CORONAVIRUS: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE IN TRE REGIONI DEL NORD

A cura del Comitato Salute provincia del Verbano-Cusio-Ossola |

In questi giorni, ritenendo superata la fase acuta, si parla di “fase 2” per far “ripartire” il Paese. Riteniamo perciò che sia giunto il momento di confrontare la gestione della pandemia nelle tre Regioni del nord governate dalla Lega: Veneto, Lombardia e Piemonte per capire i motivi che hanno prodotto risultati così diversi fra loro.

Partiamo dall’architettura del sistema sanitario regionale:

VENETO – Presenza di Aziende locali socio sanitarie, con alcune funzioni sanitarie integrate con il sociale. Sanità territoriale articolata, distretti “forti” e Conferenze dei Sindaci con ruolo chiave di programmazione e controllo. Rete ospedaliera pubblica. Privati presenti ma non strategici e con attività marginali.

LOMBARDIA – Aziende sanitarie svuotate di poteri e Conferenze dei Sindaci non più coinvolte. Sanità territoriale inesistente, politica sociosanitaria frammentata e separata dal sanitario. Sistema sanitario “ospedalocentrico”. Forte presenza dei “privati”, che assorbe quasi il 50% delle risorse disponibili. La riforma del 1997 mette in assurda competizione “pubblico” e “privato”, pur sapendo che a differenza del “pubblico” il “privato” non ha vincoli.

PIEMONTE – Presenza di ASL a copertura provinciale.  I distretti sono i luoghi di integrazione socio sanitaria. Sanità territoriale in itinere, in accordo con i Medici di famiglia, ma in questa legislatura non si registra alcun progresso. Politica sociale distinta da quella sanitaria, ma sulla via dell’integrazione. Privati presenti ma non strategici.

GESTIONE DELLA CRISI

VENETO – La grave crisi di VO’ Euganeo, dichiarata “zona rossa” insieme a Codogno è stata superata grazie ad una rete territoriale efficiente che è servita anche a mantenere più a lungo la tracciabilità dei contatti da parte dei contagiati, ma anche di effettuare, dallo scorso marzo, un numero di tamponi più elevato rispetto a Lombardia e Piemonte, che invece lo hanno incrementato solo ad aprile. Il Veneto però è riuscito ad evitare che il contagio si propagasse verso i grandi centri urbani, contenendo così il numero dei contagiati e dei morti. La struttura ospedaliera non è sta messa sotto pressione e la crisi ha potuto essere governata senza patemi.

Con legittimo diritto oggi si chiede di passare alla fase 2.

LOMBARDIA – La crisi iniziata a Codogno è stata sì superata ma, l’assenza di una rete sanitaria  territoriale non ha consentito la tracciabilità dei contatti avuti dai contagiati e quindi tutto è ricaduto sul sistema ospedaliero che però, per sua natura cura le acuzie ma non fa prevenzione. In mancanza di queste informazioni si è rimasti senza bussola ed è risultato impossibile contenere il contagio che si è inevitabilmente diffuso nei grandi agglomerati urbani.

Solo l’ASST di Lodi ha limitato i danni grazie al presidio del territorio affidato a “Medecine sans frontière”.

La crisi scoppiata a Bergamo che stranamente non è stata dichiarata “zona rossa” ha probabilmente contribuito a contagiare la vicina Valle Seriana e il territorio bresciano. Il sistema ospedaliero è entrato in crisi rivelando i limiti della sanità privata per affrontare le emergenze verso le quali invece il “pubblico” è sempre obbligato ad intervenire. Ciò ha portato alla decisione aprire nell’ex Fiera di Milano un nuovo ospedale dedicato al “corona virus” e a Bergamo un ospedale da campo preparato dagli Alpini.

Un errore madornale è stato poi commesso con la decisione di inviare nelle RSA  i pazienti “post Covid” dimessi dagli ospedali. I risultati del contagio sono stati drammatici. Una gestione “isterica” che in alcuni momenti è arrivata ad addossare al potere centrale delle responsabilità che la Costituzione affida  in esclusiva alle Regioni. Aldilà del valore delle persone coinvolte, appare in tutta evidenza l’assoluta inadeguatezza di “questo” sistema sanitario che ha tolto molto al “pubblico” e ha lasciato il territorio senza una adeguata copertura sanitaria.

PIEMONTE – Nella gestione della crisi pandemica, vi sono alcune cose che meritano di essere valutate in base ai risultati che hanno prodotto. 

Questa Amministrazione si è fatta trovare impreparata all’urto della pandemia, nonostante ci si attendesse da almeno 15 giorni il suo arrivo. Questo lasso di tempo non è stato adeguatamente utilizzato. Il Presidente della Regione si è più volte giustificato addossando al potere centrale responsabilità solo sue, ma anche addebitando alla amministrazione precedente le difficoltà incontrate, come se questo disastro si poteva prevedere.  

Che dire però della ridicola e dispendiosa vicenda delle mascherine acquistate a milioni e buttate perché inutilizzabili, della scomparsa delle mail dei medici di famiglia e ancora peggio della scomparsa di una serie di tamponi che dovevano essere ancora analizzati, che hanno messo in cattiva luce una gestione già di per sé non certo brillante.

Che dire poi delle mascherine rese obbligatorie (che ancora non ci sono) fra l’altro acquistate anche con i soldi dei cittadini e che un Partito politico, senza pudore e vergogna, se ne attribuisce il merito per alimentare la sua scandalosa campagna elettorale permanente. E che dire delle delibere e delle ordinanze del Piemonte uguali a quelle lombarde emesse solo qualche giorno prima? Questo spiega anche il disastro a cui sono andate incontro le Case di riposo di cui nessuno si è occupato sino all’esplodere dei contagi e dei decessi. Tutto questo mentre l’Assessore regionale alla sanità che in piena crisi pandemica procede ad una sostituzione di posizioni apicali nella sanità piemontese. Ma dai! Non si è mai visto che mentre infuria una battaglia si sostituiscano i comandanti delle truppe che stanno combattendo. E’ il metodo migliore per perdere una battaglia. Geniale! Qui facciamo nostra la frase che lo stesso Assessore ha pronunciato in un momento di disperazione: “siamo stati sfortunati”, e non è difficile capire perché lo diciamo anche noi. Anziché inseguire il disastroso modello lombardo, era molto meglio ispirarsi al virtuoso Veneto perché, come a scuola, il compito è meglio copiarlo dal primo della classe anziché dall’ultimo. 

CONCLUSIONE

VENETO: il sistema sanitario della Regione si è rivelato il più adatto ad affrontare sia la normalità che l’emergenza.

LOMBARDIA: si conferma la pericolosità del suo sistema a gestione mista pubblico – privato. E’ il “pubblico” che è stato gravato dal peso della crisi, ma con una organizzazione inadeguata per affrontare questa emergenza. L’abnegazione e l’eroismo non bastano. L’esercito c’è ma le armi non bastano. Ci vuole un sistema sanitario diverso.

PIEMONTE: l’architettura del sistema ricalca quella veneta, anche se non è stata completata la sanità territoriale.

Le premesse c’erano tutte per una dignitosa azione di contrasto alla pandemia. La dipendenza culturale dalle delibere della Regione Lombardia hanno però dimostrato una visione limitata ed una incapacità decisionale preoccupante.