TOMMASO FIORE E CARLO ROSSELLI, TRA QUESTIONE MERIDIONALE E REDIFINIZIONE DEL SOCIALISMO

Brevi note tra teoria e politica *

di Jacopo Perazzoli |

Introduzione

Con la fine del «secolo breve» non soltanto sono spariti i partiti storici della sinistra italiana, ma è progressivamente andata scomparendo dalla discussione pubblica una grande tematica che ne aveva contrassegnato i dibattiti teorici, programmatici e politici praticamente fin dalla loro fondazione: la questione meridionale.

Una simile tendenza affondava le sue radici negli anni Ottanta del Novecento, quando, da un lato, il Psi non colse la necessità di cambiare la sua impostazione e, dall’altro, il Pci iniziò a delegare alle procure la lotta alla mafia, impoverendo la propria politica sul terreno sociale e sul modo d’essere nelle istituzioni, a partire dalle Regioni. Ancor peggio è andata a partire dal 1992, e quindi con la fine delle organizzazioni politiche tradizionali, quando i problemi dell’Italia meridionale sono stati sostanzialmente sminuiti ad una semplice eliminazione della criminalità organizzata, senza più prestare attenzione ai caratteri di riforma sociale2.

Al di là del fatto che si parli di questione meridionale al singolare, oppure al plurale come fatto recentemente anche da Sabino Cassese3, la scarsa considerazione dei problemi del Mezzogiorno nella visione dell’establishment politico nazionale è confermata da come l’alto tasso di disoccupazione in questa porzione del Paese, che nel 2014 ha toccato quota 20,7%4, non abbia suscitato grandi reazioni nella classe dirigente nazionale5.

A ben vedere, però, proprio in parallelo alla perdita di centralità delle difficoltà dell’Italia del Sud all’interno della visione politico-programmatica dei partiti, si è registrata una nuova attenzione nei confronti delle condizioni del Sud Italia da parte del ceto intellettuale. Similmente a quanto avvenuto negli anni Cinquanta, quando aveva preso piede un fecondo dibattito tra gli studiosi di ispirazione marxista di «Cronache meridionali» e quelli d’orientamento liberal-democratico di «Nord e Sud», negli anni Ottanta la discussione attorno ai destini del Mezzogiorno riprese con le medesime modalità con cui si era sviluppata trent’anni prima. Anche in questo caso, da un lato potevano essere individuati gli intellettuali figli della tradizione marxista, raccolti attorno alla rivista «Meridiana», e dall’altro quelli riconducibili all’imprinting liberal-democratico, il cui esponente di punta è ancora oggi Giuseppe Galasso, l’unico superstite del gruppo di «Nord e Sud»6.

Provare a valutare in chiave storica, e dunque ampliando il discorso già vivo sul piano della discussione squisitamente intellettuale, la situazione di attuale arretratezza dell’Italia del Sud deve essere un esercizio propedeutico anche per fare luce su quelle figure che nel corso della loro vicenda politica ed intellettuale hanno provato ad individuare e a fornire delle soluzioni volte a superare il divario tra la parte centro- settentrionale e quella meridionale del Paese. Tra queste una personalità che merita di essere ripresa in analisi è sicuramente quella di Tommaso Fiore (Altamura, 1884 – Bari, 1973), insegnante liceale ed universitario, fine studioso, oltre che esponente di diversi soggetti politici, quali l’Associazione nazionale dei combattenti, il Partito socialista unitario, il movimento liberalsocialista, il Partito d’azione e il Partito socialista italiano7. In ottica storiografica, ciò significa perseguire l’obiettivo, dichiaratamente ambizioso, di provare ad ampliare il panorama degli studi dedicati a Fiore sul piano intellettuale e politico, così da iniziare a colmare quel vuoto, rilevato per esempio da Franco Martina e Santi Fedele8, relativamente alle indagini in grado di approfondire le svariate sfaccettature della lunga vicenda fioriana.

Un passaggio della biografia di Fiore obiettivamente poco sviscerato è quello del suo rapporto intellettuale, ma anche politico, con Carlo Rosselli. Anche se gli studiosi più attenti del meridionalista pugliese hanno toccato quel periodo all’interno dei loro lavori9, vi è soltanto un contributo organico allo scambio tra i due10, Tommaso Fiore e Carlo Rosselli di Domenico Fazio, pubblicato nel volume Meridionalismo democratico e socialismo, che raccoglie gli interventi del primo convegno dedicato a Fiore, organizzato nel 1978 a Bari dalla sezione pugliese dell’Istituto Gramsci e dall’Istituto socialista di studi storici11. Certo, come ammesso dallo stesso Fazio, ciò è sicuramente dipeso dalle poche fonti primarie all’epoca disponibili, ma oggi, grazie soprattutto al lavoro di Domenico Zucàro e di Cosima Nassisi12, che hanno pubblicato il carteggio Fiore-Rosselli del 1926, si deve giocoforza tornare su quella particolare partentesi del socialismo e del meridionalismo italiano.

Questo saggio ha provato a non limitare l’indagine al rapporto epistolare tra i due, che non sarebbe tuttavia comprensibile qualora non si considerasse la collaborazione di Fiore con la «Rivoluzione Liberale» di Piero Gobetti, ma ha cercato di confrontare i rispettivi scritti apparsi su «Il Quarto Stato» che spaziarono dalla ridefinizione del pensiero socialista all’individuazione delle modalità con cui risolvere l’atavica arretratezza del Mezzogiorno: non si dimentichi che fu proprio Rosselli a considerare centrale questo tema nel dibattito politico e programmatico del Psu-Psli degli anni Venti. D’altra parte, una comparazione così concepita suona ipotizzabile sulla base di un fatto da più parti appurato: tanto Fiore quanto Rosselli, a cavallo tra il delitto Matteotti e l’approvazione delle leggi fascistissime, avevano visto in un socialismo rinnovato in senso liberale non soltanto la soluzione ai travagli della stessa area socialista, ma anche le modalità con cui indebolire il regime fascista attraverso un’alleanza in cui gli interessi dei contadini fossero saldati con quelli della piccola e media borghesia.

Tuttavia restringere l’analisi al triennio 1924-1926 non permetterebbe di cogliere la lungimiranza di quella stagione di elaborazione politica e culturale. Proprio per questa ragione si è tentato anche di fare luce su quei concetti di Fiore che, emersi nei mesi della sua collaborazione con «Il Quarto Stato», sono poi riapparsi nella sua riflessione teorico-politica degli anni a cavallo tra la Seconda guerra mondiale e l’avvio della vicenda repubblicana come il più classico dei fiumi carsici.

Tommaso Fiore, il primo dopoguerra e il passaggio da Gobetti a Rosselli

Similmente a quanto avvenuto a molte altre figure politiche di spessore – da Guido Dorso a Piero Gobetti, da Carlo Rosselli ad Antonio Gramsci –, la Grande guerra funzionò su Fiore come un catalizzatore di energie. Analizzando il significato che l’intellettuale pugliese diede al primo conflitto mondiale – cui prese parte dal 1916, anno in cui partì volontario per l’Isonzo, al 1917, quando venne catturato dopo la disfatta di Caporetto –, Mario Isnenghi ha giustamente sostenuto che Fiore vi poté scorgere il «crogiolo di una nuova saldatura tra ceti medi e masse popolari» e, nel contempo, la «ripresa e ridefinizione di processi politici e sociali lasciati incompiuti dal Risorgimento»13.

In realtà, gli impulsi che spinsero l’intellettuale pugliese alla volta dell’attivismo politico erano evidenti già prima della Grande guerra. Certo, fu spinto ad arruolarsi per «non abbandonare i cafoni al loro destino»14, ma le aspirazioni politiche, sorte probabilmente grazie all’influenza di Gaetano Salvemini15, vennero smorzate proprio dallo storico di Molfetta che, nell’aprile del 1915, gli sconsigliò «di iniziare un vero e proprio movimento politico ed economico», suggerendogli, al massimo, «di fondare […] un circolo di coltura» al fine di promuovere «un po’ di studio fra i giovani studenti»16.

Smobilitato nel 1919, Fiore, parallelamente all’attività pubblicistica dedicata ai momenti trascorsi al fronte17, si impegnò sempre più a fondo nella battaglia politica contro il giolittismo e a favore del riscatto delle classi popolari. Benché le autorità lo considerassero un sovversivo dalle simpatie socialiste, divenne ben presto uno dei massimi dirigenti del movimento combattenti, popolare nel Mezzogiorno e soprattutto in Puglia e in Sardegna. Una volta tornato ad Altamura, dovette constatare la crescente ondata di malcontento dei ceti più poveri che, dopo aver partecipato alla guerra  sull’onda del motto «la terra ai contadini», dovevano rilevare l’infondatezza delle promesse governative. Nel grosso comune pugliese, dove Fiore viveva insegnando latino nel locale liceo classico, la situazione era obiettivamente complessa: i quattromila reduci si trovarono disoccupati fin dal loro ritorno18.

