I SOCIALDEMOCRATICI E LA TEORIA DEL COLLETTIVISMO BUROCRATICO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA

“Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)”

RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI

Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343

ANNO ACCADEMICO 1978-1979

 

PARTE PRIMA

I SOCIALDEMOCRATICI E LA TEORIA DEL COLLETTIVISMO BUROCRATICO

Passiamo ora ad analizzare il pensiero socialdemocratico che si caratterizza per la ripresa integrale della teoria del ‘collettivismo burocratico’. Si invita a leggere questo pensiero in filigrana, alla luce della teoria di Rizzi. Il pensiero socialdemocratico si caratterizza per la definizione del regime sovietico nei termini del totalitarismo statale burocratico. Con questa esposizione voglio mostrare come socialdemocratici abbiamo individuato in tutti gli aspetti della società sovietica, i sindacati, il lavoro forzato, la collettivizzazione agricola, la pianificazione economica, lo stato, la piena realizzazione di quel modello da loro definito totalitario e burocratico.

a) Sindacato e stato totalitario

Tutti gli articoli dei socialdemocratici inerenti al problema dei sindacati si fondano su un comune denominatore: la dimostrazione che l’assoggettamento brutale dei sindacati allo stato sovietico evidenza la natura assolutamente totalitaria e antidemocratica del regime bolscevico. I sindacati divennero nel tempo non più i rappresentanti degli interessi dei lavoratori i loro portavoce, ma i rappresentanti e portavoce degli interessi della classe burocratica sfruttatrice che si è identificata con lo stato totalitario sovietico. Aumentare la produzione, rafforzare la disciplina del lavoro opprimendo la classe operaia, reprimere ogni tentativo di protesta dei lavoratori stessi: questi sono diventati, a detta dell’autori socialdemocratici, i compiti e le funzioni dei sindacati sovietici.

Lo stato totalitario dispotico si fonda sul controllo assoluto di tutti gli aspetti e di tutte le istanze della società civile: ai sindacati non fu permesso di conservare il loro carattere conflittuale classico, loro proprio in tutti gli Stati democratici, essi diventarono una propaggine, un puro meccanismo di trasmissione degli ordini della classe burocratica dittatoriale che sta ai vertici dello Stato. La loro composizione non fu più quindi liberamente scelta dalle assemblee dei lavoratori, ma imposta antidemocraticamente dall’alto e formata da funzionari dello Stato, burocrati anch’essi che difendono il loro interesse e quello della loro classe, imponendo un regime di feroce sfruttamento ai lavoratori superiore senz’altro a quello subito dei loro fratelli occidentali.

Analizziamo in modo particolareggiato il pensiero socialdemocratico a questo proposito: cominciamo la nostra analisi con l’autore che più di tutti gli altri ha dedicato la sua attenzione al problema del sindacato sovietico, Fausto Pagliari (27).

Pagliari tratteggia, analizza la storia dei sindacati russi dagli inizi della rivoluzione fino ai piani quinquennali, per ricavare gli elementi che sostengano la sua tesi: il sindacato da organo di difesa degli interessi operai si è trasformato in organo burocratico di oppressione dei lavoratori. Vediamo con ordine: gli inizi (1917-1918). II periodo degli inizi è caratterizzato dalla conquista operaia delle officine e dalla contesa tra i consigli di fabbrica, organi degli operai, e i sindacati. L’argomento della contesa, sostiene Pagliari, era questo: permette la gestione diretta delle officine da parte degli stessi operai e riconosce l’autonomia dei consigli di fabbrica; oppure limitare i compiti dei consigli solo al controllo dell’operato dei direttori e subordinarli alle strutture sindacali, trasformandoli in loro organi periferici.

Pagliari parte da lontano, prendendo in esame le posizioni di Lenin prima della Rivoluzione di Ottobre: Lenin allora era assolutamente contrario ad una completa statizzazione di tutte le industrie e alla gestione diretta di queste da parte delle maestranze e dei loro organi, i consigli di fabbrica; era infatti consapevole, da una parte, dei limiti delle conoscenze tecniche ed amministrative dei lavoratori russi e quindi della necessità di un periodo di apprendistato presso tecnici ed esperti borghesi e, dall’altra, della necessità che le industrie fossero dirette ancora da vecchi capitalisti, seppur centralizzate e razionalizzate dello Stato proletario. Gli avvenimenti presero però una piega ben diversa e opposta a quella auspicata dal capo bolscevico: gli operai occuparono le fabbriche, cacciarono i tecnici direttori e rivendicarono la gestione operaia diretta della produzione. In questo frangente si rese necessario un compromesso tra le forze in gioco: i comitati d’impresa, i sindacati che volevano subordinare i comitati, riducendoli a sezioni periferiche dell’organizzazione e lo stato sovietico, o meglio il partito.

