UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae
DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica
CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI
(ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI
La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969
M-STO/04
Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045
ANNO ACCADEMICO 2012-2013
CAPITOLO TERZO
3.3 Il PSU: Un partito diviso
La prova più importante e fondamentale che il Partito socialista unificato dovette affrontare era rappresentata dalle elezioni del 19 maggio del 1968. Grandi erano, infatti, le aspettative che i dirigenti socialisti riponevano nella prova elettorale. Il Partito socialista unificato si sarebbe voluto presentare come un partito nuovo, un terzo polo laico e democratico, capace di porre una valida ed efficace alternativa al Partito comunista ed alla Democrazia cristiana. Il programma elettorale rappresentava, quindi, un elemento importante per il partito che ne affidò l’elaborazione e la discussione alla Conferenza nazionale per il programma elettorale che si riunì i primi giorni di aprile.
Il 9 aprile, alla conclusione dei lavori, Nenni presentò il documento redatto e nella sua relazione espose le linee principali in esso contenute.
Il Presidente del partito nella prima parte della sua relazione illustrò l’atteggiamento adottato sino a quel momento dal partito di fronte alle crisi internazionali più gravi, rivendicando la validità di tale posizione:
“Noi abbiamo seguito una linea di ricerca della pace in ogni momento ed in ogni circostanza. Lo abbiamo fatto con un metodo che ci è proprio e che associa alla pressione popolare per sciogliere i nodi delle complicazioni bellicistiche, l’intervento politico per ricercare tutte le occasioni suscettibili di favorire il negoziato pacifico. E’ il metodo al quale ci siamo attenuti nella guerra del Vietnam. Ed oggi possiamo salutare con soddisfazione e con fiducia il cambiamento di rotta che si è manifestato negli Stati Uniti e la disposizione del Vietnam del Nord a discutere con la Casa Bianca, se non ancora il negoziato di pace, per lo meno le condizioni che possono renderlo possibile. E’ il metodo al quale ci siamo attenuti nel conflitto nel Medio Oriente, dicendo il diritto di Israele alla esistenza come Stato libero ed indipendente, respingendo la tesi di una sua premeditata aggressione contro gli Stati arabi, sotto l’egida dell’ONU, per arrivare non soltanto alla definizione delle frontiere, ma ad un reciproco impegno di convivenza pacifica”263.
In seguito il leader socialista affrontò il tema più spinoso che, all’interno del partito, attirava le più aspre critiche da parte della minoranza; tale questione si identificava nella revisione del Patto atlantico.
“Si è discusso molto, si discute, si discuterà nei prossimi mesi della revisione dei patti militari in cui è diviso il mondo, quello Atlantico e quello di Varsavia. Su questo problema l’Internazionale socialista sta conducendo studi assai seri ed accurati ai quali il nostro partito darà il suo più impegnato contributo. Due tesi di fondo intanto si sono affacciate, quella della trasformazione delle alleanze in comunità rette da un potere sovranazionale in cui si realizzi l’eguaglianza dei singoli Stati aderenti, quella dell’impegno globale, al di là dei limiti territoriali dei patti di alleanza. La prima soluzione è seducente, ma ancora teorica ed avveniristica. La seconda è inaccettabile. Le grandi potenze hanno interessi loro propri, spazi geografici da garantire, situazioni di privilegio economico da conservare.
Nenni, proseguendo su tale riflessione, affermava che “per quanto direttamente ci riguarda gli Stati Uniti hanno loro interessi particolari in Asia e nell’America Latina; hanno un problema negro interno. […] Un impegno globale è perciò impossibile”. Il leader socialista concludeva, dichiarando che “rimane quindi valido quanto è detto nella Carta dell’Unificazione e che cioè l’accettazione da parte nostra dei vincoli e degli obblighi inerenti alla adesione italiana al Patto Atlantico si colloca in una interpretazione difensiva e geograficamente delineata dal Patto stesso, non va cioè al di là del territorio che il Patto copre e che è attualmente il meno esposto a tensioni e complicazioni belliche”264.
Alla riunione del Comitato centrale convocata il 10 aprile del 1968 si aprì il dibattito sul programma elettorale che, sebbene infine fosse stato votato all’unanimità, sollevò polemiche relative alle linee di politica estera in esso contenute. Durante la riunione emersero, dunque, differenti punti di vista relativi ad alcune spinose questioni non ancora risolte.
Al Comitato centrale si aprì, dunque, un dibattito che vide la sinistra, rappresentata da Riccardo Lombardi, esprimere riserve sulla parte relativa alla politica estera esposta nel programma elettorale. Il dirigente della sinistra espresse il proprio disappunto sulle dichiarazioni pronunciate da Nenni riguardanti le linee di politica internazionale che avrebbe dovuto seguire il partito. Lombardi riteneva, infatti, necessario procedere ad una revisione del Patto atlantico, contrariamente alla posizione formulata del leader socialista.
“La sinistra del partito ritiene urgente e necessario rimettere globalmente in questione l’Alleanza atlantica, e partire dal rigetto della incondizionalità della partecipazione italiana a eventuali conflitti. Questa incondizionalità (e per conseguenza automaticità e inseparabilità operativa) deriva inevitabilmente dalla integrazione delle nostre forze armate con quelle di una superpotenza (gli Stati Uniti) esposta a rischi che comporta la sua politica di gendarmeria mondiale, e per di più integrazione anche con forze armate di Stati fascisti, quali la Grecia e il Portogallo”265.
Tale linea si discostava, inoltre, da quelle esposte dai cosegretari del partito che, seppur in modi differenti, non ritenevano giusta ed utile, in quella determinata situazione internazionale, un’uscita dell’Italia dall’Alleanza atlantica.
Mario Tanassi considerava, infatti, utopistica la posizione di Lombardi alla quale si opponeva affermando con decisione che :
“Il partito socialista deve portare avanti con coraggio la propria posizione internazionalistica, non chiudendosi in una posizione utopistica che equivarrebbe ad una fuga dalla realtà, ma considerando i termini reali della attuale situazione internazionale e operando in rapporto ad essi . […] La linea di politica internazionale che intendiamo portare avanti non può prescindere per altro dalla considerazione della situazione mondiale, dalle esigenze di equilibrio del mondo. Una politica chiusa, una politica che prescinde da tale considerazione, è una politica nazionalistica, una politica alla De Gaulle, non può essere una politica socialista. Noi dobbiamo perseguire la nostra politica con un alto senso del dovere, partendo dalla considerazione delle condizioni attuali dell’assetto mondiale, un assetto che dobbiamo tentare di far evolvere verso condizioni di maggiore sicurezza e di pace, senza per altro presumere che tutto dipenda da noi”266.
