IL FALLIMENTO DELL’UNIFICAZIONE: LA NUOVA SCISSIONE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae
DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica

CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI

(ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI

La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969

M-STO/04
Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045

ANNO ACCADEMICO 2012-2013

 

CAPITOLO QUARTO

4.3 Il fallimento dell’unificazione: la nuova scissione

Il 12 dicembre venne ricostituito un governo di centro-sinistra presieduto dal democristiano Mariano Rumor. La formazione di un nuovo governo di centro- sinistra sembrò consolidare la maggioranza interna al Partito socialista unificato.

Il tentativo di consolidamento, che verteva intorno alle due linee politiche principali sin’ora sostenute, quelle dell’unificazione e della riconferma del centro- sinistra, non durò, però, a lungo. L’irrigidimento delle correnti interne e le diverse concezioni politiche sul ruolo che il Psu avrebbe dovuto ricoprire nella società e nel governo minarono il già precario ed instabile equilibrio del Partito. Proseguirono, infatti, quelle oscure manovre che, ormai da molto tempo,  caratterizzavano,  non  solo la vita interna del partito, ma anche quella della stessa maggioranza. Nuove iniziative che la porteranno, nel giro di pochi mesi, alla completa distruzione.

Mauro Ferri si trovò, così, non solo alla guida di un Partito sempre più diviso ma anche ingabbiato in una maggioranza che, ormai, tramava alle sue spalle. Il segretario del Psu si rese, infatti, conto del gioco dal quale era stato escluso e che poteva soltanto subire. In una dichiarazione rilasciata al quotidiano socialista nel gennaio del 1969 si lamentò di tale situazione, divenuta per lui insostenibile.

“L’attuale maggioranza del Psi si è costituita con l’intento di assicurare al Partito una guida politica che non comprometta i risvolti raggiunti dai socialisti in questi ultimi anni, dall’unificazione al centro-sinistra. […] L’alleanza tra gli autonomisti e la corrente di ‘Rinnovamento’ è infatti la proiezione della politica condotta dall’ex Psi e dall’ex Psdi, prima con l’alleanza di centro-sinistra poi con la lunga battaglia per l’unificazione socialista, al fine di dare al Paese un equilibrio democratico più solido. Ciò non vuol dire che questa maggioranza non possa allargarsi ad altre correnti esistenti nel Partito purchè esse si dimostrino concordi non a parole ma con i fatti ed i comportamenti politici”316.

Il nuovo segretario del partito illustrò, poi, il suo tentativo e la sua prospettiva  di un possibile e concreto allargamento della maggioranza.

“Da parte mia si è cercato di stabilire nuovi rapporti tra la maggioranza e la corrente demartiniana e ciò attraverso intese politiche su punti specifici importanti che consentissero una più vasta unità del Partito. […] E’ giunto il momento di chiamare tutti i compagni ad un maggiore senso di responsabilità a rinunciare a metodi che devono essere condannati perché non sono fondati su ragioni politiche ma su posizioni personali e di gruppo e perché rischiano di mettere a repentaglio l’equilibrio unitario del Partito”317.

Le polemiche interne alla corrente di maggioranza, però, non si fermarono qui. Proseguirono, infatti, interventi e dichiarazioni che acuirono le tensioni.

Il protagonista indiscusso che manovrò e guidò scaltramente questo cambiamento interno alla maggioranza fu Giacomo Mancini. Il dirigente socialista, continuava, infatti, nel suo percorso, senza curarsi delle possibili conseguenze che avrebbe potuto provocare. In un’intervista rilasciata ad un settimanale, dunque, fece forti affermazioni che ebbero gravi strascichi polemici.  Nelle sue parole, oltre ad  una pungente analisi della condizione del partito, vi era un’attenta e provocatoria descrizione della forza e del peso politico delle varie correnti che lo dilaniavano.

“I socialdemocratici? Ma se l’ala politicamente più importante dell’ex Partito  di Giuseppe Saragat è con noi! I socialdemocratici rimasti uguali a se stessi, che continuano a riconoscersi in Tanassi il loro leader, hanno preso all’ultimo congresso il 15% dei voti: non è poi così tanto. Comunque l’unificazione socialista l’abbiamo fatta e non ci si torna sopra. Questo non significa che all’interno del nostro Partito non debba cambiare niente. Significa che deve cambiare tutto”318.

Questo cambiamento necessario e fondamentale, richiesto direttamente dal partito, era identificato nella nascita della sua corrente. Da quel momento, infatti, il Psu non sarebbe stato più diviso in cinque correnti, come era noto, ma in sei.  La  sesta era, appunto, quella guidata da Giacomo Mancini: “Presenza socialista” che, di lì a poco, avrebbe acquistato un grande peso politico e decisionale all’interno del Partito socialista unificato. Mancini espose tale aspetto nella parte centrale dell’intervista.

