Care/i amiche/i del Coopi,
in seguito alle comunicazioni sul Coronavirus del CF di ieri a Berna siamo spiacenti di dover tenere chiuso il Cooperativo, nostro storico locale e centro sociale, fondato nel 1905.
Procediamo alla chiusura a malincuore, per la prima volta in 115 anni di attività, ma in convinto ossequio alle disposizioni del CF atte a contrastare la diffusione di questa pandemia.
Andrà tutto bene! Il Coopi riaprirà non appena avremo superato la fase di emergenza e nuove condizioni lo consentiranno.
Vi ringraziamo della comprensione.
Arrivederci presto a tutti… al Coopi.
Società Cooperativa Italiana Zurigo
Dr. Andrea Ermano, presidente
Zurigo, 17 Marzo 2020
LA STORIA DEL COOPI
Zurigo anche il minestrone, qui, è un pezzo di storia. Lo mangiavano, gratis, gli immigrati appena arrivati dall’Italia. Piaceva anche a Benito Mussolini, quando era socialista, non aveva un soldo in tasca ed era innamorato di Angelica Balabanoff. Minestrone e politica, maccheroni e giornali antifascisti. Ecco, il Coopi è stato ed è tutto questo. Vladimir Ilic Ulianov, detto Lenin – sì, proprio lui – preferiva invece i cappelletti. Li preparava Erminia Celli, la moglie del figlio di nonna Adele, che era arrivata da Scandiano, Reggio Emilia. Dicono che li ha mangiati anche poco prima di prendere il treno per la Russia, la sera del 9 aprile 1917.
Quando si apprese la notiza che Lenin aveva sterminato i Menscevichi, egli non fu più ammesso al COOPI.
Al ristorante della Società cooperativa italiana Zurigo, in Strassburgstrasse 5, i tavoli sono rossi e sui muri ci sono i ritratti di Carlo Marx e Giacomo Matteotti. Su un ripiano, il busto di Filippo Turati. «Qui – dice Andrea Ermano, che insegna filosofia all’università ed è presidente della cooperativa – è passata la storia italiana. Il Coopi (a Zurigo tutti lo chiamano così) è stato il primo rifugio degli immigrati che scappavano dalla miseria italiana e poi il punto d’ incontro degli antifascisti. Ignazio Silone era il direttore de L’Avvenire dei Lavoratori, Giuseppe Saragat, Sandro Pertini e Pietro Nenni mandavano qui i loro articoli contro il Duce. I fratelli Rosselli erano di casa, prima di essere ammazzati dai fascisti». Il ritratto di Carlo Marx sembra sorvegliare attentamente ogni angolo della grande sala. «Un giorno è arrivato qui Bertolt Brecht e si è arrabbiato perché, accanto al ritratto di Marx, non c’ erano anche quelli di Lenin e di Stalin. “I dittatori – gli risposero – noi non li vogliamo nemmeno appesi ai muri”». Inviati dell’Ovra sorvegliavano il ristorante e pagavano 50 franchi ogni informazione uscita da qui.
Ci sono ancora i primi menù del Coopi, aperto il 18 marzo1905. L’ idea era quella di «fornire agli operai un cibo sano e nutriente a un prezzo equo». Un minestrone costava 20 centesimi di franco, una trippa al sugo 40 centesimi, un mezzo pollo 1 franco, “carne al lesso” 50 centesimi, minestra di trippa a 20 centesimi. «Nello statuto, ancora valido – dice Andrea Ermano – c’ è scritto che bisogna dare sostegno ai connazionali di passaggio. è un modo elegante per dire, senza umiliare nessuno, che se hai fame e non hai soldi in tasca qui al Coopi puoi avere un piatto di minestra gratis». Qui si organizzano i primi scioperi degli italiani che stanno costruendo mezza Zurigo e la repressione è forte. Milleduecento muratori, nel 1911, vengono caricati su un treno speciale e rispediti in Italia.
Ma c’è bisogno di braccia. A scavare i tunnel sotto le Alpi arrivano i calabresi ed i siciliani, perché in galleria con le macchine a vapore in azione si arriva a 50 gradi e solo loro riescono a resistere. Emiliani, veneti e friulani lavorano nell’edilizia. Il comizio del 1° maggio 1913 viene tenuto dal socialista Benito Mussolini. A Zurigo ha conosciuto Angelica Balabanoff, la giornalista russa che è venuta a studiare qui perché l’università è aperta alle donne. Lo spiantato Benito si innamora e, alla ricerca di uno stipendio, contesta la linea politica de L’Avvenire dei lavoratori e convoca un’assemblea per diventarne il direttore. Viene sconfitto e torna in Italia.
