenti internazionali, non soltanto per un impegno di carattere umanitario verso il Terzo Mondo sottosviluppato, ma anche per necessità vitali”. Parlando, poi, dell’impegno europeista del partito riprese gli argomenti critici già pronunciati in settembre al Comitato centrale, che contenevano una visione dell’Europa profondamente differente rispetto a quel “diversivo” elaborato dagli autonomisti. Lombardi su tale questione dichiarò: “sono convinto che questo impegno sia necessario, sia prioritario nella politica internazionale. Bisogna però vedere di quale europeismo si tratta,  bisogna stare  attenti cioè che non si tratti di  una forma di evasione verso impegni non solo di carattere territorialmente più universale e più generale, ma anche di carattere politico e sociale sostanzialmente differenti”.

Lombardi considerava, quindi, l’impegno per la costruzione dell’Europa necessario e prioritario ma si trattava di formulare un  europeismo  che  si allontanasse da quello inteso come “forma di evasione”, giudicato negativo ed  inutile. Proseguendo su tale direzione, il dirigente affrontò il  tema  dell’imperialismo, effettuandone un’analisi teorica fondamentale tesa a chiarire le proprie considerazioni. “Io vorrei ricordare qual è la situazione di oggi, le enormi risorse che potenzialmente sono oggi padroneggiate dagli Stati Uniti d’America anche per la loro parziale evoluzione nel progresso del Terzo Mondo e che sono proprio condizionate da una politica di classe, da una tenacia consona agli interessi  di fondo del capitalismo moderno” sostenendo, quindi, che “la sola forza che democraticamente, finanziariamente abbia la possibilità di poter opporre a questa politica una politica diversa, di fare una politica veramente democratica verso il Terzo Mondo, è una forza socialista”. In seguito Lombardi effettuò un esame della politica delle socialdemocrazie con le quali il futuro partito, costituendosi  in “Sezione dell’Internazionale socialista”, si sarebbe trovato costretto a collaborare. “Se oggi facciamo questo passo, bene, buona, o cattiva che sia stata la scelta, di un rinnovato contatto e collaborazione con i partiti dell’Internazionale socialista, dobbiamo riprometterci di fare una politica verso di essi e questa non può essere che orientata verso un giudizio della loro attuale politica”.

Il dirigente socialista ne sottolineava, quindi, i gravi limiti individuati in una mancanza di coerenza politica presente sia nella politica interna sia in quella estera, criticandone la rinuncia “a riconoscere la necessità di una strategia rivoluzionaria” e “l’accettazione piena del sistema di governo capitalista e della cosiddetta politica consumistica”. Lombardi proseguiva, quindi, la sua valutazione dei partiti socialdemocratici toccando anche  gli aspetti riguardanti la politica internazionale. “Non c’è dubbio  che  la politica delle socialdemocrazie, anche quelle più sviluppate, anche quelle  che  hanno  formato giustamente oggetto del nostro massimo interesse […] hanno accettato in modo supino, in modo inerte e suicida un accomodamento acritico alla politica americana, con tutti i condizionamenti che ne derivano”148. Nell’  approfondita  analisi sulla politica formulata dalle socialdemocrazie europee Lombardi non rilevava, dunque, alcun aspetto positivo o comune alla tradizione del  Partito socialista italiano e proprio su tali basi nasceva il rifiuto e l’opposizione  al  reingresso del Partito socialista italiano nell’alveo di una organizzazione  come  quella dell’Internazionale che, comprendendo questi partiti, ne  condivideva  e seguiva la politica.

Il 30 ottobre del 1966 si svolse a Roma la Costituente socialista che sancì  l’avvenuta unificazione tra i due partiti socialisti. Nel discorso conclusivo di Pietro Nenni, nominato Presidente del nuovo partito, vennero ripresi, senza ulteriori riflessioni, gli argomenti espressi al punto sei della Carta ideologica dell’unificazione.

Durante il processo di unificazione la politica estera, o meglio i valori ed i principi da porre alla base della futura politica internazionale del nuovo partito rappresentarono, dunque, una questione delicata e complessa. Il progetto di unificazione, che aveva provocato tensioni con il Partito socialdemocratico, ebbe  forti ripercussioni anche all’interno dello stesso Partito socialista italiano. Durante il lungo percorso che portò alla formazione del Partito socialista unificato la questione relativa alla politica internazionale rappresentò, infatti, una fonte di scontro e polemica all’interno del Psi che approfondì il divario già presente tra  le  due  correnti. Numerosi furono, dunque, gli interventi contrari all’unificazione che ponevano al centro delle critiche tale rilevante questione ritenuta una delle motivazioni principali per opporsi all’unificazione. Per Lombardi ed alcuni dirigenti della sinistra le differenze che separavano i due partiti su questo importante tema politico erano ancora profonde e non potevano essere eliminate dalla stesura di un documento ideologico comune.

 

Note:

139. La Carta dell’unificazione socialista, Ingred, cit., p. 2.

140. A. Benzoni, I socialisti e la politica estera italiana, cit., p. 930.

141. Ibidem. e A. Benzoni, R. Gritti, A. Landolfi, (a cura di), La dimensione internazionale del socialismo italiano. 100 anni di politica estera del Psi, Edizioni associate, Roma 1993. pp. 263- 265.

142. “Avanti!”, 18 settembre 1966.

143. “Avanti!”, 18 settembre 1966.

144. “Avanti!”, 18 settembre 1966.

145. Partito socialista italiano, Il 37° congresso e l’unificazione socialista, cit., pp. 33-34.

146. Ivi, pp. 79-81.

147. Ivi, p. 60.

148. Ivi, pp. 88-90.