Anche Francesco De Martino ribadì con toni più sfumati lo stesso giudizio espresso da Tanassi non escludendo, però, la possibilità di una revisione in futuro del Patto atlantico. Il segretario socialista, dopo aver sottolineato i cambiamenti avvenuti nella politica internazionale, affermava infatti, che “nella presente fase non esiste ancora un problema di modifica unilaterale dei blocchi, come sarebbe il recesso dell’Italia dal Patto atlantico, ma esiste certamente un problema di revisione che rende appunto più agevole il processo di distensione ed alla fine il supermento dei blocchi”267.
Un’esposizione chiara delle linee di politica estera del Partito socialista unificato venne formulata dal responsabile dell’Ufficio internazionale del partito, Venerio Cattani. Il dirigente socialista confermò le dichiarazioni di Nenni approfondendo i concetti espressi dal Presidente del partito. Cattani, dopo aver affermato che “i problemi di politica estera e più precisamente il tema della collocazione internazionale dell’Italia, che furono preminenti nella passata legislatura, hanno assunto particolare rilievo negli ultimi tempi e saranno tra i temi dominanti nella prossima legislatura”, ribadì le posizioni di Nenni ritenendo anch’egli “estremamente difficile una revisione significativa del patto atlantico”.
Cattani dichiarò, inoltre, che “la sola e autentica revisione del rapporto di alleanza tra i Paesi europei e gli stati Uniti non potrà essere che l’effetto del passaggio dalla Comunità economica alla comunità politica dell’Europa occidentale. Solo in tal modo l’Europa potrà ottenere condizioni effettive di parità nella Alleanza, e forse essere in stato di provvedere da sola alla propria difesa. Prima di allora lo spostamento dell’accento dai caratteri militari ai caratteri politici del Patto Atlantico, sarebbe un errore. Noi dobbiamo anzi demitizzare e disideologizzare il Patto, tenendolo per quello che oggi è: uno strumento di difesa utile ancora e fino a quando non si saranno create in Europa e nel Mediterraneo, altre e più certe condizioni di sicurezza e di pace. E’ alla creazione di queste condizioni che noi dobbiamo lavorare nei prossimi anni”268.
Tale fu, quindi, la posizione ufficiale del partito relativa alla politica estera, con la quale si presentò alle urne nonostante non trovasse concordi tutti i socialisti. Il tema della politica internazionale continuava, dunque, a rappresentare una fonte di attrito e di divisione tra i dirigenti socialisti all’interno del partito e differenti elaborazioni intorno alla questione sarebbero emerse in modo chiaro alla vigilia del congresso.
Le elezioni rappresentavano, dunque, un banco di prova fondamentale; grandi erano le aspettative che gli esponenti socialisti vi avevano riposto e grande fu, quindi, la delusione che ne seguì. Il Psu ottenne, infatti, solo il 14,5% . Una vera disfatta, considerando che nelle elezioni del 1963, il Psi da solo, era riuscito ad ottenere il 13,8%. La clamorosa sconfitta uscita dalle urne fu un duro colpo per il Psu che sperava di ricevere un consenso dall’elettorato che invece non premiò la nuova formazione politica269.
La prova davanti alla società italiana non fu superata ed il fallimento di questo obiettivo innescò una crisi irreversibile all’interno di un partito già profondamente diviso, che ora doveva fare autocritica e trovare le motivazione di questo fallimento. I mancati consensi dell’elettorato testimoniarono l’ormai scarsa incisività riconosciuta ed attribuita al Partito socialista unificato, considerato ora come un partito in crisi e privo di iniziative verso una società, quella della fine degli anni Sessanta, in rapido cambiamento.
I risultati che il Psu ottenne furono letti, infatti, come un vero e proprio fallimento della politica di unificazione perseguita con tanta tenacia da molti esponenti del partito, primo fra tutti Pietro Nenni. Era venuto meno uno degli obiettivi fondamentali della politica di riunificazione ovvero quello di riuscire a superare la prova delle urne e di ricevere il sostegno della piazza. La bocciatura della nuova forza socialista indebolì Nenni e con lui tutti coloro che seguivano la sua politica, alla base della quale vi era, oltre all’unificazione, oramai raggiunta, un fermo e deciso “ministerialismo”. Numerose furono le considerazioni e le analisi che seguirono il fallimentare risultato del Psu, giudicato un esperimento politico non riuscito. Il tentativo di creare un polo socialista nuovo e più forte all’interno del sistema politico italiano fallì e le ripercussioni ed i cambiamenti che ne derivarono furono importanti per la vita interna del partito.
In seguito alle elezioni del maggio del 1968 la Direzione del partito decise di votare un documento nel quale era affermato che non sussistevano più le condizioni per un governo con la Dc270. Il governo Moro si dimise e si formò, così, un monocolore Dc guidato da Giovanni Leone al quale il Psu diede un appoggio esterno.
Nel mese di luglio, in preparazione del congresso fissato in ottobre, si riunirono le diverse correnti interne al Partito socialista unificato. Il dibattito precongressuale risultò molto intenso ed acceso. I differenti giudizi elaborati intorno alla politica di centro-sinistra, le diverse considerazioni formulate sull’unificazione ed i contrastanti umori che circolavano all’interno del Psu portarono all’estreme conseguenze un pericoloso processo già in atto da diverso tempo. Le mozioni che vennero formulate tracciarono, quindi, nuovi e profondi solchi tra le diverse anime presenti nel partito e rappresentarono dei veri e propri manifesti programmatici nei quali erano esposte le differenti concezioni elaborate e discusse da tempo dai dirigenti socialisti all’interno del partito.
