Appunti per una ricerca sul modello di crescita economica italiano
RESET Campania A.P.S. (Ricerca Economia Società’ E Territorio)
di Giuseppe Biasco |
Riflessione iniziale
L’Italia è un paese diviso tra i suoi territori, disunito socialmente, fortemente differente economicamente ed in profonda crisi. Una crisi, che non è solo di natura economica, ma anche culturale, morale e tra le generazioni. Non sembra esserci nessun motivo valido per tenere insieme quello che nessuno vuole più. Già da prima della chiusura per l’epidemia di covid 19, i segnali di profonde fratture sociali e territoriali erano evidenti, il lungo periodo di isolamento ha dimostrato che le diversità tra i territori sono ben più gravi di quanto sia possibile immaginare.
L’Italia non ha più una sua definita identità nazionale, e non la cerca nemmeno più. Durante il lungo periodo di isolamento, tranne la breve fase iniziale, in cui tutti pensavano a continuare a comunicare, attraverso mille diversi modi, compreso le canzoni sui balconi, di fronte alle drammatiche immagini delle lunghe teorie di bare e di fronte alla disperazione reale di interi territori, è rimasto solo il silenzio in cui ognuno si è rinchiuso. Infine, il peso delle perdite finanziarie, che la maggioranza dei cittadini ha subito, ha reso evidente il dramma in cui tutti viviamo e nessuna solidarietà vera è scattata, al di la della retorica degli eroi, tutti sono stati costretti ad un nulla pieno di ansia, di paura del futuro, in cui crollavano, uno dopo l’altro tutti i riferimenti certi a cui eravamo abituati, compresa l’efficienza del Nord e della invincibilità della sua ricca organizzazione dei servizi. “Io speriamo che me la cavo!” è stato il pensiero generale, percorso individuale, in cui ognuno si è rinchiuso in attesa che passasse la “nuttata”.
Nessuna ripresa sarà mai un successo vero senza una ricostruita solidarietà collettiva, senza uno sforzo di tutti, qualsiasi intervento sarà limitato ed a rischio fallimento. La crisi è grave, ma, innanzi tutto Bisogna prenderne atto, considerare la frantumazione sociale e riconoscere i limiti ed i fallimenti che abbiamo accumulato nel corso degli anni della Repubblica, sarebbe già un risultato importante
Questi punti di riflessione sono delle provocazioni per costruire una visione d’insieme condivisa, per comprendere il nostro paese, compito fondamentale, in questa fase, per fare proposte concrete, immaginare strategie e suggerire soluzioni, che non siano lunghi elenchi, in cui c’è tutto ed il contrario di tutto., Una progettazione senza priorità e con coperture economiche ipotetiche, un libro dei sogni, fatto per non scontentare nessuno, ma senza una visione unitaria ed innovativa, destinato a sicuro insuccesso.
1 – Nel pieno dell’isolamento da corona virus dell’Italia, alla fine di Aprile la Commissione Europea ipotizzava una perdita del nostro PIL del 9,6%, una previsione molto pesante per la nostra economia, che è stata corretta nei giorni scorsi con una percentuale ben più grave: 11,2%. Tenuto conto che il PIL del 2019, dell’Italia, è stato di 1787,7 miliardi di euro, la perdita, per il 2020, potrebbe arrivare a 200,2 miliardi/euro ed il PIL totale si dovrebbe attestare, a fine anno, a circa 1590 miliardi di euro.
2 – Considerato che i giorni di chiusura totale delle attività produttive, per l’epidemia, sono stati 71 (dall’8 Marzo al 18 Maggio), pari al 19,4% dell’anno in corso, una percentuale ben superiore a alla perdita prevista del 11,2%. Non esiste un rapporto diretto tra i giorni di chiusura e la perdita del PIL, ma la differenza tra i due dati, induce,in ogni caso ad una riflessione: la chiusura non è stata totale e molte attività hanno continuato ad operare, ma che anche l’epidemia ha una sua economia che ha prodotto PIL e, quindi un freno alle perdite. Dall’acquisto di respiratori per le “terapie intensive”, alle mascherine, ai detergenti, alla riorganizzazione degli ospedali e l’aumento del personale, fino alla drammatica emergenza dei funerali per i troppi deceduti, sono state affrontate spese impreviste e sconosciute che hanno influito sul PIL. Anche durante una fase tanto difficile per l’economia, c’è chi guadagna, nel pieno della perdita generale. Il calcolo del PIL non tiene conto se si comprano bare, bombole di ossigeno, piuttosto che biciclette, vestiti, scarpe alla moda o alimenti.