Fu in quel contesto socialmente esplosivo, reso ulteriormente instabile dal risentimento popolare contro il centralismo amministrativo e il clientelismo di stampo giolittiano, che si verificarono gli assalti a diversi municipi del Sud Italia19. Una rivolta di questo tipo avvenne anche ad Altamura: qui, per usare le parole dello stesso Fiore,

«le vecchie cricche parassitarie, con le loro marce amministrazioni, aggrappate alle mangiatoie dei bilanci e delle opere pubbliche comunali, con a capo il solito paglietto Deputato […] giolittiano» si muovevano «nella cinica indifferenza verso ogni interesse generale»20.

Lungi dal voler effettuare soltanto una pur meritoria opera di denuncia del sistema di potere coagulatosi in Puglia attorno a Giovanni Giolitti, Fiore fu effettivamente in grado di «fornire una leadership alle lotte contadine nel biennio ’19-20»21. In termini politici, l’operazione aveva un duplice scopo: da un lato, sostenere la candidatura di Salvemini all’interno della lista dei combattenti nelle elezioni politiche del novembre 1919, dall’altro sconfiggere nelle consultazioni comunali dell’ottobre 1920 i giolittiani guidati ad Altamura dall’onorevole Pasquale Caso. Entrambi gli obiettivi vennero raggiunti, anche se non si trattava di semplici vittorie elettorali: significava essere riusciti a mutare i rapporti di forza in favore dei combattenti.

Per Fiore, il felice esito delle elezioni comunali avrebbe comportato l’assunzione diretta di una responsabilità politico-amministrativa: diventò sindaco del comune pugliese, carica che mantenne fino al 1922. Al di là del suo operato da primo cittadino, ciò che preme sottolineare è proprio la prospettiva politica con cui riuscì a sostituire la precedente maggioranza giolittiana: un’alleanza sostanzialmente interclassista sulla base di un programma amministrativo de facto riformatore ed autonomista, all’interno del quale il comune, che nella visione fioriana sarebbe dovuto diventare essenziale rispetto all’entità statale centrale, doveva premurarsi di svolgere un ruolo da «propulsore dei servizi pubblici e della programmazione economica in funzione della lotta alla disoccupazione»22. Da questo punto di vista, ha ragione Vittore Fiore nell’affermare che quel blocco elettorale, alla guida di Altamura tra il 1920 ed il 1922, anticipò in sostanza la prospettiva d’azione politica di Fiore negli anni del secondo dopoguerra, quando avrebbe fatto dell’unione tra ceti diversi una delle caratteristiche principali del proprio meridionalismo socialista23.

Comunque sia, vi è da dire che il medesimo impianto anti-centralista può venire scorto anche nella lettera con cui Fiore iniziò lo scambio epistolare con Piero Gobetti24. In quel documento, che, come ha notato Cosima Nassisi, è precedente rispetto alla richiesta dell’«Editore ideale» di collaborare con la «Rivoluzione liberale»25, si parlava infatti di

«riprendere in esame il problema dell’autonomia amministrativa»26. D’altro canto, l’arrivo del fascismo, ossia, secondo l’intellettuale pugliese, un fenomeno di «violenza dall’alto» in perfetta continuità con il giolittismo in quanto pura «reazione di classe»27, aveva semmai estremizzato la tendenza di considerare le province e i comuni come organi su cui il governo centrale doveva svolgere una funzione di stretto controllo28. Per questo motivo, gli antifascisti, si sarebbero dovuti battere sulla base di un unico programma federalista che, ispirandosi alle idee di Carlo Cattaneo, analogamente a quanto fatto da Salvemini29, avrebbe dovuto rappresentare il «minimo comune denominatore di tutti i partiti»30. Nell’ottica fioriana, si trattava di favorire un movimento di ricostruzione nazionale che grazie alla prospettiva regionalista portasse ad una vera ricostruzione nazionale, nella quale si potesse riconoscere l’intero schieramento antifascista.

Nel 1923, in parallelo all’infruttuoso tentativo di risollevare le sorti dell’Associazione nazionale combattenti, Fiore iniziò a scrivere per la «Rivoluzione Liberale», firmando le recensioni al Diario e Lettere di Otto Braun e al Nazionalfascismo di Luigi Salvatorelli. Anche se entrambi i testi avevano un impianto soprattutto teorico-intellettuale31, nel commento al volume di Salvatorelli l’intellettuale pugliese approfondì la polemica politica, individuando le ragioni che portarono all’adesione passiva della borghesia meridionale al regime mussoliniano nella «speranza di mutar padrone» come «uno dei fattori indiretti del fascismo»32.

Il salto di qualità in senso più propriamente politico del contributo fioriano al periodico torinese avvenne a seguito dell’uccisione di Giacomo Matteotti. Stando a quanto correttamente notato da Nassisi, fu proprio a seguito dell’omicidio del deputato socialista che l’intellettuale pugliese, seguendo Salvemini che aveva nel frattempo messo da parte le sue perplessità33, decise di prendere la tessera del Partito socialista unitario (Psu)34. Questa scelta, per nulla scontata, fu susseguente alla scoperta, da parte di Fiore, del «marxismo come interpretazione della storia»: si trattava, in pratica, del «punto di partenza del progressivo maturare in lui della revisione del socialismo in senso liberale e liberista e dell’analisi di classe del fascismo»35.

L’entrata nel Psu coincise, per Fiore, con l’avvio di una nuova fase nella sua vicenda intellettuale, ma anche di quella politica, ormai rivolta all’attività cospirativa contro il regime. Non a caso, già nell’autunno del 1924 gli organismi di controllo dello Stato si interessarono alle sue iniziative politiche: il 5 novembre subì una perquisizione, nel corso della quale gli vennero sequestrati «giornali sovversivi, ed in specie ‘La Libertà’ della gioventù socialista, ed altro materiale interessante la polizia politica». Nella medesima circostanza gli fu confiscato l’articolo Dai gruppi ai partiti, scritto appositamente per «Il Caffè» di Riccardo Bauer e Ferruccio Parri, nel quale mostrava di aver messo da parte l’antica pregiudiziale negativa nei confronti dei partiti politici tradizionali36. È da un profilo redatto probabilmente da un informatore della polizia che si può altresì apprendere la decisione del Psu di affidargli le «attività in Altamura», dove avrebbe dovuto mantenere i contatti con i «combattenti, e […] con tale Brunetti Antonio, fiduciario socialcomunista, col Prof. Lasaponara Fedele, Direttore didattico sovversivo nato, nonché con i componenti la cooperativa mista, di tendenze socialiste unitarie».  Non  si  doveva  dimenticare,  proseguiva  la  nota,  che  Fiore  godeva  di  un «ascendente notevole presso i combattenti e presso i contadini della zona»: in pratica, qualora  non  si  fossero  presi  gli  opportuni  provvedimenti,  rischiava  di  diventare «pericolosissimo per l’ordine pubblico»37.

Nonostante le indagini della polizia, che però non portarono a nessun provvedimento di reclusione né, tanto meno, ad una sospensione dell’insegnamento38, Fiore decise di non arrestare l’attivismo politico e la riflessione intellettuale. Ciò avvenne anche perché Gobetti si era speso personalmente per scuotere – sono parole dello stesso Fiore – «la pigrizia tradizionale ai letterati» e far sì che si mettesse «in giro [per] osservare le facce dolenti del mio paese»39.

Il risultato delle insistenze gobettiane – è noto – furono le sei Lettere pugliesi che Fiore stilò tra il gennaio del ’25 e l’agosto del ’26. Non si trattava certamente di un lavoro paragonabile alle testimonianze di viaggio degli scrittori romantici del XIX secolo, né alle inchieste scientifiche svolte dal duo Leopoldo Franchetti-Sydney Sonnino e da Pasquale Villari40. Però, come affermò Salvemini, gli scritti di Fiore, poi condensati nel 1952 nella raccolta laterziana Un popolo di formiche41, riuscirono a documentare «anche nello stile […] un pensiero vigoroso chiuso in una prigione, da cui si tormenta[va] per uscire»42. La prigione non era soltanto quella della sconfitta dell’avvento del fascismo, ma, per dirla con Rossi-Doria, «ancor più l’altra, duratura, dell’ambiente naturale, dei rapporti sociali, della storia unitaria, dell’impotenza politica della Puglia e del Mezzogiorno»43.

Sembra evidente come, al di là dell’impostazione narrativa, il cuore degli scritti confezionati per la «Rivoluzione Liberale» fosse la ricostruzione puntuale ed approfondita del contesto sociale, dei modi di produzione, dei costumi, dei rapporti di proprietà e dei comportamenti politici nella Puglia degli anni Venti44. Ai miei occhi, benché questo lavoro rendesse palese l’avvicinamento al marxismo, a cui era già stato introdotto per mezzo del Saggio sul materialismo storico di Antonio Labriola, che aveva letto negli anni universitari trascorsi a Pisa45, inteso come storia delle classi sociali, le Lettere pugliesi altro non erano che il prodotto di una lunga indagine sociologica condotta sul campo e non di una lettura ideologica della realtà: «ho bisogno di vedermela tutta passo dopo passo», annotava infatti Fiore, «questa terra redenta dai contadini, nessuno dei quali è senza il suo poderuccio coi suoi trulli»46.