Scoppia la prima guerra mondiale e il Coopi diventa il “covo” dei pacifisti. «Venite fuori», questo un titolo de L’Avvenire dei lavoratori del 1° maggio 1916. «Lavoratori dei campi e delle officine, fermate i ferrei bracci vostri, immobilizzate le vostre macchine e venite fuori, fuori con noi sulla strada. Bimbi e fanciulle impallidite, che la fabbrica vi ucciderà precocemente, lasciate i vostri aghi, separatevi dai vostri merletti». La prima sede, nella Zwinglistrasse, viene lasciata nel 1912. Il nuovo Cooperativo trasloca al numero 36 della Militarstrasse, nel quartiere popolare di Zurigo, chiamato “Kreis Chaib”, il quartiere carogna. Durante il fascismo il numero 36 della Militarstrasse diventa l’indirizzo più conosciuto per i fuoriusciti italiani.
Arriva anche Giacomo Matteotti, che scrive per L’Avvenire dei lavoratori. Si organizzano qui le partenze per la guerra di Spagna. La trafila passava da Basilea e Ginevra, poi attraversata la Francia si valicavano i Pirenei. La stampa clandestina viene nascosta nel doppiofondo delle valigie e mandata in Italia. Leo Valiani viene arrestato mentre porta a Roma una di queste valigie. Quando la Francia viene occupata dai nazisti, anche l’Avanti! trasloca da Parigi a Zurigo. Il direttore si chiama Pietro Bianchi ed è un muratore analfabeta. Ma ha la cittadinanza svizzera, e può fare il prestanome.
Finisce la guerra e negli anni Cinquanta e Sessanta Zurigo torna ad essere Lamerica degli italiani con la valigia di cartone. Renzo Balnelli, svizzero con nonni di Casalmaggiore, Cremona, è stato direttore dei telegiornali della Tv svizzera di lingua italiana. «Da giovane lavoravo anche qui, al Coopi, all’ Avvenire dei lavoratori. Erano anni davvero duri, perché c’era chi voleva cacciare gli italiani. L’editore James Schwarzenbach organizzava le campagne xenofobe. Sul giornale facemmo una contro-campagna contro “gli usurai del sonno”. C’era un palazzo diroccato, vicino alla stazione centrale. Scoprimmo che veniva affittato agli immigrati con turni di otto ore al giorno: l’usuraio del sonno riceveva tre affitti per lo stesso materasso. Pubblicammo le foto, ci fu uno scandalo».
Adesso, sotto il ritratto di Marx, vengono a mangiare anche gli agenti della “Boerse”, la borsa di Zurigo, che è accanto alla Werdplatz dove, d’estate, il Coopi mette i tavoli sotto gli alberi. Ci sono i sindacalisti e gli avvocati di sinistra dell’Anwaltskollektiv, che riducono le parcelle ai clienti poveri. Il Coopi è un rifugio anche per i globetrotter della sinistra. Franco Facchini, 53 anni, poeta bolognese, ha trovato lavoro qui come “consulente per la gastronomia”. «Mi affascina questa città che, al primo impatto, sembra solo un’esposizione di banche e gioiellerie. Poi sali piano piano la Spiegelgasse, il vicolo dello specchio, e scopri che all’inizio c’era il cabaret Voltaire, dove è nato il dadaismo. Subito dopo la casa dove ha abitato Wolfgang Goethe. In cima, al numero 14, l’abitazione di Lenin». Lenin era arrivato in Svizzera nel 1914 e a Zurigo nel febbraio 1916. Qui finisce di scrivere L’imperialismo come fase suprema del capitalismo. «Zurigo – scrive alla madre – mi piace tanto. Il lago è magnifico». Due stanze in subaffitto, a 24 franchi al mese. Meno felice la moglie Nadja Krupskaja. «La Spiegelgasse puzza.
Nel cortile c’ è un tremendo odore che proviene da una fabbrica di salsicce. Possiamo aprir le finestre solo di notte». I bellissimi quadri di Mario Comensoli, con i suoi Operai in blu, trasformano il ristorante in un pezzo di museo. Al primo piano c’ è una grande sala, che viene concessa gratis a chiunque voglia fare una riunione. C’è un incontro del Partei der Arbeit, il partito del lavoro. «Sono i comunisti svizzeri – spiega Ermano – che hanno un nome diverso perché, per legge, nessun gruppo può dichiararsi comunista». Dopo, ai tavoli rossi, le ragazze ed i ragazzi del Partei der Arbeit continuano a discutere di linea e di strategia. Karl Marx osserva, forse lusingato.
A cura di Jenner Meletti
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.