La prima corrente che si riunì a Roma, il 4 luglio fu quella di “Rinnovamento socialista” che comprendeva per la maggioranza il gruppo dirigente del vecchio Partito socialdemocratico facente capo a Mauro Tanassi ed Antonio Cariglia. Le posizioni espresse da questo gruppo confermarono le tradizionali linee ideologiche socialdemocratiche, riaffermando il profondo anticomunismo ed una convinta fedeltà all’atlantismo in politica estera. Tanassi, inoltre, espresse delle puntuali considerazioni sull’unificazione socialista sulla quale il partito aveva investito molto ma che non aveva dato i frutti sperati. “L’unificazione che aveva in sé tanti germi fecondi di sviluppo e per la cui realizzazione si era pagato un prezzo che pensavamo ci sarebbe stato riconosciuto, si è cristallizzata senza che le due anime dell’ex Psi e dell’ex Psdi riuscissero a diventare un’anima sola. Non è il caso di ricercare colpe che semmai sono colpe di tutti”. Nel documento venne esposta, inoltre, una riflessione sui principi di politica estera elaborata da tale corrente.
“La politica estera del Partito socialista unificato si ispira ai principi di pace nella sicurezza e indipendenza di tutti i popoli, di solidarietà nella lotta su scala mondiale contro la miseria e per l’emancipazione dei Paesi in via di sviluppo: principi questi che sono comuni alla coscienza di tutte le genti e che sono codificati nella Carta delle Nazioni Unite. Tali principi sono stati accolti dall’Internazionale socialista e costituiscono la piattaforma della politica estera di tutti i partiti socialisti e democratici del mondo”271. Nel documento era affrontato, in seguito il tema dell’Alleanza atlantica considerata un elemento fondamentale non solo per l’Italia ma per tutta l’Europa per il mantenimento degli equilibri esistenti.
“Il Partito socialista unificato permane convinto della necessità di respingere ogni atto che potrebbe alterare l’equilibrio che ha dato così positivi frutti e che atri ne darà in futuro; è convinto quindi della necessità di mantenere l’adesione dell’Italia all’alleanza difensiva. L’Europa commetterebbe un grave errore con conseguenze che potrebbero essere fatali per il nostro continente e per gli stessi sviluppi democratici dei Paesi oggi sottoposti all’egemonia dell’Unione Sovietica, se spingesse la America verso l’isolazionismo. In tale ipotesi, gli impulsi egemonici dell’Unione Sovietica riceverebbero un incoraggiamento decisivo. La critica degli errori della politica americana non deve farci perdere di vista una esigenza per noi essenziale, quale quella dell’autonomia del nostro Paese nel rispetto dell’autonomia di tutte le nazioni dell’Europa occidentale”272.
Nella parte conclusiva del documento si sottolineavano i comuni obiettivi perseguiti in politica estera dagli Stati europei e gli Stati Uniti. “Se i principi generali della Carta delle Nazioni Unite sono fatti propri da tutti i partiti socialisti del mondo, i principi della partnership fra l’Europa intergrata e l’America sono accolti dalla grande maggioranza dei partiti socialisti europei. Né potrebbe essere diversamente, poiché questa comune politica estera sanziona una comune visione dei grandi problemi del mondo, come quello della libertà nel diritto di ogni popolo alla propria indipendenza”273.
Il gruppo più esiguo all’interno del Psu, costituitosi intorno ad Antonio Giolitti, si riunì al Teatro dell’arte di Milano, il 14 luglio. La corrente prese il nome di “Impegno socialista” in contrapposizione polemica alla politica del “disimpegno” decisa dal partito. Giolitti illustrò le posizioni della sua corrente affermando che “si è caratterizzata con la denuncia dello stato del partito socialista e delle responsabilità del gruppo dirigente del partito nel governo, con il rifiuto della continuità pura e semplice del centro-sinistra e la proposta di un nuovo impegno per creare nuove condizioni per la partecipazione al governo”274.
Nella parte dedicata alla politica estera si individuava come “problema prioritario per il partito socialista, che deve riassumere appieno il suo ruolo storico di partito internazionalista, è il problema dell’Europa. E’ l’Europa il terreno sociale, economico, politico e culturale sul quale può svilupparsi un’iniziativa socialista capace di costruire un modello alternativo rispetto al capitalismo, al neocapitalismo e ai sistemi comunisti e di rappresentare un punto di rifermento e di appoggio per i Paesi in via di sviluppo”275. Proseguiva, inoltre, delineando un nuovo indirizzo di politica estera che attribuisse un ruolo più attivo all’Italia nei rapporti internazionali che non prevedeva, però, l’uscita del Paese dall’Alleanza atlantica.
“Il quadro internazionale impegna il Partito socialista in un nuovo indirizzo di politica estera che superi l’atteggiamento di passività e di assenteismo che ormai da vent’anni -a partire dal stipulazione del Patto atlantico- l’Italia è andata assumendo di fronte ai problemi internazionali.
Un ruolo attivo dell’Italia nei rapporti internazionali non può essere efficacemente svolto mediante iniziative unilaterali, che in un contesto internazionale articolato in blocchi economici, politici e militari avrebbero carattere velleitario e assumerebbero – come nel caso della Francia gollista. I caratteri di un nazionalismo condannato dalla storia -.
I socialisti sono sempre stati e rimangono contrari per principio all’equilibrio del terrore fondato sui blocchi militari. Ma questo equilibrio non può essere responsabilmente alterato se non facendo maturare le condizioni per la formazione di nuovi e più avanzati equilibri basati sulla cooperazione internazionale. Non si tratta di rompere o rovesciare alleanze bensì di agire al loro interno per contestare l’egemonia dei rispettivi Stati-guida e costruire l’Europa unita e autonoma in luogo delle due Europe divise e succubi.
L’Italia avrebbe dovuto, quindi, agire all’interno del blocco senza “rompere o rovesciare” le alleanze. Collegato a tale tema vi era, quindi, quello della revisione del Patto atlantico.
“La prossima scadenza del Patto atlantico è a questo fine una occasione decisiva che non deve andare perduta. La revisione del trattato dovrà garantire il carattere rigorosamente difensivo e geograficamente delimitato dell’alleanza, assicurare agli Stati membri una reale partecipazione paritetica alle decisioni, porre fine alla scandalosa integrazione con le forze armate degli Stati fascisti. Una effettiva contestazione dell’egemonia americana nell’Alleanza atlantica presuppone un grado di coesione politica in Europa assai più avanzato di quello finora raggiunto”.