Le lettere a Gobetti sancirono, sul piano più propriamente politico-ideologico, l’approdo di Fiore al socialismo, come dimostrato dai contenuti della quarta, L’Agro Tarentino. Mentre le prime tre avevano cercato di individuare le forze in grado di realizzare in Puglia, così come nel più vasto Sud Italia, la rivoluzione democratica, in questa Fiore rese pubblica la propria svolta. A suo dire, infatti, se il socialismo consisteva «nell’abolizione di ogni privilegio, nella libertà per tutti, nella capacità autonoma dei lavoratori di realizzare il trionfo all’infuori di ogni paternalismo e di ogni non necessaria statizzazione», allora sarebbe toccato ad esso «stringere in salda alleanza i contadini ed i piccoli proprietari nostri con le organizzazioni del Nord», così da «dirigere una veemente azione libertaria contro le consorterie economico-politiche che soffocano il paese, contro il centralismo statale che ne emana, il quale, in regime di libertà o di oppressione, è sempre tirannico e prima fonte di ogni male»47. Erano maturate quelle acquisizioni che lo mettevano sul terreno di un socialismo dalla chiara matrice liberale: la svolta, per dirla con Nassisi, era da ricercare nella «sintesi di un socialismo e liberalismo politico, come via d’uscita alla “disfatta politica” del movimento liberal-democratico, come di quello socialista»48.

Ciò significava, nell’ottica di Fiore, superare il massimalismo, ma anche il riformismo con il fine ultimo di rompere la lunga inerzia socialista verso il problema meridionale49. La metamorfosi politica e teorica, le cui origini devono essere ricondotte fin negli anni in cui era a capo dell’amministrazione di Altamura, non poteva che condurlo all’avvio della collaborazione con un altro politico-intellettuale, nel frattempo convintosi della necessità di rinnovare il socialismo italiano sul piano teorico e su quello politico: Carlo Rosselli.

Fiore, Rosselli e il comune intento di ripensare il socialismo

Avvicinatosi al Partito socialista unitario fin dall’anno 1923, quando lavorava alla Bocconi sotto la guida di Attilio Cabiati e Luigi Einaudi50, Rosselli entrò formalmente nel Psu soltanto nel luglio del ’24 dopo il delitto Matteotti, come del resto aveva fatto anche Fiore. È significativo notare che Rosselli, vicino in questa fase a Turati e, soprattutto, ai giovani esponenti della sinistra del partito che avevano nel quindicinale «Libertà!» il luogo preferito di discussione51, dissentisse dai marxisti di varia estrazione sul principio della lotta di classe: a suo avviso, doveva essere ricondotta ad una funzione puramente nominale, sulla falsariga di quanto attuato in Gran Bretagna dal Labour Party. Per il partito inglese, infatti, la lotta doveva essere condotta attraverso una prospettiva riformatrice contro il sistema e non contro una o l’altra classe. Di conseguenza, la borghesia restava l’elemento decisivo, nonostante sembrava avesse smarrito l’impronta riformatrice con l’ascesa del fascismo52. Traducendo questi concetti in termini politici, Rosselli non nascondeva di voler staccare la piccola e media borghesia dall’estrema destra grazie ad un ampio fronte antifascista non schierato su posizioni classiste53.

Ma una simile operazione politica si sarebbe potuta realizzare soltanto a seguito di una profonda rivisitazione ideologica del socialismo italiano all’indomani dell’avvento del fascismo54. Fu dunque per evitare che i socialisti, specialmente quelli più giovani, restassero con un patrimonio ideale «senza beneficio di inventario»55, che Rosselli dovette guardare a quelle personalità che, non formatesi obbligatoriamente sui testi classici del pensiero socialista, volessero contribuire in maniera efficace ad un suo rinnovamento così da porlo al passo con i nuovi tempi assai complicati56. Il breve ed inteso rapporto tra Rosselli e Fiore, che deve essere inserito giocoforza all’interno di quel particolare progetto politico-culturale, avrebbe dovuto, nell’ottica rosselliana, colmare una delle lacune storiche del socialismo italiano, ovvero quella relativa alle politiche nei confronti del Mezzogiorno. D’altronde, non si dimentichi che, come precisato da Salvo Mastellone, Rosselli decise di lanciarsi nell’impresa di fondare un nuovo foglio socialista per «chiarire a sé e ai suoi compagni di fede e di età il proprio pensiero e tener vivo il movimento di idee nel partito»57.

L’inizio dello scambio tra i due deve essere giocoforza fissato all’11 marzo 192658. A quel giorno risaliva infatti la lettera di Rosselli, che da lì a poco avrebbe lasciato l’insegnamento universitario per dedicarsi totalmente al progetto di abbattere il fascismo e l’Italia in cui esso si riconosceva59, con cui comunicava all’intellettuale pugliese l’ormai prossima uscita de «Il Quarto Stato», la rivista che avrebbe codiretto con Nino Levi e Pietro Nenni e che sarebbe servita principalmente quale ambito in cui ragionare nel merito della revisione teorico-programmatica del socialismo italiano60. Ciò, secondo Rosselli, era imprescindibile, visto che «da troppo tempo il movimento» versava «in uno stato di completa paralisi intellettuale»61. Rispondendo positivamente alla richiesta di collaborazione, Fiore si collocò sulla medesima lunghezza d’onda: anche a suo modo di vedere, bisognava puntare ad una trasformazione che superasse «il vecchio socialismo e [i] vecchi uomini»62.

Per l’intellettuale pugliese, «Il Quarto Stato» rappresentava un’occasione importante, praticamente irrinunciabile, visto che, come scrisse ad Antonio Lucarelli, gli pareva il primo giornale concepito e nato nell’Italia settentrionale che dichiarava di voler adottare

«le posizioni di noi meridionalisti»63. Ma il giudizio era probabilmente connotato da un eccessivo ottimismo. Mentre Rosselli, così come Gobetti e Gramsci, riteneva il nodo meridionale uno dei punti nella rivoluzione da condurre contro lo Stato storico, Fiore lo considerava il nodo centrale, il cui raggiungimento avrebbe permesso la realizzazione di una democrazia autonomistica in cui contadini e i piccoli produttori meridionali fossero sullo stesso piano degli operai del Nord.

Il contributo di Fiore al giornale progettato da Rosselli e Nenni, ossia una rivista che, lungi dal divenire «la rivista della sconfitta», sarebbe stata, soprattutto alla luce della successiva evoluzione ideologica del pensiero socialista in Italia, la «prima tappa della rinascita del socialismo italiano»64, si sostanziò attraverso due scritti assai conosciuti: la recensione al libro Rivoluzione meridionale, che Guido Dorso aveva pubblicato nel 1925 con le edizioni gobettiane65, e gli Appunti per un programma socialista nel Mezzogiorno.

Certo, gli obiettivi di fondo che Fiore e Rosselli intendevano perseguire erano chiaramente condivisi, anche se, come evidenziato da Grassi, sarebbe sbagliato credere in un totale appiattimento della posizione fioriana su quella rosselliana66. Si prenda, per esempio, il commento al volume di Dorso. Mentre per Rosselli La rivoluzione meridionale  era  uno  scritto  «unilaterale,  scheletrico  e  impolitico»,  che  si muoveva «troppo spesso fuori dalla realtà e nelle sue previsioni politiche e nelle sue considerazioni di carattere più strettamente tattico»67, secondo Fiore si trattava di un libro da tenere in massima considerazione, perché riusciva con efficacia a «richiamare i vari partiti [alla] dura realtà di un Mezzogiorno feudale», caratterizzato da problemi che aspettavano «la loro soluzione da sessant’anni»68. Nei fatti, Rosselli temeva che i nuovi meridionalisti, Dorso, così come lo stesso Fiore, fossero eccessivamente affascinati dal ruralismo anti-industriale69. Ma Fiore non riteneva insormontabili quelle differenze di vedute: di fronte alla sempre maggior solidità acquisita dal fascismo dopo la conclusione della fase più critica susseguente al delitto Matteotti, compito del gruppo de «Il Quarto Stato» era quello di capire quali esponenti avrebbero voluto farne parte, «per dire come regolarci sul da fare»70.

Fu in coerenza con un’impostazione del genere, avallata nei fatti anche da Rosselli, che Fiore cercò di persuadere Dorso, così come altri studiosi della questione meridionale anche distanti dalle concezioni rosselliane (Antonio De Viti De Marco, Giustino Fortunato, Umberto Zanotti-Bianco), a diventare collaboratori de «Il Quarto Stato»71. Ma le posizioni di Rosselli e dello stesso Psli, unitamente alle sempre maggiori difficoltà causate dagli organismi repressivi dello Stato, non resero possibile questo particolare tipo di operazione politico-culturale. Del resto, lo stesso Dorso comunicò a Fiore di non poter accettare l’invito, perché le sue idee «erano nettamente orientate contro il socialismo riformista, di cui il Rosselli voleva tentare la revisione»72.