Nel tratteggiare lo sviluppo delle fasi di questa trattativa, di importanza fondamentale per il futuro della rivoluzione, Pagliari si rifà quasi testualmente ad uno scritto di Didier Limon apparso nell’agosto 1946 su Revue internazionale. (28) Più precisamente il Limon sostiene:

“Il socialismo non si creerà grazie a degli ordini piovuti dall’alto. Esso è estraneo all’automatismo ufficiale e burocratico. Il socialismo vivente, creatore, è opera delle masse stesse. E con questo spirito e perfettamente cosciente delle condizioni soggettive dell’insieme del movimento operaio russo come delle possibilità oggettive della situazione economica che Lenin stenderà il suo progetto di decreto sul controllo operaio. “ (29)

e più avanti:

“Secondo questo progetto, i comitati di fabbrica furono soddisfatti nell’essenziale, soprattutto nell’ottavo punto che lasciava loro tutta l’iniziativa. Questo indicava a sufficienza che Lenin non aveva assolutamente intenzione, contrariamente a quanto avrebbe invece desiderato Riazanov, di imporre loro il controllo del governo. Ma, allo stesso tempo, il quinto punto, conferendo ai sindacati la possibilità di un arbitraggio, offriva a questi un prezioso diritto di controllo sull’attività generale dei comitati. “ (30)

Questo progetto di Lenin scontenta sindacati, per cui viene rimodificato e approvato il nuovo testo, ora definitivo, il 15 novembre 1917 (31), ma questo nuovo decreto crea una situazione contraddittoria, di dualismo di poteri, tra sindacati e consigli. Sempre il Limon:

“nella misura in cui il decreto legalizzava l’esistenza di un ufficio panrusso dei comitati di fabbrica, si permise che accanto all’organismo piramidale del controllo operaio si erigesse un’altra piramide necessariamente concorrente, quella dei comitati di fabbrica …. Il decreto generò uno stato virtuale di dualità di poteri tra la struttura dei comitati di fabbrica e quella del controllo operaio ufficiale. In verità il decreto del 14 novembre non era stato accettato dai delegati dei comitati di fabbrica che come un fatto puramente formale, e essi non tarderanno a provarlo. Le due parti restarono sulle loro posizioni e i comitati di fabbrica, padroni della piazza, si comportarono naturalmente seguendo le direttive del loro leader, Jukov. Senza prestare alcuna attenzione al decreto del 14 novembre, i membri non bolscevichi del consiglio panrusso dei comitati di fabbrica completarono un manuale per l’esecuzione del controllo operaio il cui postulato era che il controllo presupponesse la gestione stessa della fabbrica e della produzione.” (32)

Abbiamo detto che Pagliari, pur rifacendosi quasi letteralmente a questi due scritti di Limon, ne stravolge però le conclusioni: infatti afferma, a conclusione delle citazioni:
“E’ questa, la contraddizione tra gestione e controllo, la tragica inevitabile antinomia insita nella concezione leninista del controllo operaio. “ (33)

Innanzitutto, Limon non dice affatto questo: l’antinomia, o meglio il dualismo di potere tra sindacati e consigli, non è insita nella concezione leninista, ma nella realtà dei rapporti economici e sociali sviluppatisi in Russia dopo la rivoluzione di ottobre. Le sue parole esatte sono infatti:

“Ora è sufficiente studiare attentamente il progetto di controllo di Lenin per constatare che non vi si trovi la benché minima possibilità di confusione tra il controllo e la gestione.” (34)

Inoltre, a questa antinomia il Limon non attribuisce il carattere di tragicità. È Pagliari, infatti, che fa notare:

“L’indisciplina, la disorganizzazione, l’anarchia nella fabbrica contribuiscono potentemente, insieme alle cause più generali, al regresso catastrofico dell’intensità e della produttività del lavoro, regresso che diventa una delle più gravi minacce per la Repubblica sei Soviet.” (35)

Pagliari dalla constatazione della tragicità della situazione conclude che, se a causa delle durissime condizioni economiche d’arretratezza della classe operaia, la gestione operaia diretta dell’industria portò ad un indice di produzione catastroficamente basso, ciò significa che non esistevano le condizioni oggettive per la realizzazione della democrazia operaia. La via che conduce alla dittatura totalitaria era ormai segnata.