Nell’ultima parte del documento erano affrontate le crisi internazionali ancora aperte e si leggeva:
“Nel quadro più ampio su scala mondiale, il problema più grave è quello del sud est asiatico. Il partito socialista deve appoggiare apertamente e vigorosamente tutte le iniziative atte a conseguire l’obiettivo della pace e dell’indipendenza del popolo vietnamita, in piena solidarietà col movimento di liberazione del Vietnam del Sud, senza lasciarsi condizionare da preoccupazioni di schieramento politico interno. Verso i paesi in via di sviluppo, la solidarietà dei socialisti deve tradursi in una politica di scambi e di contributi ispirata ai criteri della programmazione e organizzazione su basi multilaterali, cioè svincolata da qualsiasi pretesa egemonica e condizionamento politico di carattere neo- capitalistico”276.
La corrente di “Unità e Riscossa socialista” si riunì il 18 luglio a Roma, al Palazzo dei Congressi dell’Eur. Il gruppo guidato da Francesco De Martino rappresentava la parte predominante della vecchia corrente di maggioranza autonomista del Psi. Il cosegretario socialista analizzò le condizioni in cui versava il partito soffermandosi soprattutto sulla questione dell’unificazione e sulle motivazioni che lo avevano condotto alla costituzione di una sua corrente. “Siamo giunti dopo lunga e meditata riflessione alla decisione di dar vita alla corrente di ‘Unità e Riscossa socialista’ (che ribadiamo di voler sciogliere il giorno dopo il congresso) quando ci siamo resi conto che i problemi in discussione erano e sono tali da investire la funzione e la natura del partito”277.
Nella parte riguardante la politica estera erano toccati i temi più importanti a cominciare da quello dell’Europa.
“Di fronte all’interpretazione della coesistenza che si è venuta definendo in questi anni da parte delle superpotenze nucleari e che si basa sul mantenimento dello ‘status quo’ e sulla cristallizzazione delle zone di influenza, l’Europa deve conquistare la sua unità politica e la sua autonomia e farsi promotrice di un tipo di coesistenza che garantisca il diritto dei popoli a rimuovere secolari ingiustizie, a conquistare condizioni di vita più umane, a disporre liberamente dl proprio destino. In tal modo l’Europa può diventare un polo di attrazione per tutti i Paesi dell’Est e un punto di riferimento per i paesi del terzo mondo. Per queste ragioni è necessario dare un nuovo slancio al disegno dell’unità europea ed intensificare l’azione tendente ad assicurare l’ingresso nella Comunità europea della Gran Bretagna e di tutti gli altri paesi che hanno fatto richiesta di adesione o di associazione e che ne abbiano i requisiti”278.
Nel documento si riaffermava, inoltre, in nome della tradizione antifascista la volontà dei socialisti di “promuovere ed appoggiare tutte le iniziative tendenti a restituire la libertà e la democrazia ai popoli oppressi da dittature di tipo fascista e ribadiscono la loro convinzione che la presenza di questi paesi nella Comunità delle nazioni democratiche è causa di grave turbamento nelle relazioni internazionali e di grande discredito perle democrazie occidentali”. Infine veniva espressa la propria solidarietà con i popoli coloniali ed ex coloniali “che si battono per la l’indipendenza, qualunque sia la forma politica che i movimenti di liberazione assumono”. Si riaffermava, inoltre, “la riprovazione per l’intervento americano nel Vietnam” chiedendo “la sospensione incondizionata dei bombardamenti come primo passo per aprire la via ad una soluzione negoziata che garantisca l’indipendenza del Vietnam e il suo diritto all’autodecisione” e si ribadiva la volontà per una “effettiva universalizzazione dell’ONU ed in primo luogo l’ammissione della Cina come primo atto di una nuova politica diretta a trarre questo immenso Paese fuori del suo isolamento”279.
La corrente facente capo a Riccardo Lombardi e Fernando Santi si riunì il 22 luglio ad Ostia. La “Sinistra socialista” ribadì la polemica sull’unificazione e sugli esiti, giudicati fallimentari, della politica di centro-sinistra. Lombardi, nella sua relazione, affermò come il nuovo partito aveva perso la sua “anima socialista” e come fosse indispensabile, per il suo rinnovamento, riprenderla. Il dirigente della sinistra rilanciò, inoltre, il progetto politico dell’“alternativa” considerato collegato a tale necessità di un pronto rinnovamento280. Nel documento presentato dalla corrente di Lombardi si ritrovavano le posizioni più volte ribadite durante i mesi precedenti relative all’atteggiamento del partito, aspramente criticato, relativo alle questioni internazionali più spinose.
Dopo aver rilevato che “la crisi del socialismo italiano, paradossalmente accentuata dall’unificazione socialista per il modo sbagliato e superficiale con cui la si è voluta realizzare, va inquadrata in una crisi più vasta del socialismo europeo” venivano affrontate le questioni più rilevanti della politica estera, prima fra tutte quella relativa alla costruzione dell’Europa.
“La risposta socialista deve indirizzarsi al fine di un’Europa dotata dell’autorità politica indispensabile per sviluppare un programma comune di controllo, resistenza, contestazione rispetto alla minaccia di colonizzazione che risulta non solo dall’inferiorità tecnologica dell’Europa rispetto agli USA, quanto dalla sproporzione esistente tra la capacità e l’efficienza dei centri decisionali americani rispetto a quelli europei; situazione questa che costringe i paesi europei ad importare crisi originate dai centri decisionali americani senza poter influire alla loro origine ma solo potendone combattere le conseguenze ricorrendo ai metodi tradizionali basati sulla priorità della stabilità monetaria rispetto a quella dello sviluppo e dell’occupazione. […] Tuttavia una posizione socialista quale quella profilata non può prescindere dalla realizzazione prioritaria di un quadro politico nel quale essa sia concretamente proponibile”281.