Non che tra Fiore e Dorso vi fosse una perfetta assonanza di vedute. Entrambi condividevano certamente la critica alla tradizione socialista riformista e massimalista73, ma si distanziavano nella non semplice individuazione delle rotte politiche da percorrere nel futuro prossimo: se per Dorso la finalità ultima restava pur sempre la rivoluzione meridionale attraverso l’azione «contro lo Stato» e «contro le classi trasformistiche del Sud»74, per Fiore si doveva invece provare a realizzare «un’azione sinceramente più libertaria» dei «partiti storici di sinistra»75. Insomma, al rifiuto di concedere credito al Psli da parte di Dorso, che dunque poneva questo soggetto politico in scia alle altre forze, anche precedenti, della famiglia socialista, Fiore rispondeva che il partito nel quale militava poteva effettivamente diventare il mezzo necessario con cui affrontare tutte le scadenze politiche, non ultima quella per trovare una via d’uscita all’arretratezza socio-economica del Mezzogiorno.

In perfetta linearità con i propositi che lo portarono a non condividere le critiche di Dorso all’impostazione generale del Psli, Fiore decise di impegnarsi anche sul piano programmatico per il partito in cui militava con Rosselli, concentrandosi sulle politiche che i socialisti avrebbero dovuto attuare nel Sud Italia.

Ma non si comprenderebbe la genesi delle riflessioni fioriane, qualora non si considerasse il contesto politico in cui vennero concepite. Tra l’estate e l’autunno del ’26 Rosselli, da un lato stava cercando di sostenere Nenni nella sua battaglia unitaria all’interno del Psi76, dall’altro si trovava nel pieno della fase preparatoria del congresso del Psli che, nell’ottica rosselliana, avrebbe dovuto portare ad una trasformazione politica generale del partito. Non che si trattasse di una missione semplice: come scrisse a Fiore quasi a mo’ di sfogo personale, per fare qualcosa di efficace, ovvero un «tentativo di rinnovamento in seno agli unitari […]», un «tentativo di imporre ai nostri un programma concreto d’azione» e un «accordo coi repubblicani, sardisti e frazione massimalista facente capo a Nenni», si doveva prima di tutto «mettere un po’ da parte i nostri vecchi»77. Era essenziale, come aveva nel frattempo confidato Rosselli a sua madre, Amelia Pincherle, che i militanti a lui facenti capo, tra i quali bisognava annoverare sicuramente anche Fiore, riuscissero a mantenere, nonostante tutte le enormi difficoltà, «una […] base autonoma»78, così da poter lavorare efficacemente alla modernizzazione del partito e delle sue basi teoriche.

Certo, all’interno di questo progetto, spiccava la questione generazionale. Ma si trattava anche di ridefinire in termini programmatici ed ideali il Psli, al fine di evitare che il «polpettone di una cinquantina di pagine» redatto da Turati e Treves, troppo simile ad un «gran misto di cose buone e cattive, un’insalata di finalismo più o meno apocalittico e di contingentismo», né più né meno che un «pateracchio»79, diventasse la nuova piattaforma del Partito socialista dei lavoratori italiani.

A Fiore venne dunque chiesto di preparare un apposito paragrafo sulla questione meridionale, che nella dichiarazione originaria redatta dal duo Turati-Treves era stata trattata soltanto in via indiretta80. Per Rosselli, infatti, inserire la soluzione della questione meridionale nel programma del Psli corrispondeva ad un fecondo passo in avanti. A questo proposito, Tranfaglia ha sostenuto che la soluzione dei problemi nel Mezzogiorno sarebbe potuta giungere non tanto dalla sensibilizzazione dei socialisti à la Turati, quanto dalla mutazione dei rapporti di forza tra i ceti dominanti e i lavoratori sul piano nazionale81. Ma, nel 1926, quando gli antifascisti, Psli in testa, erano soprattutto interessati ad agire concretamente nell’ottica di indebolire il regime, la prospettiva di Fiore, condivisa da Rosselli, pareva perfettamente calata nella realtà: anziché ad impossibili trasformazioni tra le classi sociali, i due preferirono lanciare un progetto che puntasse su quei ceti che il fascismo intendeva indebolire, come i piccoli proprietari e i piccoli coltivatori diretti.

Proprio in quella scelta può essere individuata l’originalità degli Appunti per un programma socialista nel Mezzogiorno, il saggio che Fiore scrisse sulla base del breve paragrafo composto per la mozione ratificata dal congresso clandestino del 21-22 ottobre82. Anche se Aldo Garosci ha sostenuto che per nessuno dei collaboratori de «Il Quarto Stato», ad eccezione di Andrea Caffi, l’esperienza nel giornale nenniano- rosselliano abbia rappresentato un momento originale delle rispettive biografie83, mi pare che gli Appunti, pubblicati nel penultimo numero prima della soppressione della rivista effettuata dagli organismi di polizia a seguito dell’attentato Zamboni, siano coincisi con un innegabile salto di qualità nell’evoluzione del socialismo dell’intellettuale pugliese.

Ma gli spunti di Fiore, affermava Rosselli, per diventare realtà, necessitavano di un’apposita riorganizzazione dello Stato in senso federalista, la sola opzione che, concedendo le giuste autonomie alle singole comunità locali, avrebbe potuto eliminare le residue «velleità separatistiche» ancora esistenti in certe regioni meridionali84.

Lo scatto in avanti di Fiore stava non tanto nella puntualità dell’analisi della situazione meridionale, da porre in perfetta continuità con le considerazioni già note delle Lettere pugliesi a Gobetti, quanto in altri due elementi. Innanzitutto, nell’individuazione dei soggetti sociali su cui il Psli avrebbe potuto lanciare definitivamente la propria azione nell’Italia meridionale. Come si è detto, fu proprio in questa circostanza che Fiore lanciò l’ipotesi di una alleanza sostanzialmente interclassista che comprendesse tutti i lavoratori della terra (contadini, mezzadri, fittavoli, braccianti e, al tempo stesso, i commercianti, gli esportatori e i piccoli industriali), perché «tutte le grandi azioni storiche son mosse dalla terra e dai ceti che aspirano a vivere dalla terra»85. Fuor di retorica, voleva dire realizzare una coalizione al cui interno trovassero posto tutti coloro che, a causa del centralismo statale e dell’eccessiva pressione tributaria, non si sentivano partecipi «della vita economico-politica del paese»86. In secondo luogo, per richiamare un ragionamento di Simona Colarizi, nella scelta di un diverso canale politico, ossia il Psli, che, rappresentando «gli interessi delle masse contadine», avrebbe potuto «avviare un processo di collegamento tra esse e i ceti medi»87.

Sul piano più strettamente ideale-programmatico, Fiore, rifacendosi direttamente all’esperienza della socialdemocrazia europea, esprimeva la sua totale contrarietà alla socializzazione delle terre, invece inseguita dal Psi post svolta bolscevica: occorreva, al contrario, «non lasciarsi tentare a riforme che abbandonino, sia pure a fine di bene ma con metodo che non è né libertario, né socialista, in mano alla burocrazia statale l’enorme potere politico che ne deriverebbe dal monopolio […] della distribuzione delle terre»88. D’altra parte, proseguiva, «a nessuno di noi, come a nessuno dei socialisti austriaci, tedeschi, ecc., oggi verrebbe in mente di parlare ai contadini di socializzazione della terra e nemmeno di favorire artificiali formazioni comunistiche prive di linfa vitale, avendo l’esperienza dimostrato che, dove in questi anni si è parlato di socializzazione, il latifondo si è rassodato»89. In pratica, anziché inseguire il «socialismo di soli miserabili braccianti […] da […] lanciare come una catapulta alla distruzione violenta dell’odiato capitale», il Psli avrebbe dovuto mirare ad una «lotta metodica, ordinata, contro ogni singola posizione di sfruttamento e di privilegio economico»90.

Gli Appunti inserivano definitivamente il meridionalismo democratico di Fiore nel quadro globale di un pensiero socialista rinnovato, un tema che aveva segnato la riflessione fioriana già nella fase conclusiva della collaborazione con «Rivoluzione liberale». Proprio sulla rotta da assumere nel Mezzogiorno Fiore e Gramsci si erano mostrati su due piani totalmente differenti e sostanzialmente opposti tra loro. Al socialista pugliese, convinto che la soluzione potesse giungere da un’alleanza di fatto interclassista tra piccoli proprietari, operai, commercianti, esportatori e piccoli industriali, il comunista sardo ribatteva che la situazione nell’Italia meridionale sarebbe mutata grazie all’alleanza «politica tra operai del Nord e contadini del Sud», l’unica che avrebbe potuto «rovesciare la borghesia dal potere di Stato»91.

Al netto delle differenze di vedute con Gramsci, comunque sintomatiche della distanza esistente tra il Pcdi e il Psli, vi è da dire che esattamente nel momento in cui l’impegno di Fiore a «Il Quarto Stato» pareva più convinto, come dimostrato dagli scambi epistolari tra lo stesso Fiore, Cesare Teofilato e Filippo M. Pugliese citati da Grassi92, le condizioni politiche generali lo costrinsero di fatto verso il disimpegno politico ed intellettuale.

D’altra parte non si deve dimenticare che, già nell’ottobre del ’26, il progetto di fare leva sulla piccola borghesia per dar vita ad un meridionalismo democratico-socialista grazie alla mediazione degli intellettuali era ormai prossimo al fallimento: la politica economica attuata dal regime e la rivalutazione della lira portarono alla compressione dei salari e, di conseguenza, all’indebolimento di quei ceti sociali, come i piccoli proprietari e i piccoli coltivatori, che avevano fatto dell’attività diretta il loro punto di forza. In termini pratici, ciò significò la subordinazione dei piccoli proprietari e dei piccoli coltivatori alla grande proprietà terriera, che grazie ai benefici ottenuti, decise di sposare convintamente la causa del regime.

