FONTI DEL PENSIERO SOCIALDEMOCRATICO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA

“Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)”

RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI

Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343

ANNO ACCADEMICO 1978-1979

 

PARTE PRIMA

I SOCIALDEMOCRATICI E LA TEORIA DEL COLLETTIVISMO BUROCRATICO

Fonti del pensiero socialdemocratico

OSSERVAZIONI

Una cosa è chiara: l’influenza decisiva del pensiero di Rizzi nel campo socialdemocratico durante gli anni ‘40. La concordanza è perfetta su tutta la linea. Ho volutamente dato inizio a questa prima parte del lavoro, dedicata alla teoria del ‘collettivismo burocratico’, con l’esposizione del pensiero di Rizzi sia per la sua importanza sia per il fatto che è più facile ora cogliere le profonde affinità con il pensiero socialdemocratico. Ritengo infatti essere sufficiente elencare i punti di affinità senza dover addentrarmi in una dimostrazione che ritengo a questo punto abbastanza evidente.

1 – Problema dei sindacati operai

Se i socialdemocratici sostengono che, al fine della formazione dello Stato totalitario, la sottomissione dei sindacati e degli operai allo Stato Sovietico costituì un passo decisivo, Rizzi aveva d’altro canto affermato che questa sottomissione costituiva uno dei momenti cardinali della formazione dello Stato burocratico:

“Il lavoratore russo è stato portato armi e bagagli con il suo sindacato nello stato …. Ridotto ad elemento incosciente di una massa di manovra unicamente diretta dalla burocrazia.” (139)

2 – Feudalesimo

Così come per Rizzi anche per i socialdemocratici l’esperimento sovietico richiama la passata forma politica economica del feudalesimo.

3 – La burocrazia

I socialdemocratici riprendono il concetto cardine della teoria di Rizzi: la classe burocratica diventa la classe dirigente proprio grazie alla proprietà collettiva esercitata sui mezzi di produzione tramite il controllo dei poteri dello Stato, padrone di ogni meccanismo economico.

4 – Stato né capitalista né socialista

Questa convinzione è comune e sia Rizzi che i socialdemocratici si sforzano di chiarire il fatto che una simile affermazione può essere giudicata eversiva solo se riferita ad un marxismo troppo dogmatico e astratto, che non può cogliere gli eventi reali e le linee di tendenza dello sviluppo effettivo della società attuale.

5 – analogia del bolscevismo con i fenomeni nazifascisti

Questo concetto viene continuamente ribadito da entrambi.

6 – Rivalutazione del mercato

Dopo aver criticato la pianificazione economica come strumento del dominio della burocrazia, sia Rizzi che i socialdemocratici si sforzano di ricavare un possibile modello di socialismo non burocratico a partire dal principio dell’autogestione delle fabbriche, una volta salvaguardata l’esistenza del mercato, reso forse più democratico ma non abolito. L’accordo, come dicevo, si realizza su tutta la linea.

Un altro autore che influì molto, limitatamente però ad aspetti particolari e settoriali, sul pensiero socialdemocratico fu l’emigrato menscevico russo David J. Dallin. Da lui trassero principalmente concetti ed argomentazioni relativi a due problemi particolari: il lavoro forzato e la collettivizzazione agricola.

1- Il lavoro forzato

La fonte delle idee sviluppate dai socialdemocratici a questo proposito, in termini di cifre, dati, concetti ed analisi è rappresentato dal libro che Dallin scrisse in collaborazione con un altro immigrato menscevico russo, Boris Nikolaewskji, “Forced Labour in URSS” (140). Posso affermare tranquillamente che tutto quanto si è letto nel paragrafato riservato all’esposizione degli articoli dedicati al lavoro forzato ha un preciso riscontro nel libro citato cui, d’altronde, gli stessi autori socialdemocratici riconoscono chiaramente il merito.

2 – Collettivizzazione agricola

Per quanto riguarda la ripresa il pensiero di Dallin a proposito della collettivizzazione agricola non sono necessarie delle prove elaborate. L’articolo di S. Q. (141) che tratta della funzione del trattore nella collettivizzazione agricola e degli scopi eminentemente politici, prima che economici, realizzati dal potere sovietico con la collettivizzazione stessa, è una ripresa testuale, a stralci, di brani del libro di Dallin “la vera Russia dei sovietici” (142). Anche un altro articolo dedicato all’analisi della collettivizzazione, quello scritto da I.S. (143) ha come il punto di riferimento la tesi svolta da Dallin.

Chi esercitò l’influenza più profonda?

Non si tratta evidentemente di un interrogativo inutile poiché la risposta a questa domanda ci offre delle interessanti riflessioni. Non v’è dubbio che l’influenza maggiore spetti a Rizzi, evidentemente. Il rapporto tra Rizzi e Dallin, le due fonti maggiori del pensiero socialdemocratico, è quello che passa tra un quadro e un suo dettaglio. Rizzi fornì il quadro teorico, completo ed articolato, sul modello sovietico. Dallin contribuì a fornire gli elementi di dettaglio, inseriti in questo quadro. Non si deve però credere semplicisticamente che il dettaglio abbia un’importanza secondaria. Niente affatto, si tratta di un dettaglio rilevante in questo caso e aggiunge elementi molto significativi che altrimenti sarebbero mancati al quadro originario. L’elemento apportato da Dallin è costituito dalla dimostrazione che il regime sovietico, attraverso la collettivizzazione delle terre e l’industrializzazione del paese, opera una sistematica distruzione delle forze produttive.