La conclusione di Pagliari è dunque questa: se la sottomissione dei consigli ai sindacati, realizzata formalmente al primo congresso sindacale del 1918, non fu in sé condannabile a causa dei pericoli che una completa autonomia dei consigli operai avrebbe comportato, pericoli di localismo e di degenerazione chiaramente intuiti da Pagliari (36), tuttavia il ristabilimento della responsabilità unipersonale nella direzione della fabbrica, l’esautoramento dei consigli, il ritorno dei tecnici al posto di comando dimostrarono che lo sbocco inevitabile sarebbe stato il progressivo restringimento degli spazi autonomi dei lavoratori, la progressiva fagocitazione delle loro organizzazioni da parte del moloch statale burocratico.

La via è segnata, l’assorbimento e l’esautoramento dei consigli diventa nelle peculiari condizioni russe il primo passo della dittatura totalitaria:

“Non è più quindi autogoverno dell’industria da parte dei consigli di fabbrica, ma soppressione del comitato centrale dei medesimi, subordinazione dei consigli e sindacati operai e loro degradazione ad organi locali sindacali, col divieto di interferire nell’amministrazione dell’impresa, subordinazione dei sindacati operai allo stato e loro trasformazione in organi di stato per la costruzione socialista: socialismo di stato insomma, socialismo dispotico, non socialismo democratico …. Alla lunga questo assoggettamento ha portato i sindacati a trasformarsi in organi dediti ad aumentare l’efficienza produttiva delle imprese … (di cui) l’amministrazione toccava ad una piccola casta politicamente selezionata di funzionari sindacali, i quali costituivano piuttosto un’aristocrazia anziché lo strumento democratico delle masse lavoratrici accolte nell’associazione di produzione. “ (37)

Passando all’analisi del successivo periodo nepiano (anni 1921 – 1928) Pagliari batte su un tasto preciso: le misure liberalizzatrici attuate in campo economico (38) non ebbero un riscontro nel più vasto campo sociale e in modo particolare sul terreno della democrazia sindacale dove, anzi, sotto mentite spoglie tradunioniste, avanzò lo strapotere statale. L’autore socialdemocratico afferma infatti che, se sarà soprattutto dopo il 1929, al tempo della collettivizzazione di Stalin, che i sindacati operai saranno messi nell’impossibilità di dire o di fare qualsiasi cosa che possa andare contro i desideri del gruppo dirigente, diventando organi della disciplina autoritaria e burocratica statale, già nel 1921 ogni velleità sindacalista viene liquidata da Lenin che indica nei congressi del Pcus del 1921 e del 1922 come compito principale di tutta la nazione l’aumento della produttività industriale. Sosterrà, inoltre, il principio di concentrare tutto il potere nelle mani dell’amministrazione dell’impresa secondo il principio generale dell’autorità individuale e affermerà, dice ancora Pagliari, che qualsiasi interferenza dei sindacati operai nell’amministrazione dell’impresa debba essere riconosciuta come dannosa e perciò vietata.

Per questo Pagliari afferma che durante il periodo nepiano, nonostante le affermazioni dei bolscevichi che tendevano a riconoscere al sindacato i compiti e le funzioni che gli sono propri (la lotta economica in difesa degli interessi della classe operaia), il sindacato rimane un organo dello Stato, ad esso strettamente subordinato. Il processo di burocratizzazione e di asservimento al totalitarismo statale, seppur si realizzerà compiutamente solo nel 1929, consuma già nel 1921 con Lenin le sue prime tappe:

“Pur nella stretta subordinazione al partito e al potere politico, vennero riconosciuti ai sindacati operai, alla soglia della Nep, caratteri e funzioni in certo senso affini a quelli tradizionali degli altri paesi. Una forma limitata di tradunionismo, la cui libertà d’azione era limitata dalle esigenze della pace industriale e dal controllo dello Stato sull’industria, così da perdere il carattere tipico di organi per la lotta industriale in potenza e in atto, come sono i sindacati operai nei regimi capitalistici.