“La storia di cacciar via Mauro Ferri dalla Segreteria del partito non mi interessa, non sono stato io a metterla in giro. Non mi interessa neppure cacciar via Tanassi dalla maggioranza del Psi e mettere al suo posto De Martino. Il discorso è un po’ più complicato di così. Bisogna partire dalla considerazione che al posto del Partito socialista oggi ci sono soltanto sei correnti incomunicabili tra loro. Sei partitini organizzati ciascuno per proprio conto non formano un partito; meno che mai fanno un partito moderno ed efficiente. L’assetto delle correnti riproduce, diviso per sei, il metodo delle decisioni al vertice che noi rimproveriamo ai comunisti e che si chiama ‘il centralismo democratico’. Oggi il Psi è un’organizzazione piramidale: discutiamo tra noi sei, all’insaputa di tutti gli altri”319.

Il dirigente socialista proseguiva, inoltre, proponendo un progetto di “rilancio del Psi” che avrebbe dovuto avere al centro la “partecipazione di tutti e non solo dei plenipotenziari. […] Di fronte ai problemi reali si creerà una nuova maggioranza e potrà nascere un nuovo assetto del partito. Per portare avanti una politica  di  iniziativa bisogna essere in molti, non in pochi”320.

Con queste dichiarazioni Mancini, uno dei sei “plenipotenziari”, si poneva alla testa di una nuova corrente che aveva l’intento di garantire al partito una più vasta maggioranza ed una maggiore stabilità oltre, naturalmente, ad affermare la propria personalità ed ad aumentare il suo peso politico all’interno di un partito, oramai, debole.

In seguito alla lettura di questa intervista il segretario del partito Mauro Ferri annunciò, immediatamente, la convocazione del Comitato centrale. Tra le righe dell’intervista lesse, infatti, un ammonimento ed una critica, non troppo nascosta, riguardante i suoi comportamenti. In una comunicazione apparsa il 13 marzo sull’“Avanti!”, il segretario del Psi scrisse, infatti, lamentandosi dell’intervista: “Il contenuto ed alcune dichiarazioni di esponenti socialisti meritano una presa di posizione al fine di evitare che la base del partito sia ancora frastornata da voci e manovre interessate”321.

Al comitato centrale  del 24 marzo del 1969 i toni, però, si stemperarono: non  si voleva aggiungere, infatti, altra tensione ad una situazione già estremamente precaria. Le polemiche ed i messaggi cifrati per gli attenti interlocutori, furono per il momento accantonati. Anche l’intervento di Giacomo Mancini, attorno  al quale vi era posta grande attenzione, ebbe accenti concilianti soprattutto nei riguardi  di Mauro Ferri con il quale vi fu un momentaneo chiarimento.

In aprile, dopo l’eccidio di Battipaglia, esplose in modo chiaro la profonda differenza di vedute e di interpretazione tra l’ala socialdemocratica e  quella  socialista riguardante la gestione della contestazione322. Il problema dell’ordine pubblico contribuì a rendere più teso il clima interno alla stessa maggioranza. Ferri, Tanassi e Cariglia si espressero, infatti, contro il disarmo della polizia, richiesto e sostenuto, al contrario, da De Martino, Mancini e dalle correnti  di  sinistra  all’interno del partito. Queste divergenze resero, quindi, più rapida la formazione di una nuova maggioranza.

Nel Comitato centrale del maggio del 1969 si formò il nuovo schieramento  della maggioranza di cui Giacomo Mancini fu il promotore. Tale nuova formazione  si costituì intorno all’asse De Martino-Mancini-Giolitti-Viglianesi. Si unirono, così,  le correnti di “Riscossa socialista”, “Presenza socialista” ed “Impegno socialista”, oltre alla componente socialdemocratica che si  riuniva intorno al segretario della  Uil, Italo Viglianesi. Il lento processo di logoramento, che già da tempo, si stava consumando all’interno della maggioranza e della stessa corrente di “Autonomia”, arrivò, dunque, a conclusione.

Questa nuova maggioranza innescò quel rapido processo che, nel giro di pochi mesi, avrebbe portato il partito ad attraversare un momento drammatico della sua storia a causa di una nuova scissione.

Al comitato centrale del 20-21 maggio la Direzione si presentò dimissionaria. Nel partito proseguiva, così, il rapido processo verso la dissoluzione. Nenni, rammaricato da tale condizione, in un’intervista rivelò il grave stato nel quale  versava il Psi. “Veniamo da un congresso male impostato e  male  concluso,  nel quale non riuscimmo ad ottenere che si esprimesse una linea politica sostenuta  da una larga maggioranza, che pure esisteva. Da allora non siamo più usciti dal regime delle correnti e dei gruppi organizzati che costituiscono partiti nel partito e che rivelano, nel migliore dei casi una famiglia in rissa che rischia di smarrire il senso degli interessi generali”323.