3 – All’inizio del 2020 il debito pubblico dell’Italia era arrivato alla cifra record di 2400 miliardi di euro! Il rapporto debito PIL era di 134%, fuori dai parametri di Maastricht (rapporto debito – PIL entro 1,30%). Dal’inizio dell’anno il Governo Conte ha approvato ben tre manovre finanziarie: la legge di stabilità per il 2020 (30 mld/euro), un primo intervento per affrontare l’emergenza (25 mld/euro) ed il “decreto rilancio” (55mld/euro) per affrontare la riapertura del paese. Tutti provvedimenti a carico del debito per 110 miliardi di euro, coperti in parte con nuove emissione di Buoni del Tesoro a tassi convenienti per gli acquirenti. La logica previsione di queste manovre sarà che all’inizio del 2021 il debito pubblico italiano sarà attorno a 2520 mld/euro, con un rapporto debito PIL di 1,58, una situazione molto grave e difficile. Le previsioni, per il 2021, sono di una crescita del PIL del 6,1% (ovvero di 97 mld/euro) alla fine del 2021 il PIL del paese si attesterà a circa 1687 mld/euro, di oltre 100 miliardi inferiore al 2019. Con il debito in crescita ed il PIL in diminuzione, i tempi della ripresa economica saranno lunghi e dovranno prevedere una analisi attenta sul rientro nei parametri dell’euro. Dopo il recente, complicato e difficile accordo nel Consiglio Europeo sul recovery found, con i 209 miliardi di euro ottenuti, dopo una lunga contrattazione, si aprono per l’Italia delle possibilità di ripresa, in questo momento non facilmente quantificabile. Una occasione da non sprecare, perchè per l’Italia sarà difficile la ripresa senza sacrifici.
4 – Secondo i dati della Banca d’Italia, la previsione di crescita del nostro paese, prima del covid 19, per il 2020 era dello 0,4%, una crescita bassa, che territorialmente si articolava nel seguente modo: Nord + 0,8%, Centro + 0,2 %, Sud ed Isole -1,1%. La nostra Banca Centrale, alla luce delle previsoni europee ha aggiornato la sua previsione di crescita (decrescita) per le zone del paese: Nord -10, 4%, Centro -11%, Sud ed Isole -12,3%. L’epidemia di corona virus ha colpito molto meno del Nord le Regioni del Sud, che però, pagheranno di più in termini economici, per raggiungere il paradosso che durante questo anno tanto difficile e di crisi generale, le previsioni sono che il divario Nord – Sud, aumenterà dell’1,9%, pur nella perdita generale.
5 – Secondo i dati ISTAT, che registra l’andamento della crescita del PIL in Italia, assicurando con i grafici, l’andamento storico della nostra economia, nel 2019, fatto 100 il PIL procapite medio, il Nord è al 120,8; il Centro a 105,6; il Sud al 64,3; le Isole al 63. Questo andamento è pienamente in linea con la serie storica delle statistiche ufficiali sulla crescita del PIL in Italia. Infatti, dal 1950 ad oggi la differenza tra le 4 macro aree geografiche del nostro paese è stata sempre la stessa. La quantità di PIL prodotta da quando è iniziato “l’intervento straordinario nel mezzogiorno”, è passata dai pochi miliardi di lire ai quasi 1800 miliardi di euro dell’anno passato, cifra che colloca il nostro paese tra quelli più ricchi al mondo. Ma la differenza di crescita è sempre uguale a se stessa: fatto 100 il PIL procapite medio, il Nord non è mai sceso al di sotto di 120, il Centro è stato sempre attorno a 105, mentre il Sud, non ha mai superato 70, restando in una oscillazione del 5% (tra il 63 ed il 68) per tutti i 70 anni di rilevazione dei dati della crescita economica dell’ISTAT, fenomeno che si è verificato anche per le Isole. Se si confrontano i dati italiani con quelli Eurostat, la Lombardia per Pil prodotto tra la fine degli anni 80 e il 2005, si colloca tra le Regioni europee con una crescita tra le più alte, contendendo alla Baviera il primato e posizionandosi sempre un gradino al di sopra dell’Olanda. La Campania, con il suo PIL, più alto del Sud, si posiziona poco sopra la pattuglia delle Regioni Europee a maggior ritardo di sviluppo. Nel suo insieme il Sud del nostro paese contende a Grecia, Romania, Bulgaria gli ultimi posti della graduatoria.