Questo quadro politico era individuato da Lombardi nel “recupero dell’indipendenza europea rispetto agli USA” che avrebbe potuto “disarmare le diffidenze contro l’unità europea da parte dei paesi dell’Est, facilitare un analogo processo di autonomia degli Stati dell’Europa orientale rispetto all’URSS, e rendere con ciò possibile un’Europa non più partecipe subalterna delle alleanze, ma capace di contrarne essa stessa”.
Lombardi ribadiva, quindi, che “il vero ostacolo all’unità politica europea” era rappresentato dall’”equilibrio attuale dell’Europa dell’Est come dell’Ovest, costretto negli schemi sclerotizzati dalle due alleanze Atlantica e di Varsavia”. Tale era la questione fondamentale della critica espressa da Lombardi che rappresentava, inoltre, il punto di maggiore differenza rispetto alle riflessioni espresse dalle altre correnti e dalla quale scaturiva, inoltre, la sua proposta di far uscire l’Italia dalla NATO considerata, appunto, un elemento di un sistema oramai sclerotizzato.
“L’impossibilità di mantenere l’Italia nell’attuale status internazionale trova due momenti immediati di applicazione: anzitutto, il rifiuto del nostro Paese di partecipare ai rischi e alle solidarietà della politica mondiale degli USA, che si estendono molto al di là della sfera geografica del Patto; in secondo luogo, il rifiuto di accettare ulteriormente la integrazione delle nostre forze armate con quelle di paesi a regime fascista, e quindi la richiesta pregiudiziale a qualsiasi discussione sul P.A. di esclusione dal Patto della Grecia e del Portogallo”.
Nel documento era riaffermata, dunque, la ferma necessità di una esclusione dell’Italia dal Patto atlantico al quale, secondo Lombardi, erano connessi i problemi internazionali più spinosi.
“Se si vuole un’Europa unita […] non si può volerla atlantica. E’ su questo nodo che si congiungono i problemi fra loro connessi della presenza dell’Italia nel Blocco atlantico, della lotta contro l’imperialismo americano, dell’aiuto morale e politico alle forze che nell’Est si battono contro la persistenza di dispotismi politici e culturali, della lotta per un’Europa unita nella democrazia e aperta al socialismo. S’inserisce in tale contesto la lotta per i popoli che subiscono, restandovi vittoriosamente, l’aggressione americana, primo fra tutti il Vietnam, al quale non giova soltanto da parte dei socialisti l’augurio e l’azione per una soluzione pacifica del conflitto, ma un’aperta solidarietà alla sua gloriosa resistenza, che già nel passato un solenne documento della Direzione dell’allora Psi definì lotta di liberazione nazionale”282.
La corrente di “Autonomia socialista”, che faceva capo a Nenni, raggruppava i vecchi esponenti della maggioranza del partito. Il gruppo, che seguiva la linea politica esposta dal leader socialista, decise di non organizzare convegni nazionali prima della convocazione del Comitato centrale prevista per il 24 luglio. Gli esponenti di “Autonomia socialista” ritenevano, dunque, più utile radunarsi dopo aver ascoltato le decisioni prese al Comitato centrale. Si organizzarono, dunque, solo convegni a carattere regionale così da poter ascoltare le opinioni della base sull’attuale situazione del partito.
Nenni, intanto, a Formia, stava preparando un documento da presentare alla sua corrente. Il 28 luglio del 1968, la relazione del Presidente del partito fu pubblicata dall’“Avanti!”. Nel documento si leggeva: “a due anni dalla Costituente socialista il partito si avvia in condizioni di disagio al suo primo congresso dopo l’unificazione. L’indice più vistoso dl disagio è la divisione della larga maggioranza”283.
Nenni affermò, inoltre, che il suo documento sarebbe dovuto essere “un contributo soprattutto al superamento dello spirito di gruppo e di frazione, nello spirito di quello che doveva, che deve essere, il congresso verso il quale andiamo, cioè, la continuazione e lo sviluppo della Costituente socialista del 30 ottobre”.
Il leader socialista, in seguito, dopo aver analizzato la condizione del partito e la dura sconfitta subita alle elezioni di maggio affrontò il tema della politica estera riprendendo i principi esposti nella Carta ideologica dell’unificazione ed identificando nella costruzione di una Europa unita l’unico modo possibile per superare la politica dei blocchi.
“Tutto è fermo tutto è vecchio e superato nell’ordine internazionale sorto dalla seconda guerra mondiale e dalle sue appendici. E’ fermo anche il problema dell’adeguamento dei due blocchi militari alle esigenze autonomistiche dei paesi che ne fanno parte. La Carta dell’unificazione ha sancito, due anni or sono, il principio dell’accettazione da parte del partito dei vincoli e degli obblighi inerenti alla adesione al Patto atlantico, nella loro interpretazione difensiva e geograficamente delimitata, non è in contrasto con l’obiettivo costante dei socialisti per mettere al bando la guerra e per superare i blocchi militari. Si tratta di realizzare all’interno dei blocchi, e per quanto ci riguarda del blocco atlantico, due condizioni: una condizione di parità degli stati membri nella assunzione, nella interpretazione e nell’attuazione degli accordi militari; una condizione di autonomia nei confronti del cosiddetto impegno globale, rispetto cioè alla politica americana fuori dalla zona coperta dal patto, in Asia, in America latina, in ogni altra parte del mondo. Analogo è il problema della Romania e della Cecoslovacchia pongono all’Unione Sovietica. Senonchè la via che conduce al superamento dei blocchi è la costruzione dell’unità economica e politica europea; il nostro contributo alla pace, è fare l’Europa”284.
La corrente di “Autonomia” aderì all’appello rivolto da Nenni al partito ritenendosi d’accordo su tutti i punti affrontati dal Presidente. Il gruppo giudicava, infatti, positivamente alcuni punti specifici espressi nel documento come “l’analisi puntuale e lucida della situazione politica e internazionale” e “gli obiettivi e le proposte rivolte al compimento del processo di unificazione ed alla ripresa dell’iniziativa politica socialista nell’ambito del centro-sinistra che viene confermato come la prospettiva attuale per il consolidamento delle istituzioni democratiche e per la trasformazione civile, economica e sociale del nostro paese”.
