I SOCIALISTI VOLLERO LO STATUTO DEI LAVORATORI

 

di Silvano Veronese* – Vice Presidente Socialismo XXI |

 

Cinquanta anni fa, giusto il 20 maggio, venne promulgata – dopo un lungo e complicato iter parlamentare, la legge 300/70, piu’ nota con la denominazione di “Statuto dei Lavoratori”. Questa legge si puo’ considerare uno dei “prodotti” piu’ significativi sul piano sociale e civile del nostro Paese, voluti dal primo “centro-sinistra”.

Lo “Statuto dei Lavoratori” chiuse un ciclo di riforme molto significative per il rinnovamento del Paese come la nazionalizzazione dell’Energia Elettrica, le prime esperienze di programmazione economica per superare gli squilibri tra Nord e Mezzogiorno, la riforma della Scuola con la istituzione della “media unica”, il superamento delle discriminazioni salariali  tra zone del Paese e tra uomo/donna ed a sfavore dei giovani, la riforma delle pensioni con l’elevazione all’80% dell’ultima retribuzione del trattamento pensionistico ma, soprattutto mise il suggello legislativo alle conquiste sindacali realizzate da una importante stagione di vertenze aziendali e contrattuali nazionali culminate nell’autunno caldo 1969/70.

Vale la pena di analizzare quanto accade 50 anni fa per comprendere appieno il valore di quelle conquiste e dei contenuti di civiltà della Legge 300/70 per rinverdire una stagione politica e sindacale offuscata da tempo da una imperante cultura liberista, possibile solo per la debolezza oggi esistente nel pensiero della sinistra.

Quella importante stagione riformatrice ebbe inizio a partire dai primi anni ’60 con due grandi avvenimenti di portata storica, uno sindacale e l’altro politico che misero fine al precedente periodo degli anni ’50, quello del “centrismo” dominato dagli ambienti più conservatori della D.C. del tempo.

Furono gli anni della ricostruzione economica ed industriale del Paese, gli anni del c.d. “miracolo economico” che produsse un formidabile sviluppo ad una Italia uscita distrutta ed in miseria a causa della infame guerra fascista e dalla arretratezza industriale causata – anche questa dal passato regime – dalla nefasta politica dell’autarchia.

Questo risultato fu, però, duramente pagato dalla classe lavoratrice sul piano sociale e delle condizioni di lavoro e con il permanere di ampie zone di sottosviluppo e di povertà diffusa, in particolare nel Mezzogiorno e nelle Isole. Le grandi migrazioni interne di disoccupati meridionali  per fornire “serbatoi di manodopera a basso costo” alle aree di grande concentrazione industriale furono causa di disagi sociali ed umani profondi  che unitamente alle condizioni” di sfruttamento intensivo” del lavoro e da bassi salari  non poteva,  alla lunga, non  determinare una “miscela esplosiva” che si manifestò nell’autunno caldo con grandi tensioni ma che ebbe un anticipazione con le lotte aziendali e categoriali  lungo tutto  il decennio degli anni ’60.

Esemplare fu la vertenza degli elettromeccanici del 1960 che ebbe – per la prima volta – il conforto di una ampia solidarietà dei cittadini e delle Istituzioni civili e religiose locali. Emblematico il “Natale in Piazza del Duomo” a Milano di migliaia di elettromeccanici in lotta e delle loro famiglie con l’Arcivescovo card. Montini (il futuro Papa Paolo VI) che li benedisse e che poi si recò a celebrare la Messa di Natale all’Alfa Romeo.

Questa vicenda segna l’inizio della riscossa sindacale perché da questa vicenda parte una serie di vertenze aziendali che sovvertono un precedente regime di centralizzazione della contrattazione imposta da una reazionaria Confindustria dell’epoca. Matura la consapevolezza all’interno del mondo del lavoro, da parte delle sue aree piu’ dinamiche, della necessità di un profondo rinnovamento delle politiche ma anche della cultura sindacale per dare un protagonismo ai lavoratori in fabbrica nella definizione delle strategie rivendicative e delle loro prospettive in azienda.

Per la prima volta nelle piattaforme, accanto alle tradizionali richieste di carattere economico, appaiono i temi dei diritti, delle tutele e delle libertà della persona, i temi dell’eguaglianza, della sicurezza e della tutela della salute sul posto di lavoro. Temi di “civiltà” che ispirarono la promozione dello Statuto dei lavoratori e fatti propri da politici di grande sensibilità socialista in particolare, ma anche da altri di orientamento laico- progressista o cristiano-sociale.

E’ in questo clima che matura quella che venne chiamata la “svolta a sinistra”, cioè l’apertura al PSI di entrare nel Governo del Paese per allargare la base sociale di riferimento dello stesso alle forze del lavoro.

L’allargamento alla  presenza  dei  socialisti nel  Governo, oltre ai fermenti che cominciarono a maturare nel mondo cattolico dopo l’elezione a Pontefice di Papa Roncalli, fu determinata dalla fine tumultuosa del “centrismo” con la caduta del governo Tambroni (che per reggere aveva aperto la sua  maggioranza ai neo-fascisti del MSI) dopo le forti agitazioni da parte dei lavoratori e di democratici  che presero piede a seguito della pretesa del partito neofascista (poi annullata)  di tenere il suo Congresso a Genova, medaglia d’oro della Resistenza.