Lo sciopero non è dichiarato espressamente delitto, ma si afferma che in un paese che ha un governo proletario il ricorso allo sciopero non può considerarsi che un assalto burocratico al governo proletario e una sopravvivenza del passato capitalista e delle sue istituzioni da un lato e la dimostrazione della mancanza di maturità politica e della retrività culturale degli operai dall’altro. Di fatto, non soltanto lo sciopero, ma anche la più mite protesta da parte degli operai nelle fabbriche, era bollata come controrivoluzionaria.” (39)

Come abbiamo detto per Pagliari il 1929, anno dalla collettivizzazione e dell’industrializzazione, è l’anno cruciale in cui lo sviluppo dello Stato totalitario burocratico si realizza appieno. Anche nel campo sindacale quell’anno costituì la pietra miliare della marcia verso il totalitarismo.

Sintomo e segno di questo processo, dice Pagliari, è il cambio di guardia ai vertici dei sindacati sovietici: la sostituzione di Tomski (segretario generale del sindacato) e dei suoi colleghi (contrari all’idea che i sindacati sovietici dovessero intervenire solo per aumentare la produzione e ostili all’industrializzazione accelerata del paese da finanziare con un aumento della produttività del lavoro e una diminuzione dei salari reali), con Kaganovich, nuovo segretario, ed altri funzionari burocrati, provenienti dalle fila del partito, significò “lo spodestamento di ogni potere dei sindacati”(40).

La continuità Lenin Stalin è ulteriormente ribadita:

“Nel 1929 ogni tentativo dei sindacati di difendere ‘i pretesi interessi comuni della loro particolare categoria’ viene ripudiato come opportunista, sindacalista, così come sotto Lenin, nel 1921, lo era stata l’aspirazione dei sindacati all’autogoverno dell’impresa.” (41)
Scopo quindi della politica sindacale dopo il 1929 diventa unicamente quello di aumentare la produttività per permettere l’industrializzazione a tappe forzate. In questo compito, dice Pagliari, i nuovi dirigenti sindacali si rivelarono ancora più zelanti degli stessi direttori delle aziende.

I dirigenti sindacali, parte integrante della burocrazia che domina lo stato sovietico, considerano ormai il problema operaio, che fu la molla della rivoluzione, come “uno tra i vari interdipendenti problemi che il governo deve affrontare” (42), subordinato senz’altro alla logica ed alle necessità dello sviluppo industriale del paese. In altre parole, il sindacato sarebbe diventato uno dei principali meccanismi attraverso il quale prendono corpo i sistemi di sfruttamento del lavoro umano. Di questo sfruttamento del lavoro umano il beneficiario è quella classe burocratica che si è impadronita dello Stato, ormai saldamente, e che vive sul prodotto supplementare (43) e cioè sul plusvalore estorto alla classe operaia. Significativa è l’analogia che Pagliari fonda tra il sindacato russo e quello degli altri stati fascisti. Quello come questi ha come scopo principale del proprio operato l’aumento della produzione e l’identificazione degli interessi dei lavoratori con quelli dello Stato; per cui si produce anche un’affinità fraseologica tra i due tipi di sindacalismo: fronte della produzione, brigate d’assalto, battaglia da vincere, tradimento e sabotaggio sono espressioni coniate in Russia e “imitate alla sua maniera e nella sua misura dal fascismo”. (44)

Spodestamento di ogni potere dei sindacati, dice Pagliari; questo giudizio è più che giustificato, a suo parere, da due decisioni prese dal governo tra il 1930 e il 1935: “l’eliminazione dei sindacati dal meccanismo dell’assunzione e della redistribuzione dei lavoratori.” (45)

Dopo il 1931 infatti l’assunzione della manodopera negli stabilimenti venne effettuata ormai senza alcun controllo neppure formale da parte delle organizzazioni operaie le quali d’altronde, persa ogni caratteristica di organi della difesa degli interessi dei lavoratori, parteciperanno attivamente alla campagna del 1930 per la mobilitazione delle riserve urbane di lavoro, “volontaria in teoria, ma praticamente coattiva”. (46)

La loro trasformazione in organi di oppressione della classe operaia è ormai evidente. Sono strutture dello Stato dittatoriale, totalitario non più istanze autonome liberamente scelte dai lavoratori. Per quanto riguarda poi l’altro problema, la retribuzione del lavoro, ogni pertinenza dell’organismo sindacale è esclusa: i contratti collettivi di lavoro, trasformati dopo il 1930 secondo le istruzioni del Consiglio dei sindacati in strumenti per l’intensificazione della produttività del lavoro, concernenti esclusivamente le norme di rendimento, la disciplina del lavoro, il progresso tecnico, cesseranno completamente d’esistere anche formalmente dal 1935. I salari vengono quindi stabiliti dalla commissione di pianificazione, dalla burocrazia statale senza più controllo alcuno.