Le mutate condizioni socio-economiche in favore del fascismo, a cui si deve sommare la repressione sempre più violenta che si scatenò sugli oppositori a partire dal novembre93, spinsero Fiore ad una tanto amara quanto semplice doppia constatazione: da un lato, «Il Quarto Stato» aveva ormai i giorni contati; dall’altro, il Psli non avrebbe potuto resistere a lungo. Da lì a poco gli sarebbe stato impossibile non solo mantenere i contatti epistolari con i compagni di ventura, ma anche proseguire nell’attività di insegnante ad Altamura, visto che venne sospeso per «scarso rendimento»94. Soltanto sul finire del 1929, quindi a Paese già ampiamente «normalizzato», per usare un’espressione di Giancarlo Tartaglia95, poté riprendere l’attività professionale a Bari, dove gli fu assegnata una cattedra in un ginnasio cittadino96. Per Rosselli, se possibile, il destino fu ancora peggiore: dopo aver organizzato con successo l’espatrio di Turati, fu arrestato con Parri a Forte dei Marmi, dando così vita a quel lungo peregrinare che lo avrebbe portato prima al confino di Lipari e poi alla fuga in Francia via Tunisia97.

Per Fiore, la cattura di Rosselli e la sua costrizione al silenzio, resa evidente dall’inserimento «nell’elenco degli oppositori al regime»98, significarono un dato inequivocabile: era giunto a conclusione di quel capitolo della sua militanza politico- intellettuale nel Psli, nel corso della quale aveva cercato di contribuire alla riformulazione del pensiero socialista nell’ottica di trovare sul piano programmatico le giuste soluzioni alla questione meridionale, anche attraverso la contaminazione dei valori socialisti con quelli di stampo più propriamente liberal-democratici.

Cosa rimane di quella stagione? Brevi note conclusive sul liberalsocialismo e sul socialismo fioriano del secondo dopoguerra

Vien da chiedersi quali possano essere i lasciti di quella parentesi, durata lo scorcio di pochi mesi, della collaborazione di Fiore con «Il Quarto Stato» e del suo scambio epistolare con Rosselli.

Una prima conseguenza può essere intravista nel rinnovato impegno profuso da Fiore nella organizzazione teorica e politica del polo liberalsocialista pugliese. Come scrisse Fedele, attorno a Fiore, che esercitava una «funzione ispiratrice e aggregante», si raccolse tutta una serie di giovani e giovanissimi «cresciuti nell’atmosfera di un regime ormai consolidato»99, tra i quali, oltre ai figli dello stesso Fiore, Enzo, Graziano e Vittore, si dovevano annoverare Michele Cifarelli, Ernesto De Martino, Mario Melino e Fabrizio Canfora100. La scelta di dar vita a questo particolare movimento, in luogo del logico ingresso in Giustizia e Libertà, deve essere ricondotta all’oggettiva complessità di costituire nella Puglia degli anni Trenta-Quaranta un nucleo di Gl, con cui vennero comunque mantenuti dei contatti grazie soprattutto agli sforzi di Leone Ginzburg e di Enzo Fiore101.

Per quel che riguardava il suo contributo teorico, dopo una serie di scambi di vedute con Guido Calogero, da cui sarebbero nati, nell’agosto 1939, i Tredici punti di via Simeto102, nell’autunno del 1941 Fiore compose il Decalogo del P.L.S. Nel documento si fissava con la massima chiarezza che «la libertà, lo sviluppo autonomo dell’individuo», ovvero «l’esigenza più alta della vita morale e politica», si sarebbe dovuta conciliare con il  socialismo,  vera  e  propria  «necessità  storica  del momento  che  attraversiamo»103.

Ugualmente importante, al fine di comprendere la prospettiva liberalsocialista, era il punto relativo all’organizzazione dello Stato post-monarchico: al posto dell’«antico  Stato liberale, la cui libertà era limitata alla vita giuridica», sarebbe dovuto sorgere «lo Stato in libertà», incaricato di ampliare e difendere «la libertà anche nel campo della cultura e dell’economia». Il fine ultimo della nuova entità statale sarebbe dovuta essere l’attuazione graduata e «per via di deliberazione [del] socialismo»104.

Si capisce facilmente come simili obiettivi di massima, i quali prefiguravano in tutto e per tutto un vero e proprio «programma […] di un movimento, o addirittura [di un] partito liberalsocialista»105, avrebbero portato alla lesione del rapporto intellettuale stabilito con Benedetto Croce, sorto negli anni Trenta grazie ai continui incontri presso la casa barese dell’editore Laterza106. Proprio il sodalizio con il filosofo napoletano rappresentava una delle peculiarità del gruppo di Fiore, che aveva accettato il postulato crociano della libertà quale conditio sine qua non per la realizzazione dei propositi di progresso sociale107. Il fatto che lo scambio con Croce si fosse sostanzialmente incrinato sulla centralità, all’interno del Decalogo, della sezione economico-sociale, «specialmente nella parte che stanziava la distribuzione della terra ai contadini secondo il piano di una radicale riforma agraria»108, permette di comprendere quanto questo punto fosse irrinunciabile nella visione di Fiore e dei suoi seguaci.

I legami con la stagione de «Il Quarto Stato» paiono tuttavia evidenti, soprattutto in merito alla descrizione dello Stato post-fascista compiuta da Fiore: al posto dei grandi organismi centrali, che conducevano all’ipertrofia della burocrazia statale, dovevano svilupparsi degli «enti politico-economici decentrati»109. Ed è in questo senso, secondo quanto notato anche da Grassi, che le origini delle tematiche politico-istituzionali del Decalogo dovevano essere ricondotte «direttamente all’elaborazione “unitaria” prima[e] rosselliana […] poi»110.

Ma l’attività redazionale di Fiore, nonostante un periodo di confino tra Ventotene ed Orsogna cui fu costretto nella seconda metà del 1942 proprio a causa dell’attivismo antifascista111, non si fermò certo in quel frangente. Anzi, dopo aver discusso con il suo gruppo il Decalogo e il manifesto liberalsocialista nel frattempo redatto da Guido Calogero112, predispose il Catechismo liberalsocialista del Partito d’azione. Partendo proprio dalla revisione delle posizioni liberali-moderate di Croce, con cui però non ruppe mai lo stretto legame di amicizia, giunse a ridefinire il suo pensiero socialista su nuove basi, che però affondavano le loro radici fin nella stagione della collaborazione con Rosselli.

Anche se il Catechismo, che sul piano politico confermava la confluenza, avvenuta nei primi mesi del ’43, del movimento liberalsocialista pugliese nel Pda113, doveva essere considerato un testo propagandistico confezionato appositamente per i militanti, non mancavano al suo interno le ragioni ideologiche che differenziavano il liberalsocialismo dal liberalismo prefascista: mentre quest’ultimo «era scaduto da ideale di vita a procedimento meccanico», il pensiero liberalsocialista avrebbe dovuto inglobare al suo interno «la tradizione di libertà»114.

Dato un simile quadro di massima, per quel che riguardava la questione della libertà, nei ragionamenti dell’intellettuale pugliese della stagione azionista si poteva sicuramente intravedere l’impronta di Croce, che già dagli anni Venti spingeva per separare il liberalismo politico da quello economico. Ma nei discorsi di Fiore sulla libertà vi era, per dirla con Paolo Bagnoli, anche «un’inconfondibile eco gobettiana»115. Nel contempo, il suo socialismo, nel quale non si scorgevano i tratti della lotta di classe o della socializzazione dei mezzi di produzione, doveva essere inteso «non già come spartizione di tutti», bensì come «progresso economico dei meno abbienti»116. Mi pare che proprio questa affermazione possa essere ricondotta a quanto sosteneva nel 1926 sulle pagine de «Il Quarto Stato»: per esempio, nei già citati Appunti per un programma socialista per il Mezzogiorno, aveva dichiarato che i socialisti non avrebbero dovuto mirare alla socializzazione delle terre, un obiettivo che aveva in realtà favorito i latifondisti, ma ad una politica che promuovesse una «lotta metodica, ordinata, contro ogni singola posizione di sfruttamento e di privilegio economico»117.

Ha senz’altro ragione Bagnoli a sostenere che il socialismo di Fiore si caratterizza attraverso un forte richiamo alla lezione rosselliana «con la postulazione di un socialismo diverso da quello prefascista e pronto alla responsabilità del tempo presente»118. Ma non sbagliava neanche Cingari, individuando la matrice socialista-libertaria degli Appunti nella prospettiva meridionalista approntata da Fiore nel secondo dopoguerra: infatti, come sulle pagine de «Il Quarto Stato», anziché prendere posizione a favore della semplice alleanza tra operai del Nord e contadini del Sud, l’intellettuale pugliese insisteva sul patto tra le masse contadine e le punte più avanzate della piccola e media borghesia produttiva119.