In un altro passo del documento era spiegato, inoltre, in modo chiaro il ruolo che proprio questa corrente avrebbe voluto ricoprire nel futuro congresso. Si leggeva:
“l’impegno congressuale di ‘Autonomia socialista’ si rivolge conseguentemente a creare le condizioni per la formazione di un’ampia maggioranza nel partito, favorendo tutte le convergenze possibili, al di là di formali divisioni che non rappresentano l’espressione di reali ed incolmabili divergenze politiche, sulla base di una scelta senza equivoci e senza oscillazioni, di chiarezza democratica, di autonomia del partito, di fedeltà alla linea che i socialisti portano avanti da dieci anni e che si è sostanziata nelle scelte della politica di centro-sinistra e dell’unificazione”285.
Alla vigilia del primo congresso, il Partito socialista unificato si presentava, dunque, profondamente diviso ed attraversato da correnti che, oramai, rappresentavano ed agivano come partiti nel partito, con propri leader ed una propria linea politica. Le accese discussioni e le aspre polemiche iniziate all’indomani dell’unificazione avevano prodotto una condizione di diffidenza e precarietà che stava minando la stessa unità del partito.
I contrasti presenti, oramai da tempo, su importanti temi emersero nel dibattito precongressuale in tutta la loro pericolosità e la questione della politica estera ne rappresentava, di certo, un aspetto fondamentale. Le crisi internazionali, scoppiate in quegli anni, avevano provocato differenti reazioni; divergenti erano risultate, quindi, le soluzioni proposte come fu confermato, in modo chiaro, dalle dichiarazioni espresse nelle mozioni delle correnti.
La differenza più evidente era rappresentata dal diverso atteggiamento mostrato di fronte alla questione della revisione del Patto atlantico che aveva già suscitato polemiche all’interno del Psu. Lombardi, in forte polemica con le altre correnti, chiedeva l’uscita dell’Italia da tale alleanza identificando in questa azione l’unica possibile via per il superamento dell’equilibrio dei blocchi ma anche come presa di posizione contro l’imperialismo americano, da sempre criticato ferocemente, che del Patto ne era il simbolo. Le altre correnti, seppur con motivazioni e ragionamenti differenti, erano concordi nel ritenere non opportuno arrivare a tale gesto considerato troppo imprudente ed avventato pensando, invece, di poter avviare all’interno del blocco stesso, un’iniziativa che portasse ad un graduale sgretolamento dei blocchi. Punto fondamentale di tale riflessione era identificato nella costruzione dell’Europa, considerata, infatti, da tali correnti, la soluzione perfetta per risolvere in modo positivo la questione della modifica dell’equilibrio internazionale.
La corrente della “Sinistra socialista” proseguiva nella severa critica rivolta verso l’atlantismo e l’imperialismo americano condannando apertamente l’intervento nel Vietnam e la cautela dimostrata dal partito di fronte a tale grave crisi. Tale questione rappresentava l’aspetto centrale della critica e della polemica espressa dalla “Sinistra”, frutto di una elaborazione maturata da tempo e sviluppata in seguito alle poco incisive e nette, secondo il dirigente della sinistra, prese di posizione del suo partito.
Le critiche contro l’intervento americano in Vietnam, anche se con toni più sfumati erano presenti nelle mozioni di “Presenza” e di “Impegno” ma rimanevano circoscritte all’intervento americano, non condannando esplicitamente l’imperialismo americano che, secondo Lombardi, di tale guerra rappresentava solo un aspetto, anche se il più tragico, di una politica di aggressione perseguita, non casualmente, dagli Stati Uniti.
Le dichiarazioni di Nenni, fatte proprie dalla corrente di “Autonomia” si limitarono a riconfermare i principi indicati nella Carta ideologica e la corrente di “Rinnovamento socialista”, fedele all’atlantismo, non criticava l’intervento americano, auspicando, solo la ricerca di “una pace giusta” per il Vietnam.
Le differenze risultavano, dunque, chiare su questioni importanti come l’imperialismo e l’atlantismo che erano interpretati e concepiti in modo differente dalla sinistra. Lo stesso disegno relativo all’Europa era criticato da Lombardi che ritrovava nella elaborazione sviluppata dalle altre correnti una appendice ed un proseguo della politica americana.
Fu ancora una volta un evento internazionale ad acuire le tensioni già presenti all’interno di un partito profondamente diviso. Alla fine di agosto del 1968 le truppe del Patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia riportando l’ordine turbato dallo spirito della “Primavera di Praga”. La condanna dei socialisti italiani fu immediata e Nenni il 29 agosto, intervenendo in Parlamento, riunito in seduta straordinaria per i fatti di Praga si fece il portavoce di tale condanna. Il leader socialista aprì il dibattito leggendo il testo del documento della deliberazione votata dalla Assemblea nazionale cecoslovacca trasmesso da radio Praga e condannando l’invasione. Nenni affrontò, inoltre, il tema della distensione considerato un aspetto profondamente collegato agli avvenimenti cecoslovacchi dichiarando che “la fragile creatura chiamata distensione […] ha certo largamente favorito il processo di sviluppo democratico all’interno del blocco comunista. Ogni voce, ogni atto che abbiano concorso a liquidare la mistica dei blocchi, ogni atto di fiducia passata al di sopra dei reticolati e delle muraglie dell’isolamento degli Stati e dei popoli ha rappresentato un apporto non soltanto alla pace ma anche all’affermarsi del movimento di rinnovamento democratico. Bisogna, quindi, andare avanti verso il superamento dei blocchi, concretamente operando per crearne le condizioni. […] Vogliamo quindi andare avanti nella politica della distensione pur nella consapevolezza del passo indietro che l’invasione della Cecoslovacchi ha fatto fare alla fiducia che è la base stessa di una politica di distensione”286.
In seguito, parlando dell’Europa Nenni affermò:
“Noi socialisti insistiamo anche sull’esigenza di una politica di unità europea che supplisca ai vuoti dell’attuale organizzazione dei rapporti internazionali soggetti alla nefasta influenza della Realpolitik, di quanti cioè in mancanza d’altro, si affidano alla egemonia delle maggiori potenze atomiche e accettano come un fatto compiuto e permanente la divisione del mondo in due zone di influenza. Nella crisi che oggi scuote il nostro continente, se l’Europa non troverà la via della sua unificazione politica tutto continuerà a far capo a Washington e a Mosca, oppure tutto si dissolverà nella politica degli egoismi nazionalistici”287.