I socialdemocratici riprendono la tesi di Dallin che giudica la collettivizzazione e la meccanizzazione dell’agricoltura un grande sperpero di beni e di ricchezze economiche. La meccanizzazione e lo sviluppo di tutti quei rami dell’industria atti a fornire i trattori le campagne ebbe una motivazione tutta politica e niente affatto economica: dato che la produzione di derrate agricole non segnò un rilevante aumento rispetto a quella degli anni precedenti. Lo sperpero di energia si riduce quindi ad una sistematica distruzione di forze produttive, distrutte al fine di conservare il potere della classe dominante e di soggiogare la classe potenzialmente ribelle dei contadini. In sostanza l’apporto di Dallin al pensiero socialdemocratico è questo: questa classe burocratica al potere non solo gestisce e controlla in modo totalitario e collettivo le forze produttive, ma opera pure nel senso di una loro sistematica distruzione.

Abbiamo detto che è un dettaglio di notevole importanza, vediamo perché. Molto schematicamente, per il pensiero marxista una forma sociale è storicamente progressiva, cioè ha una funzione sociale necessaria da svolgere, ha quindi una sua vitalità, se permette lo sviluppo delle forze produttive; quando invece opera una sistematica distruzione delle stesse, significa che il suo compito storico progressivo è terminato e diventa quindi un arnese del passato, storicamente reazionario.

Attraverso quali canali la teoria di Rizzi giunge nel campo socialdemocratico? Una volta provata l’analogia e il rapporto di filiazione tra il pensiero di Rizzi e quello socialdemocratico è forse utile indicare attraverso quali canali questa teoria giunge ad arricchire il patrimonio intellettuale riformista. I tramiti più importanti che svolsero la funzione di introdurre questo pensiero furono due: uno esterno al partito e uno interno. Quello esterno è rappresentato, come già dicevamo, dal libro di Burnham. Il canale interno invece, molto più interessante e incisivo, è rappresentata dalla serie di articoli che Saragat dedicò all’analisi del modello sovietico dopo il gennaio 1940 sul periodico del partito, Nuovo Avanti. Voglio ora dimostrare come non sia opinabile l’affermazione che Saragat non solo avesse letto Rizzi, ma lo avesse assimilato per bene e in un tempo rapidissimo senza ripensamenti o esitazioni.

Il libro di Rizzi fu stampato negli ultimi mesi del 1939, Saragat lo assimilò in fretta, se il suo primo articolo pervaso dalle idee rizziane appare sul Nuovo Avanti il 6 gennaio 1940 col titolo “Socialismo e totalitarismo” (144).

Dimostreremo ora come questo articolo sia quasi un riassunto delle tesi di Rizzi.

Scomponiamolo in diversi punti.

1 – Regime di sfruttamento diverso dal capitalismo.

Saragat comincia col dire che nuovi fatti richiedono, se non una revisione della dottrina socialista, almeno un suo allargamento. Se infatti la dottrina socialista, dice Saragat, aveva puntato la propria critica ed orientato la propria battaglia contro il capitalismo (forma di sfruttamento nella quale la classe capitalista trovava nell’economia liberistica i mezzi per conservare ed estendere il proprio dominio), nella speranza che il crollo di questa classe avrebbe creato le premesse di una liberazione totale dell’uomo, nuovi fatti sono però intervenuti a rendere più arduo e difficile questo compito:

“Nuovi fatti si presentano che rendono più complesso il problema e più arduo il compito. Se la volontà di potenza di un gruppo umano trova in circostanze diverse da quelle dell’economia liberistica le  condizioni per affermarsi e imporre il proprio dominio su altri gruppi umani, è chiaro che il problema per i socialisti, lungi dall’ essere risolto, non è che spostato.” (145)

Saragat comincia quindi con l’ammettere l’esistenza di un regime di sfruttamento, diverso da quello capitalistico, per operare la rettifica o, come dice lui stesso, uno spostamento – allargamento – della dottrina socialista. È stato questo il punto di partenza di Rizzi stesso che sottolineò la necessità di ‘allargare’ il marxismo alla luce di eventi (la nascita dello Stato totalitario) che Mark stesso non poteva prevedere.

2 – Stato padrone dell’economia.