Al fine di comprendere l’influenza dello scambio Fiore-Rosselli sulle successive formulazioni teorico-politiche di Fiore, sarebbe sbagliato fermarsi alla pur feconda stagione della sua militanza nel Pda, che si chiuse già nel dicembre del ’46120. Il successivo ingresso nel Psi, condiviso soltanto da una parte di quei militanti che l’avevano accompagnato nell’esperienza liberalsocialista e in quella azionista121,

significò la sostanziale accettazione della «logica dei partiti di massa», una scelta obiettivamente comprensibile negli anni in cui la Guerra fredda, con tutte le sue divisioni, iniziava a far sentire il suo peso anche sulla scena politica italiana122. Per Fiore, entrare nuovamente in un partito dichiaratamente socialista, era una necessità ricollegabile alla nota riflessione di Salvemini, secondo cui gli azionisti vicini al socialismo liberale sarebbero dovuti stare nel Psi «perché lì ci sono le masse»123.

Anche la nuova esperienza tra le file socialiste lo vide impegnato nell’individuare le giuste soluzioni ai problemi del Mezzogiorno. Per cercare di lottare contro il blocco agrario nel frattempo saldatosi attorno alla Democrazia cristiana, Fiore – come emerse dai resoconti della prima conferenza economica socialista organizzata dall’Istituto di studi socialisti nel novembre 1947 – chiarì che il Psi avrebbe dovuto affidare la necessaria riforma «a quelli che sono laggiù i medi e grandi affittuari, che sono anche in parte proprietari della terra», ovvero «la categoria più scaltrita, più faticatrice, più dura venuta su col lavoro e col sacrificio dell’ultimo cinquantennio»124. Questa particolare prospettiva risultava in continuità con quanto aveva argomentato negli Appunti per un programma socialista per il Mezzogiorno: nelle pagine dell’articolo del ’26, secondo quanto notato da Grassi, si prevedeva la realizzazione di un blocco sociale allargato, ossia una coalizione che doveva comprendere i lavoratori della terra, senza però escludere i proprietari, gli operai, ma anche i commercianti, gli esportatori, così come i piccoli industriali125.

A proposito delle riflessioni compiute da Fiore nel Psi dei tardi anni Quaranta, Cingari, richiamandosi a quanto aveva sostenuto Manlio Rossi-Doria nei confronti della nuova realtà meridionale dopo le elezioni del 18 aprile 1948, ha scritto che l’innegabile richiamo alla stagione del «Quarto Stato» rappresentava la sua incapacità nel saper cogliere i tratti della nuova realtà del secondo dopoguerra. Secondo Cingari, infatti, di fronte alle riforme agrarie e all’interventismo straordinario dei governi De Gasperi, sarebbe stato preferibile rispondere, anziché con un progetto globale di contro-riforma agraria, con una politica «di riforma dei patti agrari, di bonifica e di formazione graduale di proprietà contadina»126.

Al netto di questi spunti conclusivi, che meriterebbero ben maggiore spazio e profondità di analisi, a me pare che un dato permanga in proposito della riflessione di Fiore degli anni Venti e del suo scambio con Rosselli: il tentativo di rinnovare il pensiero socialista, mettendo al centro del discorso il Mezzogiorno, da intendere però come un luogo abitato da un «popolo di formiche». Altrettanto interessante sarebbe una valutazione globale sull’impatto dell’impostazione meridionalista fioriana e rosselliana sul metodo d’azione politica e di formulazione programmatica adottato dai partiti socialisti a partire dal secondo dopoguerra. Ma anche questa è un’altra storia.

Note:

* Mi preme ringraziare pubblicamente Andrea Becherucci e Giovanni Scirocco, che non solo hanno letto il presente saggio, ma mi hanno anche fornito preziose migliorie.

2. Si vedrà soltanto a tempo debito se quanto contenuto nel recente volume di Gianni Pittella e Amedeo Lepore, Scusate il ritardo: una proposta per il Mezzogiorno d’Europa (Roma, Donzelli, 2015) avrà sortito degli effetti oppure sarà da ascrivere nel nutrito gruppo dei progetti abbozzati e mai realizzati.

3. Cfr. S. CASSESE, Le questioni meridionali, in ID. (a cura di), Lezioni sul meridionalismo, Bologna, Il Mulino, 2016, p. 10.

4. Cfr. Anno 2014. Occupati e disoccupati, Istituto Nazionale di Statistica, 2 marzo 2015.

5. Cfr. E. GALLI DELLA LOGGIA, Il governo e il Sud che non c’è, in «Corriere della Sera», 21 dicembre 2015.

Itinerari di ricerca storica, a. XXXI – 2017, numero 1 (nuova serie)

ISSN 1121-1156 eISSN: 2385-2739 DOI: 10.1285/i11211156a31n1p79

6. Cfr., a proposito delle differenze di vedute nell’élite intellettuale, si vedano: F. CASSANO, Il pensiero meridiano, Bari, Laterza, 2005; G. GALASSO, Mezzogiorno.it. Dall’osservatorio italiano del Corriere del Mezzogiorno (2002-2015), 4 voll, Bari, Cacucci, 2016.

7. Oltre allo scritto di Fabio Grassi Orsini, Il formicone, le formiche ed il formichiere, e alla voce per il

dizionario biografico Treccani stilata da Vito Antonio Leuzzi, disponibile all’URL: http://www.treccani.it/enciclopedia/tommaso-fiore_(Dizionario-Biografico), non esistono altri studi che valutino in profondità l’operato intellettuale e politico di Fiore. Un testo che deve tuttavia essere tenuto in massima considerazione è M. ROSSI-DORIA, La biografia intellettuale di Tommaso Fiore, in Meridionalismo democratico e socialismo. La vicenda politica ed intellettuale di Tommaso Fiore, Bari, De Donato, 1979, pp. 15-29.

8. Cfr. F. MARTINA, Tommaso Fiore, in «Belfagor», a. XLV, 1990, pp. 417-433; S. FEDELE, Il liberalsocialismo meridionale (1935-1942), Messina, Edizioni Antonino Sfameni, 2002, p. 8.

9. Mi riferisco, soltanto per citare pochi esempi, ai vari scritti di Fabio Grassi Orsini, di Manlio Rossi- Doria e di Gaetano Cingari. I riferimenti a questi testi sono presenti nelle note a piè pagina successive.

10. Diverso è il caso del saggio di Tommaso Pedio, I rapporti di Fiore con Gobetti e Rosselli: meridionalismo e socialismo alla vigilia delle leggi speciali, in «Rassegna pugliese», a. II, n. 4-7, aprile- luglio 1967, che ha affrontato in ottica triangolare i rapporti tra i tre esponenti dell’antifascismo.

11. Cfr. D. FAZIO, Tommaso Fiore e Carlo Rosselli, in Meridionalismo democratico e socialismo, cit., pp. 75-78.

12. Cfr. D. ZUCÀRO (a cura di), Il Quarto Stato di Nenni e Rosselli, Milano, Sugarco, 1977, pp. 309-324; C. NASSISI, (a cura di), Tommaso Fiore e i suoi corrispondenti (1910-1931), Manduria, Lacaita, 1999, pp. 262-296.

13. M. ISNENGHI, Tommaso Fiore e la Prima guerra mondiale, in Meridionalismo democratico e socialismo, cit., p. 150.

14. L. RUSSO, G. PEPE, E. LUSSU, T. FIORE, Nascita di uomini democratici, Manduria, Lacaita, 1958, p. 87.

15. Cfr., sul rapporto tra i due, V. FIORE, Gaetano Salvemini e Tommaso Fiore, in G. CINGARI (a cura di), Gaetano Salvemini tra storia e politica, Roma-Bari, Laterza, 1986.

16. Lettera di Gaetano Salvemini a Tommaso Fiore, Firenze, 14 aprile 1915, in G. SALVEMINI, Carteggio 1914-1920, a cura di E. Tagliacozzo, Roma-Bari, Laterza, 1984, p. 148.

17. Cfr. T. FIORE, Eroe svegliato, asceta perfetto, Torino, Piero Gobetti, 1924; ID., Uccidi: taccuino di una recluta, ivi.

18. Cfr. F. GRASSI ORSINI, Introduzione. La Puglia da Giolitti a Mussolini, in T. FIORE, Scritti politici 1915-1926, a cura di F. Grassi Orsini, Bari, De Donato, 1980, p. 35.

19. Cfr. G. SABBATUCCI, I combattenti nel primo dopoguerra, Roma-Bari, Laterza, 1974, pp. 198-203.

20. T. FIORE, L’incendio del Municipio, in «L’Unità», a. VIII, n. 29, 17 luglio 1919, ora in ID., Incendio al municipio, a cura di V. Fiore, Manduria, Lacaita, 1967, p. 17.

21. F. GRASSI ORSINI, Il formicone, le formiche ed il formichiere, in V. FIORE (a cura di), Tommaso Fiore e la Puglia, Bari, Palomar, 1996, p. 589.

22. Ivi, p. 590.

23. Cfr. V. FIORE, Tra Altamura e Torino (Fiore e Gobetti), in P. POLITO (a cura di) Piero Gobetti e gli intellettuali del Sud, Roma, Bibliopolis, 1995, p. 362.