Nell’ultima parte del suo intervento, Nenni, analizzando le crisi internazionali ancora aperte affrontò il delicato tema del Vietnam affermando: “Non si può difendere la pace in Europa se nel Vietnam non si pone fine ad una guerra che dura da anni, che ha dietro di sé un bilancio pauroso di morti e di distruzione e della quale l’America tiene il bandolo della soluzione, dovendo ormai essere sua l’iniziativa di avviarla a conclusione, accettando la condizione o come si dice in America accettando il rischio di una unilaterale sospensione dei bombardamenti aerei”288.
Il giorno successivo i presidenti dei gruppi parlamentari del Psu, del Pri e della Dc decisero di presentare in Parlamento un documento comune nel quale si condannava “l’invasione della Cecoslovacchia da parte di eserciti dell’URSS e di altri Stati del patto di Varsavia come una patente violazione dei fondamentali diritti dei popoli, riconosciuto dalla Carta dell’ONU, dei principi che regolano la convivenza internazionale nonché dello stesso patto di Varsavia”. Nel testo si esprimeva, inoltre, “commossa solidarietà con il popolo cecoslovacco ed ammirazione per l’eroica e civile sua resistenza” e si impegnava il governo “a sostenere in ogni modo ed in ogni sede l’aspirazione ed il diritto di quel popolo a vedere ripristinata l’effettiva indipendenza e sovranità dello Stato”, si indicava, quindi, “nell’unità politica dell’Europa la condizione per riaffermare un ruolo attivo sulla scena internazionale, per garantirne la sicurezza e per qualificarne, anche nel quadro dell’Alleanza atlantica, la presenza operante ai fini della distensione, del disarmo e della riaffermazione dei valori, indivisibili di pace e di libertà”. Nel documento si ribadiva, inoltre, “la volontà di proseguire nella politica di distensione che ha reso possibile fino ad oggi una maggiore diffusione della libertà e della pace nel mondo”289.
La decisone di presentare un documento comune dei tre partiti di maggioranza ma soprattutto le dichiarazioni contenute in esso non trovarono concordi tutti i socialisti all’interno del Psu. Lombardi, Achilli, Zappa, Ballardini, Querci e Giolitti si rifiutarono, infatti, di votare l’ordine del giorno presentato congiuntamente dai partiti di centro-sinistra. Tale presa di posizione fu spiegata da Lombardi in Parlamento, nel suo discorso affermò:
“Superfluo premettere che la nostra condanna dell’intervento politico dapprima, militare poi, in Cecoslovacchia, è ferma, risoluta senza attenuanti né ricerca di alibi. Dirò di più come per noi l’intervento americano nel Vietnam non è una deviazione anomala della strategia politica degli USA ma, come dimostra ciò che avvenne a San Domingo e ciò che avviene in America Latina una sua manifestazione, così l’intervento sovietico a Praga non è un errore incongruo con la concezione sovietica dei rapporti internazionali nella sua area di influenza bensì una sua applicazione. Se errore vi fu, esso consiste in un errore di calcolo sulla facilità di trovare a Praga un Quisling, o sia pure un Petain.
E’ dunque questa concezione che va mutata e non credo di sbagliarmi se ritengo che la coscienza di tale necessità appare nel rapporto dell’onorevole Longo al CC del Pci.
Senonché condannare la concezione e la pratica del Blocco di Varsavia non può significare in alcun modo idealizzare quelle del blocco contrapposto, che in concreto sono poi quelle della potenza egemone, degli USA, e che se pure ricorrono a strumenti di intervento più sofisticati non per ciò tolgono a questi il carattere menomatore e conculcatore della libera determinazione dei popoli. […] Per questo pensiamo che Nenni, col cui discorso di ieri abbiamo dissentito e per ciò che ha detto e ancor più per ciò che (deliberatamente, penso, e non per oblio) ha taciuto, non ha fatto il minimo cenno all’atlantismo rendendosi conto che non è in nome della solidarietà di un blocco che si può aiutare la Cecoslovacchia a recuperare la sua libertà; e anche perché il suo animo di antifascista deve aver avvertito lo sproposito di commettere il presidio della libertà ad un organismo di cui sono pilastri non secondari due stati fascisti.
Di questa impostazione di Nenni, l’o.d.g. proposto è uno stravolgimento: non più la priorità alla dissoluzione dei blocchi ma l’espresso rifermento al blocco atlantico reinserito indebitamente attraverso la pur giusta rivendicazione dell’unità europea, mostrando così di ignorare che unità politica dell’Europa e alleanza atlantica sono istituti non complementari ma incompatibili, prefigurando equivocamente un’Europa unita, diluita in una comunità atlantica, ciò che la renderebbe impossibile, o se possibile, inutile. Come pure non è senza motivo che della indivisibilità della libertà così energicamente affermata nel discorso dell’oratore ufficiale del gruppo socialista, non sia stata ripresa nell’o.d.g. la esemplificazione che solo può darle forza e significato, quella del Vietnam.
Se perciò esisteva un’occasione ove i socialisti, pur convenendo con altre forze politiche nella condanna dell’aggressione, non potevano identificarsi con esse nella motivazione ed esprimere un giudizio autonomo, l’occasione era quella del presente dibattito. L’avervi rinunciato senza motivo plausibile non poteva che portare a rendere l’o.d.g. o reticente o inutile.
Per questo motivo non ritrovando neanche in tale o.d.g. rispecchiata correttamente quella che a nostro giudizio è la giusta posizione socialista, noi dichiariamo di manifestare tale nostro giudizio non partecipando alla sua votazione”290.
Nell’ordine del giorno presentato dai partiti di maggioranza e, quindi, condiviso anche dai socialisti, Lombardi non ritrovava rispecchiata “la giusta posizione socialista” in politica estera. Erano numerose, secondo il dirigente della sinistra socialista, le incongruenze e le mancanze contenute nel documento. Lombardi non condivideva le dichiarazioni che condannavano “la concezione e la pratica del Blocco di Varsavia” portando come logica conseguenza ad “idealizzare quelle del blocco contrapposto”. La mancanza di una condanna esplicita della politica dell’atlantismo non poteva essere accettata da Lombardi che disapprovava, inoltre, il silenzio sulla guerra del Vietnam. Da tale riflessione derivava anche la critica all’atteggiamento di Nenni che, condividendo tale documento, approvava indirettamente le dichiarazioni contenute in esso.