Pagliari conclude la sua esposizione con un significativo accenno alla disciplina del lavoro ed alla parte importante giocata a questo proposito dall’organizzazione sindacale. Le misure repressive, le multe, le sanzioni, l’obbligo istituito per il lavoratore di non abbandonare la fabbrica furono adottati col concorso decisivo dei vertici sindacali che entrarono così a far parte del novero dei nuovi padroni della classe operaia, tradendo completamente la loro natura.

Il percorso del pensiero dell’autore è quindi chiaro: dal 1917 fino al 1929 si compie il processo che vede i sindacati trasformarsi in strumento e parte integrante dello Stato totalitario, burocratico e sfruttatore.

Sempre a proposito del problema dei sindacati sovietici sulle riviste socialdemocratiche compare un articolo del menscevico russo Salomon Schwartz (47). Egli arriva alle stesse conclusioni di Pagliari: i sindacati sovietici dal 1929 si sono trasformati in organi dello Stato totalitario preposti al compito di aumentare la produttività del lavoro.
Schwarz nel suo articolo parte dell’affermazione di un principio: la necessità dell’esistenza e della permanenza dei sindacati come istanza autonoma dei lavoratori anche in una società socialista.

Questo per il fatto che, finché il problema della manodopera sarà regolato dall’ acquisto e dalla vendita dell’energia umana, i sindacati in quanto difensori dei lavoratori avranno ancora importanti funzioni da svolgere. Esisterà infatti pur sempre una controparte, un datore di lavoro, in questo caso l’amministrazione dello Stato, che concentra nelle sue mani il potere politico ed economico, che impone di necessità l’esistenza di organismi per la tutela degli interessi della classe operaia. Se i sindacati vengono schiacciati e soffocati, il tipo di società risultante non sarà certo socialista, ma uno stato totalitario che soffoca la libertà e crea inevitabilmente la diseguaglianza di classe e lo sfruttamento:

“L’autore considera che l’Unione Sovietica non è uno stato socialista, perché la proprietà pubblica dei mezzi di produzione, pur essendo un aspetto indispensabile del socialismo, non basta a far sì che una società sia socialista, se essa non mira in pari tempo all’eguaglianza sociale e se non si fonda sulla libertà sociale e politica. “ (48)

Schwarz, per motivare questo suo giudizio, traccia in modo succinto la storia del sindacalismo sovietico. Comincia col rilevare che enormi differenze esistono tra il sindacalismo del 1921, corrispondente al periodo nepiano dei tempi di Lenin e quello del 1929, corrispondente ai piani quinquennali dei tempi di Stalin (49). Schwarz fa notare che nel 1921, durante il periodo nepiano, Lenin enunciò i principi, diffusi poi dalla Pravda (50), che dovevano servire da indirizzo per tutto il movimento sindacale, affermando che il compito dei sindacati era quello di difendere gli interessi dei lavoratori e che per assolvere questo compito i sindacati dovevano condurre una lotta economica. Schwartz fa però notare che nonostante la limpidezza dell’enunciazione molto spesso ai sindacati era proibito di intervenire in difesa degli interessi operai, tuttavia riconosce che almeno fino al 1929 il loro statuto non fu modificato.