24. Cfr., a proposito del direttore della «Rivoluzione liberale», M. GERVASONI, L’intellettuale come eroe: Piero Gobetti e le culture del Novecento, Firenze, La Nuova Italia, 2000; P. GOBETTI, La «rigenerazione» dell’Italia e la politica del primo dopoguerra. Gli anni di «Energie nove», a cura di G. Scroccu, Milano, Biblion, 2014.

25. Cfr. C. NASSISI, Gobetti e Fiore, ivi, p. 295.

26. Lettera di Tommaso Fiore a Piero Gobetti, Altamura, 7 ottobre 1922, in T. FIORE, Scritti politici 1915- 1926, cit., p. 171.

27. T. FIORE, Subito dopo la Marcia su Roma, il fascismo ed il nazionalismo in Puglia, ivi, p. 127.

28. Lettera di Tommaso Fiore a Piero Gobetti, Altamura, 7 ottobre 1922, ivi, p. 170.

29. Cfr. Le più belle pagine di Carlo Cattaneo scelte da Gaetano Salvemini, Donzelli, Roma, 1993 (I ed. 1929).

30. T. FIORE, Ritorniamo a Cattaneo, ivi, p. 177.

31. Cfr. ID., Otto Braun, in «Rivoluzione Liberale», a. II, n. 14, 15 maggio 1923, p. 60.

32. ID., La speranza di cambiar padrone, in «Rivoluzione Liberale», a. II, n. 24, 28 agosto 1923, p. 98.

33. Cfr. Lettera di Gaetano Salvemini a Tommaso Fiore, Marina di Pietrasanta (Lucca), 16 agosto 1924, in G. SALVEMINI, Carteggio 1921-1926, a cura di E. Tagliacozzo, Roma-Bari, Laterza, 1985, p. 308.

34. Cfr. Lettera di Tommaso Fiore a Piero Gobetti, Altamura, 15 agosto 1924, in C. NASSISI, (a cura di), Tommaso Fiore e i suoi corrispondenti (1910-1931), cit., p. 120.

35. Ivi, p. LXXIII.

36. Lettera del Sottoprefetto di Altamura al Prefetto di Bari, Altamura, 16 novembre 1924 (con articolo Dai gruppi ai partiti in allegato), in ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, ROMA (=ACS), Ministero dell’Interno, Casellario Politico Centrale, b. 2076, fasc. Tommaso Fiore.

37. Ivi, Lettera del Sottoprefetto di Altamura al Prefetto di Bari del 4 novembre 1924.

38. Cfr. Ivi, Lettera del Ministro della Pubblica Istruzione [Pietro Fedele] al Ministro degli Interni [Luigi Federzoni], Roma, 25 marzo 1925.

39. Così citato in M. ROSSI-DORIA, Prefazione, in T. FIORE, Un popolo di formiche, Roma-Bari, Laterza, 1978, p. VII.

40. Cfr. L. FRANCHETTI, S. SONNINO, La Sicilia nel 1876, 2 volumi, Firenfe, G. Barbera, 1877; P. VILLARI, Lettere meridionali indirizzate al direttore dell’Opinione, Roma, Tipografia dell’Opinione, 1875.

41. Cfr. T. FIORE, Un popolo di formiche: lettere pugliesi a Piero Gobetti, con prefazione di G. Pepe, Bari, Laterza, 1952.

42. G. SALVEMINI, Un popolo di formiche, in «Il Ponte», a. VIII, n. 8, 8 agosto 1952, p. 1146. Adesso anche in Per gli ottant’anni di Tommaso Fiore, Bari, Laterza, 1964, pp. 21 e sgg.

43. M. ROSSI-DORIA, Prefazione, cit., p. XI.

44. Cfr. F. GRASSI ORSINI, Introduzione. La Puglia da Giolitti a Mussolini, cit., p. 79.

45. Ivi, pp. 17-18.

46. T. FIORE, Lettere da Altamura, in «Rivoluzione Liberale», a. IV, n. 6, 8 febbraio 1925, p. 26. Adesso anche in ID., Un popolo di formiche, cit., p. 12.

47 ID., L’Agro Tarentino, in «Rivoluzione Liberale», a. IV, n. 34, 27 settembre 1925, p. 138. Adesso anche in ivi, p. 90.

48. C. NASSISI, (a cura di), Tommaso Fiore e i suoi corrispondenti (1910-1931), cit., p. XCII.

49. Cfr. G. CINGARI, Tommaso Fiore tra meridionalismo democratico e socialismo, in Meridionalismo democratico e socialismo, cit., p. 113.

50. Cfr., sul periodo milanese di Rosselli, N. DEL CORNO (a cura di), Carlo Rosselli: gli anni della formazione e Milano, Milano, Biblion, 2010.

51. Cfr., su quella particolare esperienza editoriale, ID., Giovani, socialisti, democratici: la breve esperienza di “Libertà!” (1924-1925), Milano, Biblion, 2016.

52. Cfr. C. ROSSELLI, Il partito del lavoro in Inghilterra, in «Libertà!», a. I, n. 3, 1 febbraio 1924, pp. 3-4. Sulle riflessioni rosselliane a proposito del Labour Party inglese si veda, tra gli altri, D. BIDUSSA, La lettura del laburismo inglese nelle culture socialiste in Italia, in D. BIDUSSA, A. PANACCIONE (a cura di), Le culture politiche ed economiche del socialismo italiano dagli anni ’30 agli anni ’60, Roma, Fondazione Giacomo Brodolini, 2015, pp. 78-82.

53. Cfr. N. TRANFAGLIA, Carlo Rosselli e il sogno di una democrazia sociale moderna, Milano, Baldini Castoldi Dalai editore, 2010, p. 151.

54. Cfr. C. ROSSELLI, Autocritica, in «Il Quarto Stato», a. I, n. 2, 3 aprile 1926, p. 1.

55. Così citato in S. COLARIZI, Autocritica e rielaborazione socialista in “Quarto Stato”, in «Mondoperaio», a. XXV, n. 7-8, luglio-agosto 1972, p. 39.

56. Cfr. Perché?, in «Il Quarto Stato», a. I, n. 1, 27 marzo 1926, p. 1.

57. S. MASTELLONE, Carlo Rosselli e «la rivoluzione liberale del socialismo», Firenze, Leo S. Olschki, 1999, p. 59.

58. Cfr. C. NASSISI, (a cura di), Tommaso Fiore e i suoi corrispondenti (1910-1931), cit., ad indicem.

59. Cfr. N. TRANFAGLIA, op. cit., p. 229.

60. Per un profilo della rivista si rimanda all’apposita scheda compilata da Stefano Merli in Bibliografia della stampa periodica operaia e socialista in Italia, 1860-1926. I periodici di Milano, vol. II, Milano, Feltrinelli, 1961, pp. 348-355.

61. Lettera di Carlo Rosselli a Tommaso Fiore, Genova, 11 marzo 1926; adesso in D. ZUCÀRO (a cura di), op. cit., p. 309.

62. Lettera di Tommaso Fiore a Carlo Rosselli, Altamura, 15 marzo 1926, ivi, p. 311.

63. Lettera di Tommaso Fiore ad Antonio Lucarelli, Altamura, 22 settembre 1926, in C. NASSISI, (a cura di), Tommaso Fiore e i suoi corrispondenti (1910-1931), cit., p. 282.

64. S. MERLI, Il “Quarto Stato” di Nenni e Rosselli e la polemica sul rinnovamento socialista nel 1926, in «Rivista storica del socialismo», a. III, n. 11, settembre-dicembre 1960, p. 821. Oltre a quanto già indicato, sulla rivista di Rosselli e Nenni si veda anche P. BAGNOLI, La battaglia socialista de “Il Quarto Stato”, in Giustizia e libertà nella lotta antifascista e nella storia d’Italia: attualità dei fratelli Rosselli a quaranta anni dal loro sacrificio. Atti del Convegno internazionale, Firenza, La Nuova Italia, 1978, pp. 114-146.

65. Cfr. G. DORSO, La rivoluzione meridionale: saggio storico-politico sulla lotta politica in Italia, Torino, Piero Gobetti, 1925. Un profilo dell’intellettuale avellinese in S. FEDELE, Guido Dorso: biografia politica, Reggio Calabria, Cangemi, 1986.

66. Cfr. F. GRASSI ORSINI, Introduzione. La Puglia da Giolitti a Mussolini, cit., p. 82.

67. Lettera di Carlo Rosselli a Tommaso Fiore, s.l., 1 settembre 1926; adesso in D. ZUCÀRO, op. cit., p. 316.

68. T. FIORE, Sulla rivoluzione meridionale, in «Il Quarto Stato», a. I, n. 24, 18 settembre 1926, p. 4; ivi, p. 252.

69. Cfr. C. ROSSELLI, Il problema meridionale, ivi, p. 1; ivi, pp. 249-251.

70. T. FIORE, Sulla rivoluzione meridionale, cit., p. 257.

71. Cfr., a mo’ d’esempio, Lettera di Giustino Fortunato a Tommaso Fiore, Napoli, 24 settembre 1926, in C. NASSISI, (a cura di), Tommaso Fiore e i suoi corrispondenti (1910-1931), cit., pp. 285-286.

72. V. FIORE, L’«asse» Dorso-Fiore, in Guido Dorso e i problemi della società meridionale, Avellino, Centro Dorso, 1989, p. 193.