Secondo Lombardi, il leader socialista “non ha fatto il minimo cenno all’atlantismo rendendosi conto che non è in nome della solidarietà di un blocco che si può aiutare la Cecoslovacchia a recuperare la sua libertà”, lo accusava, inoltre “di ignorare che unità politica dell’Europa e alleanza atlantica sono istituti non complementari ma incompatibili”. Secondo questa interpretazione “un’Europa unita, diluita in una comunità atlantica” l’avrebbe resa “inutile”, gli rimproverava, inoltre, il fatto di non aver introdotto il dramma della guerra del Vietnam “che della indivisibilità della libertà” è “la esemplificazione che solo può darle forza e significato”.
Lombardi e gli altri dirigenti socialisti che con lui si rifiutarono di votare l’ordine del giorno dei partiti di maggioranza pur condannando, senza alcuna riserva l’intervento in Cecoslovacchia, non condividevano, dunque, la linea di critica espressa nel documento considerato “reticente ed inutile”. Le critiche mosse al testo erano quelle ribadite in più occasioni dai dirigenti della sinistra interna al partito che puntavano sulla critica all’imperialismo, all’atlantismo ed all’europeismo secondo la concezione elaborata dalla maggioranza del Psu.
La polemica, scoppiata in seguito alla tragedia di Praga, proseguì nelle riunioni della Direzione del 4 e 5 settembre durante le quali, nonostante il partito fosse riuscito a votare all’unanimità una risoluzione relativa alla Cecoslovacchia, le tensioni non si stemperarono. Lombardi, infatti, proseguì il suo attacco contro la decisione di Nenni di presentare un ordine del giorno comune ai partiti di centro-sinistra che taceva, secondo il dirigente della sinistra, su alcune delle questioni più importanti della politica estera italiana. Intervenendo in Direzione, Lombari ribadì i giudizi critici espressi nel suo intervento alla Camera soffermandosi sul comportamento di Nenni, affermando: “Nenni avrebbe dovuto non dare il suo consenso all’o.d.g. da cui erano state estromesse le più rilevanti cose che proprio lui aveva detto nel suo discorso alla Camera (il riferimento al Vietnam) e introdotte quelle che aveva taciute (il riferimento al Patto atlantico)”291.
Proseguì affermando che “il PSU manca di una linea comune di politica internazionale capace di inquadrare e rendere convincente la sua posizione, come provano le profonde divisioni che esistono e sull’atlantismo e sull’europeismo e sul giudizio dell’imperialismo nella sua più atroce manifestazione, quella del Vietnam”292. Tale importante dichiarazione descriveva in modo chiaro lo stato di un partito nel quale erano numerose le divergenze su temi importanti relativi alla politica estera individuati nell’atlantismo, nell’imperialismo e nell’europeismo. Su tali espressioni concetti termini Lombardi ed i dirigenti a lui vicini avevano elaborato una tesi divergente rispetto a quella della maggioranza del partito.
La mancanza di una linea comune di politica internazionale incideva in modo determinante sull’unità interna al partito che si trovava, quindi, diviso su tale questione oltre ad altri temi altrettanto importanti, primo fra tutti il rapporto con i comunisti. Lombardi, anche riguardo tale problema, aveva elaborato un pensiero differente rispetto alla maggioranza dei dirigenti del partito che non individuava in tale atteggiamento una cambiamento decisivo nella politica estera comunista. Il dirigente socialista espresse, invece, grande apprezzamento per la posizione del Pci giudicandolo “come l’inizio di una svolta non solo tattica ma strategica di cui l’elemento più rilevante non è tanto la condanna dell’intervento sovietico quanto la dichiarata identificazione del PCI con quella del ‘nuovo corso’ in Cecoslovacchia”. Proseguiva affermando, inoltre, che “il compito del Psu è quello di favorire, con la massima possibilità al colloquio critico ma aperto, lo sviluppo di tale svolta, che se andrà avanti, come è probabile andrà […] questo sarà un contributo decisivo alla formazione di una sinistra effettivamente rinnovata e capace di assumersi il compito immenso della riforma democratica socialista”293.
All’interno del Partito socialista unificato era chiaro, quindi, come la politica internazionale continuasse a rappresentare una spinosa questione vista la distanza che intercorreva tra le singole mozioni formulate dai dirigenti socialisti alla vigilia del congresso.
Note:
262. “Avanti!”, 2 luglio 1967.
263. “Avanti!”, 10 aprile 1968.
264. Ibidem
265. Il C.C. approva all’unanimità il programma elettorale del partito, “Avanti!”, 11 aprile 1968.
266. Ibidem.
267 Ibidem.
268
269. S. Colarizi, Storia dei partiti nell’Italia repubblicana, Laterza, Bari 1994, pp. 334-335.
270. M. Degli Innocenti, Storia del Psi, cit. p.384.
271. “Avanti!”, 7 luglio 1968.
I testi delle mozioni elaborate dalle cinque correnti interne al Partito socialista unificato furono pubblicati completi sull’”Avanti!” il 28 luglio 1968.
272. Ibidem.
273. Ibidem.
274. “Avanti!”, 16 luglio 1968.
275. Ibidem.
276. Ibidem.
277. “Avanti!”, 19 luglio 1968.
278. Ibidem.
279. Ibidem.
280 “Avanti!”, 23 luglio 1968.
281. Ibidem.
282. Ibidem.
283. Il Presidente Nenni in vista del congresso ha indirizzato ai compagni un appello, “Avanti!”, 28 luglio 1968.
284. Ibidem.
285. Ibidem.
286 “Avanti!”, 30 agosto 1968.
287. Ibidem.
288. Ibidem.
289. “Avanti!”, 31 agosto 1968.
290. “Avanti!”, 31 agosto 1968.
291. “Avanti!”, 6 settembre 1968.
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