di Renato Costanzo Gatti Socialismo XXI Lazio |

 

Dal Sole 24 ore del 28 aprile 2020:

Il campanello d’allarme ora lo suona anche Banca d’Italia. “Una parte delle perdite subite dalle imprese non sarà recuperabile e non tutti i debiti (assistiti da garanzie pubbliche) accesi per far fronte alla crisi saranno immediatamente ripagati al termine dell’emergenza sanitaria. Ne risentiranno la leva finanziaria delle imprese, la loro vulnerabilità e, in ultima analisi, la loro capacità di intraprendere gli investimenti necessari ad accelerare la ripresa economica”.

Un effetto a catena che Via Nazionale tuttavia indica come affrontare: “Questi rischi possono essere contenuti se, compatibilmente con le condizioni generali dei conti pubblici,  alla concessione di garanzie si affiancheranno trasferimenti diretti alle imprese da parte dello Stato (volti a coprire, in misura de definire, le perdite di fatturato e le spese operative), operazioni condotte da veicoli finanziari pubblici costituiti per facilitare la ristrutturazione dei debiti delle aziende, incentivi fiscali miranti ad agevolarne la ricapitalizzazione”.

Insomma, tali provvedimenti “dovrebbero essere attentamente calibrati per commisurare il sostegno pubblico, per quanto ragionevolmente possibile, all’effettivo danno subito in conseguenza della crisi; saranno tanto più efficaci quanto più si baseranno su meccanismi semplici, trasparenti e automatici”.

Il capitale viene clamorosamente allo scoperto, il decreto liquidità che concede garanzie dal 70 al 100% dei prestiti fatti dalle banche per ammontari pari al 25% del fatturato dell’anno precedente (e ho già dimostrato altrove la convenienza economica di questo provvedimento) è assolutamente insufficiente a salvare le imprese italiane. Constatato ciò, con l’uso di parole che tendono ad ammantare di ragionevolezza ed eleganza la sostanza del discorso, si arriva alla richiesta esplicita di contributi e sussidi a fondo perduto e di agevolazioni fiscali a favore del capitale.

La vecchia politica di socializzare le perdite e privatizzare i profitti ritorna puntualmente a galla, spudoratamente e con tocchi di patetica generosità quando si aggiunge che senza questi aiuti le imprese chiudono e tanti poveri lavoratori rimangono senza lavoro. La cosa è tanto più ipocrita quando si sostiene che i regali fatti al capitale devono essere fatti “compatibilmente con le condizioni generali dei conti pubblici”; con la prospettiva di un deficit al 10% e un debito al 150% la cautela del “compatibile” pare inadeguata.

Ora sia chiaro, quello che Bankitalia scrive è tutto vero, molte imprese falliranno e la disoccupazione salirà a due cifre, quello che a mio parere deve essere chiaro è che l’aiuto dello Stato deve avere due caratteristiche:

● Nessun regalo, nessuna esenzione fiscale insomma nessun trasferimento di soldi dal mondo del lavoro al capitale. Se aiuti vanno dati siano dati sottoforma di partecipazioni pubbliche, per essere chiari i soldi che lo stato dà rimangono dello stato, i soldi che i contribuenti danno alle imprese sono investimenti fatti dai contribuenti a mezzo dello stato. Per essere chiari ritorniamo all’IRI.

● Ma gli investimenti non vanno fatti a pioggia con meccanismi “semplici, trasparenti e automatici”. No, gli investimenti vanno fatti sulla base di una politica industriale del Mise che si pone degli obiettivi (ad esempio il superamento del nanismo imprenditoriale), dei risultati (ad esempio l’innovazione, la digitalizzazione, la produzione 4.0) avendo presente un nuovo modo di produzione e di redistribuzione.

Scrive Mariana Mazzucato su Repubblica di qualche giorno fa, l’Italia deve ripartire: “ma per l’economia non deve avere come obiettivo la situazione di prima, perché quella situazione era ricca di difetti. Lo Stato deve dare aiuti alle imprese subito, perché è ora che ne hanno bisogno, ma deve legarli a condizioni molto chiare. Spetta a ogni governo decidere, ma certo sono temi che sono sotto gli occhi di tutti: la necessità di andare sempre più verso una green economy, il divario Nord Sud da ripianare, il divario digitale sia da un punto di vista sociale (tra individui) che economico (fra imprese), la piccola dimensione delle imprese che rischiano di non poter resistere a urti sociali e tecnologici.

Oggi lo Stato dà già molto alle aziende, ma sempre sotto forma di sussidi e incentivi a pioggia per cercare di risolvere fantomatici fallimenti di mercato. Invece serve un ruolo imprenditoriale dello Stato, che agisca in simbiosi con le imprese, indirizzando e coordinando investimenti ed iniziative e che dimostri di avere una strategia, una visione di quale economia vogliamo. Penso che lo Stato debba interagire con le imprese prendendo i suoi rischi come investitore ma ricevendo anche i suoi utili se le imprese, come è augurabile, fanno profitti e li reinvestono in crescita ed innovazione”

La Mazzucato ci convince non solo rispetto a quanto scrive Bankitalia, ma anche rispetto alla proposta di Assonime (Cipolletta) su cui ho già scritto, che vede Cassa Depositi e Prestiti trasformare i debiti delle imprese verso le banche in capitale di rischio della stessa Cassa ma senza diritto di voto quale socio per lasciare alla “libera iniziativa” di continuare con un modello di sviluppo che si dimostra sempre più inadeguato nella crisi del capitalismo globale.