Anche questo autore individua nella riorganizzazione draconiana dei vertici sindacali del 1929 il momento significativo del loro asservimento allo stato totalitario; a differenza di Pagliari parla però di rottura brutale tra il sindacalismo del 1920 e quello che si instaura partire dal 1929, là dove Pagliari scorgeva invece una continuità. Così scriveva Schwartz:

“I negoziati sui salari sono dappertutto il compito principale dei sindacati e così è stato fino al 1929 in Russia dove i sindacati si sforzarono di ottenere, talvolta con la lotta, dei salari convenienti. La riorganizzazione draconiana del movimento sindacale nel 1929 ruppe con questa tradizione in maniera decisiva “. (51)

Per il resto dell’articolo l’autore si serve di schemi di giudizio simile a quelli di Pagliari. Una nota interessante dell’articolo è quella riguardante le assicurazioni sociali:

“Il passaggio dell’amministrazione delle assicurazioni sociali ai sindacati segna un passo nuovo verso l’adattamento del regime di assicurazione alle esigenze della politica economica sovietica “. (52)

In Russia le assicurazioni sociali e la più importante di tutte, l’indennità di malattia, erano infatti riservate integralmente ai soli iscritti ai sindacati, mentre agli altri spettava solo la metà di quanto avrebbero ricevuto se fossero stati scritti. Con la gestione delle assicurazioni sociali quindi i
sindacati si sono ancora più trasformati in strumenti di controllo e di oppressione della classe lavoratrice, vigendo anche in questo campo la direttiva dell’aumento della produzione. L’autore conclude dicendo che i sindacati in Russia hanno ormai completamente perso la loro classica funzione di organismi autonomi della classe operaia per trasformarsi in strumenti dello Stato, “privati del dovere di interessarsi direttamente alle questioni economiche e tecniche”. (53)

Questo argomento costituisce un punto caldo di tutto il pensiero socialdemocratico.

Passiamo in rassegna alcuni contributi.

Schreider nell’articolo “L’esperimento laburista” (54) afferma che per farsi un’idea giusta della posizione dei sindacati nella vita sovietica bisogna andare oltre alle affermazioni contenute nelle leggi che li riguardano ed analizzare i resoconti dei congressi delle unioni professionali, a partire dai quali, tramite le confessioni, le discussioni, è possibile ricostruire un quadro veritiero della situazione. Da questo quadro emerge che:

“Il sindacato sovietico nella realtà funziona quasi sempre come apparato burocratico asservito agli organi direttivi dell’azienda e per tramite di essi allo stato o più precisamente al governo del partito imperante dittatorialmente.” (55)

Questo è per Schreider “un antidemocratico e rigidamente autoritario disciplinamento burocratico delle unioni professionali”. Ne viene di conseguenza che i lavoratori russi, avendo perso i loro organi di difesa, si riducono ad essere “delle semplici ruote della macchina sovietica”, degli sfruttati e degli oppressi da quella burocrazia sovietica alla quale appartengono amministratori, tecnici, capi politici, funzionari e dirigenti sindacali che sono “oggi in Russia i privilegiati che formano la nuova classe dirigente”.

Pietro Battara sull’Umanità del 13 marzo 1948 (56) afferma che la classe lavoratrice in Russia ha fatto un notevole passo indietro anche in rapporto alla situazione degli operai dei paesi occidentali: l’abolizione della contrattazione salariale, il divieto di cambiare posto di lavoro, la trasformazione del sindacato in strumento di oppressione ha creato un monopolio statale sulla forza lavoro, monopolio talmente assoluto da renderlo simile a servaggio della gleba. Per passo indietro quindi Battara intende senz’altro un ritorno al Feudalesimo, alla situazione nella quale il lavoratore è completamente e totalmente proprietà del suo signore, avendo perso ogni possibile libertà civile:

“Un passo indietro perché la contrattazione salariale diventa impossibile anche nei limiti ammessi dalla società borghese perché il monopolio statale nell’assorbimento della manodopera preclude al lavoratore la scelta e rende impossibile al lavoratore di abbandonare il datore di lavoro che non lo soddisfa perché il lavoratore diventa ‘servo della gleba’ alla mercé di un unico padrone che ha tutti i diritti e nessun dovere perché il sindacato non è più uno strumento di difesa degli interessi legittimi degli operai, ma un mezzo di coercizione al servizio dell’ unico padrone “. (57)

Mi sembra che si possa a questo punto concludere la rassegna dei giudizi espressi dai socialdemocratici sui sindacati sovietici in quanto il quadro risulta abbastanza completo: l’assoggettamento di questi allo stato sovietico costituisce il passo decisivo verso il totalitarismo.