Saragat, continuando la sua esposizione, afferma che gli Stati totalitari offrono alle classi animate da volontà di potenza degli strumenti di dominio diversi da quelli propri di un’economia liberistica: questi strumenti consistono nel possesso dell’apparato statale stesso che da sovrastruttura politica si è trasformato in organo di dominio sull’intera economia, il monopolizzatore di tutte le forze produttive:

“In altri termini la volontà di potenza di particolari gruppi umani, trova negli stati totalitari nuovi e

più gravi condizioni di oppressione e di sfruttamento. Questa concezione può disorientare chi, attribuendo correttamente all’economico una predominanza sul politico, fosse indotto a credere che qui si vuole rovesciare il rapporto. Ma è precisamente perché il fatto politico, ossia lo stato, è diventato il monopolizzatore per eccellenza di tutte le forze produttive che il politico cessa di essere una semplice sovrastruttura per diventare l’organo economico totale, ossia lo strumento della totale oppressione e del totale sfruttamento.” (146)

Dice, parallelamente Rizzi:

“La macchina statale non è più un apparecchio di oppressione politica soltanto, ma anche di amministrazione economica della nazione. In un solo organo è stata riunita la macchina per lo sfruttamento e per il mantenimento dei privilegi sociali: l’apparecchio sembra perfetto.” (147)

3 – Burocrazia nuova classe dominante.

Anche per Saragat, come già per Rizzi, la classe sfruttatrice dominante che risulterà da questa nuova forma di oppressione totalitaria è la burocrazia:

“Alla vecchia classe economica si sostituisce la classe burocratica e lo stato, da stato politico, diventa

l’organo per eccellenza di tutte le forze di oppressione e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.” (148)

4 – Esistenza del profitto e proprietà collettiva statale dei mezzi di produzione.

Per Saragat nella società totalitaria burocratica il profitto, segno dello sfruttamento del lavoro umano, non scompare certo, ma diventa più complessivo. Se nella società capitalista esso costituiva un’ipoteca sui beni prodotti, in quella burocratica sovietica quest’ipoteca assume una forma mostruosa, dato che tutti i beni presenti e futuri le appartengono grazie alla proprietà che essa esercita, collettivamente, tramite i poteri dello Stato:

“Ma, si dirà, il profitto è stato abolito. Il profitto capitalistico certo. Ma che vuol dire ciò? Il profitto capitalistico non è che il modo con cui si realizza la volontà di potenza della classe capitalistica sulla classe lavoratrice. Attraverso il profitto capitalistico si attribuisce un’ipoteca sui beni prodotti dal lavoro sociale e un certo dominio sui produttori. Ma nella società burocratica bolscevica non è più questione di ipoteca sui beni, perché tutti i beni presenti e futuri appartengono già alla burocrazia dominante che ne dispone o ne disporrà a sua guisa, tramite lo stato.” (149)

Proprietà collettiva, esistenza del profitto e controllo totale delle leve economiche sono punti fermi del pensiero di Rizzi.

5 – Lavoratore – servo di stato.

Saragat parla di dominio statale sul lavoratore “esteso alla totalità della vita e della personalità”. Esiste una parola per sintetizzare questa espressione: servo, che è il termine usato come sappiamo da Rizzi.

Dice Saragat:

“Il dominio capitalistico limitato al tempo del lavoro si estende in regime bolscevico alla totalità della vita e della personalità del lavoratore.” (150)

6 – Analogia con regimi fascista e nazista.

Anche su questo punto Saragat riprende in toto la tesi di Rizzi:

“Gli Stati fascisti hanno subito un processo di burocratizzazione analogo per molti aspetti a quello dello Stato bolscevico.” (151)

Come si può ben vedere la ripresa è sostanziale e profonda. Inoltre, che Saragat prima di allora, cioè prima della lettura del libro, non avesse mai manifestato in forma organica precisa queste idee, ci è confermato, come già abbiamo fatto rilevare, da Gaetano Arfè che indica nell’articolo del 6 gennaio l’apparizione di concetti nuovi che Saragat introduce nella teoria del totalitarismo a partire proprio da quel momento. Arfè ci dice inoltre che questi “motivi ingigantiranno in seguito (in lui) fino a dominare interamente il suo sviluppo ideologico”. (152) Quei motivi, quei concetti nuovi, erano di Rizzi.

È possibile che l’influenza esercitata da Saragat sull’ala riformista del partito orientasse decisamente molti teorici socialdemocratici verso quella teoria del totalitarismo statale al punto che, negli anni da noi studiati, tutto il partito si trovava unanime nell’accettare tale modello.

Note:

139 – Rizzi “Il collettivismo op. cit. p. 79.

140 – Dallin e Nikolaewschji “Forced labour” op.cit.

141 – vedi questo scritto PP. 48 segg.

142 – Dallin “La vera Russia …. Op. cit.

143 – Vedi più sopra pp. 48 segg.

144 – Giuseppe Saragat Socialismo e totalitarismo in “Nuovo Avanti!”, 6 gennaio 1940.

145 – Ibidem

146 – Ibidem

147 – Ibidem

148 – Rizzi “Il collettivismo …. Op. cit. p. 73

149 – Saragat Socialismo e totalitarismo art.cit.

150 – Ibidem

151 – Ibidem

152 – Gaetano Arfè “Storia dell’Avanti!” Ed Avanti!, Cremona 1956.