di Christian Vannozzi |
A guerra finita non c’era soltanto un’Italia da ricostruire fisicamente, ma anche e soprattutto mentalmente, perché come ben si sa se la mente non è attiva il braccio non funziona. Monarchia o Repubblica, era questo il dilemma dell’epoca, per un referendum che farà la storia del nostro paese, non soltanto per la scelta di Stato, il passaggio cioè dal Re a un Presidente democraticamente eletto, ma anche, e soprattutto, per il voto alle donne.
In un Paese arretrato dal punto di vista civile come l’Italia rurale, dove forse, anche per colpa di alcune frange estremiste della Chiesa e sicuramente dell’eredità fascista, che vedeva la donna come moglie e custode dei figli e della casa, più che come persona, il poter esprimere la propria idea, con il voto politico, fu senza dubbio una rivoluzione, che portò avanti l’Italia di parecchi anni, colmando il distacco che c’era con gli altri Paesi democratici d’Europa.
La sconfitta della Monarchia significò anche la sconfitta del fascismo, cosa che oggigiorno noi tutti che non facciamo parte di quella generazione dovremmo ricordare, in quanto la maggioranza degli italiani, donne incluse, vollero dare un taglio netto verso un passato in cui non si riconoscevano più, macchiato da un regime monarchico autoritario che nell’800 contrastò la classe operaia anche con il cannone. La data che forse rimarrà sempre come macchia indelebile sulla Casata dei Savoia, prima dell’idillio con il regime fascista, fu il famigerato 8 maggio del 1898, quando il Re diede ordine di sparare sui manifestanti che protestavano per l’aumento del costo del pane. Già da quel tempo si doveva ben capire che tra il Re e il suo popolo qualcosa si era rotto e che forse la dinastia piemontese più che vedere lo Stato al servizio dei cittadini vedeva i sudditi come servitori dello Stato e della corona.
Alle elezioni per l’Assemblea Costituente il Partito Socialista, che si chiamava PSIUP, Partito socialista di Unità Proletaria, fu il secondo partito italiano, dietro solo alla Democrazia Cristiana, formazione politica che poteva contare sul voto dei moderati terrorizzati letteralmente dal comunismo e dall’Unione Sovietica. Nella sinistra il PSIUP era emerso come il maggior partito operaio, portando ben 115 rappresentanti nell’assemblea che scriverà la Costituzione Italiana del 1848.
Purtroppo quei voti erano però solo espressione di progressisti anticlericali non comunisti, bacino di voti sicuramente buono, ma difficile da gestire e da fidelizzare, in quanto i progressisti sono da sempre in continuo divenire e se pur non hanno simpatie per i partiti che si ispiravano all’epoca al totalitarismo staliniano, sono ben volubili e pronti a cambiare formazione politica quando la situazione è più consona (l’esperienza politica, ormai quasi giunta alla fine, sia di Forza Italia che del Movimento 5 Stelle ne saranno l’esempio ai nostri giorni).
La divisione del mondo, e dell’Europa in particola modo, nei due blocchi, comunista e capitalista ha fatto in modo che sempre più cittadino iniziarono a preoccuparsi del PCI e dei suoi forti legami con l’Unione Sovietica, e pian piano, nonostante le battaglie costituzionali per garantire le libertà civili e religiose che hanno condotto i costituenti socialisti, i cittadini iniziarono a voltarsi verso la Democrazia Cristiana, partito che divenne la casa dei moderati, degli impiegati, degli industriali e anche degli operai cristiani, che trovarono nel partito di Alcide De Gasperi la soluzione migliore per le proprie esigenze.
Anche all’interno del PSIUP gli accordi che si stavano tessendo con il PCI iniziavano a essere troppo stretti per le parti più democratiche del partito, che non volevano avvicinarsi troppo alle posizioni estremiste dettata direttamente da Mosca dal leader Sovietico Stalin, che aveva imposto la democrazia popolare, altro nome per indicare la dittatura comunista, a tutti i Paesi ‘liberati’ dai sovietici. A farne le spese furono la Polonia, la Bulgaria, la Romania, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, le Repubbliche Baltiche e la Jugoslavia, anche se quest’utima con il Gran Maresciallo Tito, si staccherà subito dai diktat russi per sviluppare un proprio comunismo, rigido come quello staliniano, ma svincolato dalla politica sovietica.
In tutto questo calderone gli Stati Uniti rimasero a guardare, volgendo però le proprie attenzione verso la Democrazia Cristiana, che rappresentava sicuramente l’interlocutore privilegiato, come lo fu la Chiesa Cattolica, che aveva, come gli USA, un nemico comune nel comunismo ateo.
Per il socialismo italiano era il momento di prendere una decisione, in nome dei numerosi partigiani e martiri che aveva avuto nella lotta antifascista. Nel 1924 aveva infatti perso la vita per la causa Giacomo Matteotti, nel 1937 Nello e Carlo Rosselli, nel 1944 Bruno Buozzi, per non parlare dei leader antifascisti che venivano tra le file del PSIUP, esponenti di primo piano, come Sandro Pertini, tutti combattenti per la libertà e contro ogni forma di dittatura in nome di una democrazia parlamentare che potesse essere espressione di tutti, minoranze incluse.
Per ragioni politiche che vedevano una matrice comune marxista tra i due maggiori partiti politici della sinistra, l’allora leader, Pietro Nenni, stabilì di continuare a lottare assieme al PCI in nome dell’unità della sinistra e del marxismo, decisione che alla lunga non ripagherà il partito che venne sorpassato dall’alleato e non riuscirà più a riprenderlo.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.