La presenza del PSI nel Governo, oltre alle riforme che abbiamo ricordato all’inizio, determinò anche un “cambio di passo” nelle relazioni industriali grazie anche alla nascita di Intersind ed Asap, le nuove organizzazioni imprenditoriali di IRI ed ENI staccatesi da una Confindustria sempre piu’ retriva ed in aperta e dura ostilità verso l’avvenuta apertura ai socialisti nella guida del Paese.

In questo quadro, Pietro Nenni – Vice Presidente del nuovo Governo di centro-sinistra – raccogliendo i fermenti provenienti dal mondo del lavoro incaricò il compagno Giacomo Brodolini, Ministro del Lavoro e vice segretario del Partito di predisporre uno “Statuto dei lavoratori” che consolidasse per legge ed affermasse sul piano generale le conquiste, raggiunte in importanti accordi di gruppo e in alcuni CCNL, relative ad alcune significative normative e, più in particolare, ai diritti e tutele dei lavoratori e del sindacato sui posti di lavoro per affermare la loro libertà, dignità e condizione sociale, sconfiggere le discriminazioni e i licenziamenti illegali oltre che per favorire il loro pieno esercizio della contrattazione integrativa in azienda, diritto negato duramente da Confindustria che rivendicava la totale ed esclusiva “sovranità” dell’imprenditore nella attività aziendale.

La reazione della Confindustria, alla prima pubblicazione della bozza di legge, fu rabbiosa, spalleggiata dalle posizioni della destra politica, ma la fermezza e la determinazione intelligente del compagno Ministro Brodolini fece maturare il processo legislativo, malgrado le titubanze di alcuni settori moderati della DC. In questo lavoro fu aiutato da un gruppo di prestigiosi giuslavoristi coordinati da un allora giovane, ma brillante ed apprezzato giurista, il compagno Gino Giugni che redasse materialmente il testo della Legge. Gino Giugni sarebbe poi diventato un ottimo Ministro del Lavoro ed un Maestro nel Diritto del lavoro.

Giacomo Brodolini non ebbe la gioia di vedere la luce della sua “creatura” perché, già ammalato di tumore, mori a fine luglio del 1969 mentre l’iter parlamentare era ancora in corso e fu continuato fedelmente con successo e con la medesima determinazione  dal suo successore, il Ministro democristiano di sinistra Carlo Donat Cattin che, a dicembre dello stesso anno, fu attore della mediazione che portò alla firma del famoso contratto dei metalmeccanici dell’autunno caldo, nel mentre la destra eversiva con la complicità  “sporca” di pezzi deviati dei servizi si era resa protagonista  di trame oscure e di  gravi attentati ai treni e alla Banca dell’Agricoltura a Milano per impedire la  svolta di profondo avanzamento sociale che stava maturando nel Paese.

Ricordando la promulgazione di quella legge, vogliamo rendere omaggio a grandi personaggi scomparsi di una politica che oggi non c’è più, come i  tre grandi Ministri del Lavoro che abbiamo citato Giacomo Brodolini, Carlo Donat Cattin e Gino Giugni, alla loro volontà riformatrice, alla loro determinazione e alla loro competenza. Virtu’ oggi scomparse nella classe dirigente di questi tempi oscuri.

Ma del compianto compagno Ministro Brodolini vogliamo ricordare, in particolare,   quella famosa frase che pronunciò, andando a portare la notte di capodanno 1968  la sua solidarietà e il suo  impegno a risolvere i loro problemi,  ai lavoratori dell’Apollon occupata perché erano stati licenziati : “cari compagni, i benpensanti di questo Paese si scandalizzano perché un rappresentante del governo violerebbe, con questa mia presenza tra Voi, la neutralità dello stesso in un conflitto di lavoro, ma in una Repubblica democratica il Ministro del Lavoro sta da una parte sola, quella dei lavoratori” !!

Con lo Statuto, la Costituzione non si fermava piu’ ai cancelli delle fabbriche e cessava l’isolamento che la classe lavoratrice aveva subito per molti anni.  Purtroppo – dopo anni –  la Legge 300/70 ha dovuto subire revisioni controriformatrici, iniziative referendarie tendenti al suo svuotamento, adattamenti a nuove normative in materia di lavoro. Certamente a distanza di molti anni essa avrebbe bisogno di una manutenzione perché la realtà del lavoro dell’epoca in cui è nata è molto cambiata. Da stanziale il lavoro – in parte – si è trasformato in smart working o a “distanza” (non più stanziale), in telelavoro, a domicilio, con collaboratori coordinati, falsi autonomi ed altre nuove professioni apparentemente libere, ma non meno dipendenti dei lavoratori “stanziali” e diretti. 

Mettiamoci al lavoro dunque – come abbiamo detto a Rimini alla nostra Conferenza programmatica di Socialismo XXI del 2019 – per rendere compatibile al “nuovo che avanza” tutta quella serie di diritti universali e di valori primari che non possono che restare permanenti e non offuscati se la Repubblica – come noi pensiamo – resta e deve restare  fondata sul lavoro!

*Già Segretario Nazionale della Federazione dei Metalmeccanici.