73. Cfr. T. FIORE, Sulla rivoluzione meridionale, cit., p. 255.

74. G. DORSO, La rivoluzione meridionale, Roma, Einaudi, 1945 (I ed. 1925), p. 225.

75. T. FIORE, Sulla rivoluzione meridionale, cit., p. 256.

76. Cfr. sull’origine dell’unitarismo nell’area socialista, si vedano le sempre valide riflessioni in G. ARFÉ, Storia del socialismo italiano (1892-1926), Torino, Einaudi, 1970 (I ed. 1965), pp. 355-369.

77. Lettera di Carlo Rosselli a Tommaso Fiore, Milano, 23 settembre 1926; adesso in D. ZUCÀRO, op. cit., p. 318.

78. Lettera di Carlo Rosselli a Amelia Pincherle, Milano, 7 ottobre 1926; adesso in Epistolario familiare. Carlo, Nello Rosselli e la madre (1914-1937, a cura di Z. Ciuffoletti, Milano, Sugarco, 1979, p. 306.

79. Lettera di Carlo Rosselli a Tommaso Fiore, Milano, 23 settembre 1926, in D. ZUCÀRO, op. cit., p. 317.

80. Cfr. Mozione del Convegno Psli, ivi, pp. 327-328.

81. Cfr. N. TRANFAGLIA, Carlo Rosselli e il sogno di una democrazia sociale moderna, Milano, Baldini Castoldi Dalai editore, 2010, pp. 283-284.

82. Cfr. D. ZUCÀRO, op. cit., p. 33.

83. Cfr. A. GAROSCI, Vita di Carlo Rosselli, Firenze, Vallecchi, 1973 (I ed. 1945), p. 70.

84. C. ROSSELLI, Spunti ed appunti, in «Il Quarto Stato», a. I, n. 29, 23 ottobre 1926, p. 2.

85. T. FIORE [Fioravante], Appunti per un programma socialista per il Mezzogiorno, ivi, p. 1; adesso in D. ZUCÀRO (a cura di), op. cit., p. 262.

86. Ivi, p. 263.

87. S. COLARIZI, La Puglia di Tommaso Fiore, in Meridionalismo democratico e socialismo, cit., p. 372.

88. T. FIORE [Fioravante], Appunti per un programma socialista per il Mezzogiorno, cit., p. 261.

89. Ivi, p. 262

90. Ibidem.

91. A. GRAMSCI, Alcuni temi della quistione meridionale, in ID., La questione meridionale, a cura di F. De Felice-V. Parlato, Roma, Editori Riuniti, 1982 (I ed. 1966), p. 133. Per un inquadramento su questi temi nella riflessione gramsciana, oltre all’introduzione firmata da De Felice e Parlato nel volume sovramenzionato, si vedano anche: M. L. SALVADORI, Il mito del buongoverno. La questione meridionale da Cavour a Gramsci, Torino, Einaudi, 1963 (I ed. 1960), pp. 457-537; S. LUPO, La questione. Come liberare la storia del Mezzogiorno dagli stereotipi, Roma, Donzelli, 2015, pp. 152-161.

92. Cfr. F. GRASSI ORSINI, Introduzione. La Puglia da Giolitti a Mussolini, cit., p. 95.

93. Proprio in quei giorni, per esempio, venne presa d’assalto la casa cagliaritana di Emilio Lussu, episodio che portò alla cattura del noto esponente sardista. Cfr. E. Lussu, Marcia su Roma e dintorni, Torino, Einaudi, 2002 (I ed. 1931).

94. Lettera del Prefetto di Bari alla Direzione Generale della Ps presso il Ministero degli Interni, Bari, 5 luglio 1942, in ACS, Ministero dell’Interno, Casellario Politico Centrale, b. 2076, fasc. Tommaso Fiore.

95. Cfr. G. TARTAGLIA, Le origini del Partito d’Azione in Puglia, in Il Partito d’Azione dalle origini all’inizio della lotta armata, Roma, Archivio Trimestrale, 1985, p. 563.

96.  Cfr. Lettera di Augusto Monti a Tommaso Fiore, Torino, 29 dicembre 1929, in C. NASSISI, (a cura di), Tommaso Fiore e i suoi corrispondenti (1910-1931), cit., pp. 302-303.

97. Cfr. A. GAROSCI, op. cit., pp. 77-153.

98. Lettera del Prefetto di Bari alla Direzione Generale della Ps, cit.

99. S. FEDELE, Il liberalsocialismo meridionale (1935-1942), Messina, Edizioni Sfameni, 2002, p. 25.

100. Cfr. G. TARTAGLIA, op. cit., pp. 566-567. Si veda comunque anche M. CIFARELLI, «Libertà vo’ cercando…». Diari 1934-1938, a cura di G. Tartaglia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, ad indicem.

101. Cfr. M. GIOVANA, Giustizia e Libertà in Italia. Storia di una cospirazione antifascista (1929-1937), Bollati Boringhieri, Torino, 2005, pp. 366-367; S. FEDELE, Il liberalsocialismo meridionale (1935-1942), cit., p. 26.

102. Questo documento è andato smarrito.

103. Decalogo del P.L.S., adesso in C. NASSISI, «Il Nuovo Risorgimento» (1944-1946). Gli anni della grande speranza. Il polo liberalsocialista pugliese, Lecce, Milella, 1990, p. 317. Il medesimo documento anche in «Avanti!», 4 giugno 1983.

104. Ivi, p. 318.

105. S. FEDELE, Il liberalsocialismo meridionale (1935-1942), cit., p. 51.

106. Cfr. G. TARTAGLIA, op. cit., p. 567.

107. Cfr. A. JANNAZZO, Il liberalismo italiano del Novecento: da Giolitti a Malagodi, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, p. 170-171. Assai utili, al fine di comprendere l’ascendente di Croce sul liberalsocialismo barese, anche le riflessioni in G. DE LUNA, Storia del Partito d’Azione, UTET, Torino, 2006 (I ed. 1982), pp. 44; 115-118.

108. C.L. RAGGHIANTI, Disegno della liberazione italiana, Nistri-Lischi, Pisa, 1962 (I ed. 1954), pp. 299-300.

109. Decalogo del P.L.S., cit., p. 317.

110. F. GRASSI ORSINI, Il formicone, le formiche ed il formichiere, cit., p. 622.

111. Cfr. Copia di appunto per il sig. Capo di Divisione Affari Generali Riservati, Roma, 14 giugno 1942, in ACS, Ministero dell’Interno, Divisione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali Riservati, Ufficio Confino di Polizia, b. 416, fasc. Tommaso Fiore.

112. Cfr., a proposito della riflessione politica di Calogero, F. SBARBERI, La sintesi liberalsocialista di Guido Calogero, in M. BOVERO, V. MURA, F. SBARBERI (a cura di), I dilemmi del liberalsocialismo, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1994, pp. 105-135.

113. Cfr. S. FEDELE, Il liberalsocialismo meridionale (1935-1942), cit., pp. 108-109.

114. Così citato in N. COLONNA, Tommaso Fiore. Un meridionale in Europa, Bari, Palomar, 2003, p. 12.

115. P. BAGNOLI, Carlo Rosselli. Socialismo, giustizia e libertà, Milano, Biblion, 2015, p. 63.

116. N. COLONNA, op. cit., p. 12.

117. T. FIORE [Fioravante], Appunti per un programma socialista per il Mezzogiorno, cit., p. 262.

118. P. BAGNOLI, Carlo Rosselli. Socialismo, giustizia e libertà, cit., p. 63.

119. Cfr. G. CINGARI, Tommaso Fiore tra meridionalismo democratico e socialismo, cit., pp. 126-135.

120. Cfr., a quel proposito, Lettera di Tommaso Fiore alla Direzione del Partito d’azione, Bari, 2 dicembre 1946, in C. NASSISI, «Il Nuovo Risorgimento» (1944-1946), cit., pp. 342-343; Lettera di Tommaso Fiore a Pietro Nenni, Bari, 31 dicembre 1946, in ACS, Fondo Pietro Nenni, s. Carteggio 1944-1949, b. 26, fasc. 1360.

121. Per esempio, Michele Cifarelli, invece di seguire Fiore nel Psi, scelse di entrare nel Pri. Su questa scelta, si veda comunque la nota biografica, redatta da Giancarlo Tartaglia, in M. CIFARELLI, op. cit., pp. 388-390.

122. Cfr. F. GRASSI ORSINI, Il formicone, le formiche e il formichiere, cit., p. 631.

123. Intervento di Leo Valiani, in E. SESTAN (a cura di), Atti del convegno su Gaetano Salvemini. Firenze, 8-10 novembre 1975, Milano, Il Saggiatore, 1977, pp. 352-353.

124. T. FIORE, Il piano e il Mezzogiorno, in 1° Conferenza economica socialista, numero speciale del «Bollettino dell’Istituto di studi socialisti», a. I, n. 14-18, novembre-dicembre 1947, p. 57.

125. Cfr. F. GRASSI ORSINI, Appunti per una biografia politica di Tommaso Fiore, in Meridionalismo democratico e socialismo, cit., p. 44.

126. G. CINGARI, Tommaso Fiore tra meridionalismo democratico e socialismo, cit., p. 133.