Note:

26 – Rizzi “Il collettivismo …. Op. cit. p. 191

27 – Fausto Pagliari ha pubblicato su Critica Sociale i seguenti articoli: Sindacalismo e comunismo in Russia, 16 luglio 1946; La fine del sindacalismo in Russia, 1 – 16 agosto 1946; Industrializzazione e sindacati operai in Russia, 1 gennaio 1947; Accumulazione primitiva e sindacati operai in Russia, 1° Febbraio 1947; I sistemi incentivi e i sindacati operai in Russia, 16 Febbraio 1947; Sindacati operai russi e tradunionismo, 1 – 16 agosto 1947; La pianificazione in teoria in pratica, 16 ottobre 1947; Bolscevismo e capitalismo 16 Aprile 1948; Imperialismo e marxismo, 1° giugno 1948; Imperialismo e bolscevismo, 16 luglio 1948; Panslavismo e bolscevismo, 1° novembre 1948; Il comunismo e la rivoluzione mondiale, 23 dicembre 1948; I sindacati operai in Russia, 16 maggio 1946.

28 – Didier Limon Lénine et le controle ouvrier, in “Revue internationale”, aprile 1946 – prima parte – e maggio 1946 – seconda parte.

29 – Didier Limon Lénine …. Art. cit. Per il testo della proposta di decreto avanzata da Lenin, confronta “Revue internationale”, aprile 1946 pp. 369 – 370.

30 – ibidem

31 – Per il testo del decreto definitivo sul controllo operaio confronta “Revue internazionale”, Aprile 1946 pp. 372 – 373.

32 – ibidem

33 – Pagliari I sindacati operai …. Art. cit.

34 – Limon Lénine …. Art. cit.

35 – Pagliari I sindacati operai …. Art. cit.

36 – Afferma infatti Pagliari: “Gli stessi sono i pericoli potenziali che presentano per i sindacati operai i consigli di azienda non a loro collegati e coordinati. Il pericolo, da un lato di essere sfruttati essi pure quali strumenti docili degli interessi degli industriali, come il Lozovskj asseriva essersi verificato in Russia, ove ‘la pratica dei consigli ci ha insegnato, egli diceva, che operai e padroni giungono talora a compromessi nefasti agli interessi generali del proletariato’. Quel pericolo dell’operaismo e del settorialismo che era già stato messo in rilievo da Max Adler a proposito dei consigli di azienda creati dalla legge in Germania e in Austria nel primo dopoguerra: la possibilità, cioè, di farne, anziché organi di controllo operaio, istituti per la salvaguardia degli interessi capitalistici dell’industria contro l’interesse di classe del proletariato, in una forma già consacrata dalla democrazia e di conseguenza particolarmente dannosa.” Pagliari Sindacalismo …. Art.it.

37 – Pagliari I sindacati operai …. Art.cit.

38 – Le misure economiche attuate in quel periodo dal governo sovietico furono: la sostituzione delle requisizioni di grano ai contadini con un’imposta in natura, in modo che al contadino fosse possibile disporre liberamente del grano e degli altri prodotti che gli restavano, la libertà di commercio interno (quello estero rimaneva sotto il controllo statale), blocco delle nazionalizzazioni, affittanza a privati di imprese già di proprietà statale, introduzione del principio del calcolo economico – profitti e perdite – nella gestione delle imprese, ristabilimento dell’economia monetaria, pagamento del salario in moneta, abolizione del principio egualitario nella distribuzione, del servizio obbligatorio del lavoro, eccetera. Per una conoscenza più approfondita del periodo confronta l’opera di J. Carr “La rivoluzione bolscevica” 1917-1923” ed. Einaudi, Torino 1964 pp. 675 segg.

39 – Pagliari La fine del sindacalismo …. art. cit.

40 – Pagliari Sindacati operai ….art. cit.

41 – Pagliari I sistemi incentivi …. art. cit.

42 – ibidem

43 – ibidem

44 – ibidem

45 – ibidem

46 – ibidem

47 – Salomon Schwartz I sindacati nella vita sovietica, in Critica Sociale, 1° luglio 1947.

48 – ibidem

49 – ibidem

50 – Lenin La funzione e i compiti dei sindacati di fronte alla nuova politica economica NEP in Pravda, 17 giugno 1922.

51 – Schwartz I sindacati …. art. cit.

52 – ibidem

53 – ibidem

54 – J.J. Schreider L’esperimento laburista in Critica Sociale, 1° febbraio 1947.

55 – ibidem

56 – Pietro Battara Statizzazione e socializzazione in “L’Umanità”, 13 marzo 1948.

57 – ibidem