Il nuovo gruppo di maggioranza presentò, inoltre, un documento, firmato da 61 membri su 121 del Comitato centrale, nel quale erano presenti i principi  ideologici e le nuove linee politiche sulle quali si sarebbe caratterizzato il loro impegno. Nel documento si leggeva:

“Il partito i cui principi e la storia lo destinano ad essere il principale e più coerente protagonista dello sviluppo democratico e sociale per le sue paralizzanti divisioni interne (e il prevalere, in Direzione, di indirizzi moderati) dopo aver realizzato gli accordi per la formazione del governo è rimasto immobile ed incapace di azione, dimostrando di non essere in grado di costituire una forza sollecitatrice e stimolatrice dell’azione di governo e nemmeno di sostenere adeguatamente nel Paese quel che si veniva maturando. Sono mancate una direzione politica ed un’azione organizzativa capaci di rilanciare la presenza socialista nel paese, di avviare il superamento di una paralizzante situazione di irrigidimento nelle correnti congressuali, che hanno impedito la mobilitazione delle energie, della volontà e delle capacità che il Partito raccoglie. Il Comitato centrale ravvisa, quindi, la necessità che si costituisca una nuova e più valida maggioranza per realizzare attorno ad essa l’unità del Partito, alla scopo di riprendere forza e capacità di iniziativa e di azione. Il Comitato centrale ribadisce gli impegni assunti con la carta dell’unificazione, la validità della politica di centro-sinistra e gli accordi in virtù dei quali è stato costituito il governo”.

Nella  parte relativa alla politica estera nel documento era affermato:

“Nella politica internazionale il Comitato centrale riafferma l’impegno leale dei socialisti agli obblighi derivanti dalla Alleanza Atlantica, i cui fini strettamente difensivi ed il cui ambito geograficamente delimitato sono stati ribaditi dalle dichiarazioni di governo. Movendo dalla lealtà della situazione presente, il partito persegue un nuovo e più stabile assetto della pace, mediante la distensione, il disarmo, il negoziato Est-Ovest, il superamento dei blocchi ed un trattato di sicurezza europea garantito dalle due grandi potenze mondiali, la Russia e gli Stati Uniti. La invasione militare della Cecoslovacchia da parte dell’Unione Sovietica e delle truppe armate del Patto di Varsavia, le minacce alla Jugoslavia ed alla Romania, hanno costituito un colpo grave per la politica di distensione e di superamento dei blocchi. Nonostante questo rimane ferma la volontà dei socialisti di perseguire qualsiasi iniziativa tendente a favorire la distensione ed il negoziato, come passi concreti verso una più sicura pace”324.

Le dichiarazioni relative alla politica internazionale riprendevano, quindi,  quelle già espresse nella mozione della corrente di Francesco De Martino, “Unità e Riscossa socialista”. Erano riconfermate, infatti, la politica della distensione e del disarmo, era ribadita la volontà di giungere al superamento dei blocchi ed era posto come obiettivo ultimo la ricerca della pace.

Nenni, consapevole che la distruzione e lo sfaldamento della corrente di “Autonomia” avrebbe portato ad una rapida scissione, decise di aggiornare i lavori del Comitato centrale al 23 giugno per “non lasciare nulla di intentato per salvaguardare l’unità del Partito”325. Le laboriose e incessanti trattative al Comitato centrale che si riunì, invece, i primi di luglio, non riuscirono, però, a salvare l’unificazione.

Quei drammatici giorni di luglio segnarono la fine ed il definitivo tramonto del progetto di unificazione. A nulla valsero, infatti, gli ultimi e disperati tentativi di Nenni che propose un documento per costituire una maggioranza fra tutte le componenti che partecipavano al governo. La mozione, però, fu respinta con 52 voti favorevoli e 67 contrari. Fu la fine dell’unificazione.

Mario Tanassi, Antonio Cariglia, Mauro Ferri e gli altri esponenti socialdemocratici lasciarono il partito e costituirono il Psu, il Partito socialista unitario, con Ferri e Cariglia rispettivamente segretario e vicesegretario. Nel ricostituito Psi rimase, invece, il gruppo socialdemocratico legato al segretario della UIL, Italo Viglianesi.

La Direzione del Psi, che riprese tale denominazione dopo la scissione, elesse segretario Francesco De Martino e vicesegretario Giacomo Mancini. Al quotidiano socialista “Avanti!” vennero riconfermati Gaetano Arfè e Franco Gerardi che, con un’efficace campagna di stampa erano riusciti a limitare gli strascichi polemici seguiti alla fine dell’unificazione.

Note:

316. “Avanti!”, 29 gennaio 1969.

317. Ibidem.

318. “l’Espresso”, 12 marzo 1969.

319. Ibidem.

320. Ibidem.

321. “Avanti!”, 13 marzo 1969.

322. Nell’aprile del 1969, in seguito ad una rivolta scoppiata a Battipaglia, la polizia, intervenuta per riportare l’ordine, sparò su due persone uccidendole. Tale evento suscitò molto scalpore e pose all’attenzione dei partiti politici italiani il tema dell’ordine pubblico.

323. “Avanti!” 15 maggio 1969.

324. “Avanti!”, 21 maggio 1969.

325. “Avanti!” 22 maggio 1969.

 

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