6 – Il periodo di maggiore crescita del PIL per il Sud e le Isole è stato tra il 1960 ed il 1973 (gli anni dell’industrializzazione del Sud e della politica della Programmazione Economica del centro sinistra organico), durante il quale è aumentò del 4,2% l’anno. In quegli stessi anni il Nord cresceva del 4,7% medio/anno, per cui, al termine del periodo, la forbice della crescita, tra le due aree del nostro paese, aumentò, a favore del Nord del 6,5%. Il 1973 fu l’ultimo anno del periodo di espansione della crescita (fu proprio nel 1974, dopo la crisi petrolifera, che iniziò il lungo periodo di stagnazione economica e della inflazione in governata (stagflazione). Il Sud pur crescendo, aveva registrato l’impossibilità di ridurre il divario con il Nord ed il Cebtro. Era già, fin troppo, evidente che la politica economica messa in atto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi non serviva alla integrazione economica e sociale del nostro paese. Al di là degli sforzi finanziari importanti e significativi investiti nel Sud, quella distanza non sarebbe stata mai più colmata ed alla luce della crisi attuale appare impossibile il sia pur minimo riavvicinamento.
7 – il fenomeno di maggiore perdita economica delle Regioni Meridionali è stato l’emigrazione di massa. L’emigrazione, iniziata subito dopo l’Unità d’Italia, e mai più arrestata è stato un fenomeno che ha coinvolto decine di milioni di cittadini italiani, tra cui, quelli provenienti dal Sud sono stati la maggioranza. Negli ultimi 15 anni sono andati via dalle Regioni del Sud 2 milioni di cittadini (Rapporto Svimez 2019). Il dato rilevante di questa ripresa di massa dell’emigrazione dal Sud è la qualità professionale e la preparazione culturale di chi lascia il Meridione in cerca di lavoro. Questo fenomeno è responsabile, soprattutto, della bassa natalità e del conseguente invecchiamento della popolazione. Il sud perde il numero dei suoi abitanti in maniera costante e continua, le proiezioni per il 2050, descrivono uno scenario di desertificazione dell’intera zona appenninica, poiché, nemmeno i flussi immigratori si fermeranno al Sud, per cui non ci sarà nessun fenomeno di sostituzione tra meridionali ed immigrati.
8 – Il Nord dell’Italia, che si divide in Nord-Est e Nord Ovest, con i suoi 27.749.321 abitanti, il 47% della popolazione italiana, produce il 56,7% del PIL del nostro paese. La Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna, insieme valgono il 40% del PIL generale. La Lombardia da sola, con i suoi 10,5 milioni di abitanti produce il 21,4% del PIL totale. Le Regioni del Sud, escluse le Isole, con 13.881.422 abitanti producono il 15% del PIL totale. Esiste una differenza, anche molto marcata all’interno della crescita delle Regioni del Nord: il PIL procapite medio del Piemonte, il più basso del Nord, è di 30300 euro l’anno (Campania 18200), mentre quello della Provincia Autonoma di Bolzano, il più alto d’Italia è di 42300 euro l’anno. La differenza di 12000 euro all’anno di PIL/procapite tra i due territori del Nord, appare molto alta, identica, oltre tutto, a quella tra il Piemonte e la Campania, che fa registrare, nei confronti dei cittadini del Sud Tirolo una differenza di PIL di 24000 euro l’anno. L’immagine che ne esce da questi dati che l’Italia è un paese con differenze economiche enormi tra i suoi territori ed i suoi abitanti, socialmente insopportabili ed ingiustificabili, un fenomeno che dura da decenni, che nessuno vuole considerare e che rappresenta unlimite certo alla nostra crescita e sicuramente induce alla aumento del debito pubblico.
9 – Per comprendere l’enormità delle contraddizioni che vive l’Italia, basta immaginare uno Stato in cui convivono insieme l’Olanda e la Grecia! Due economie profondamente diverse, due culture differenti per tradizioni e storia. Due Stati che, anche, sul piano sociale sono diversi, due mondi, uniti da una lingua ufficiale e da leggi uguali per tutti e con la stessa organizzazione territoriale degli organi dello Stato e della Magistratura, mai integrati territorialmente e che trascinano da un secolo e mezzo una differenza tra loro incolmabile. In questa violenta differenza territoriale ha dimostrato i suoi limiti la nostra Costituzione Repubblicana, che, perfetta e densa di valori e principi, è in larga parte ancora inapplicata. A 72 anni dalla sua promulgazione, non ha colto l’obbiettivo fondamentale dell’unità del nostro paese, non ha garantito ai suoi cittadini pari dignità ed opportunità, ma, più di ttutto il lavoro è rimasto come mera affermazione di principio. In questo doloroso insuccesso, nel corso degli ultimi 20 anni, si è venuto formando un comune sentire pieno di sfiducia verso le Istituzioni, la politica ed i valori della convivenza civile. Forme semplificate di rappresentanza prendono il sopravvento sulla complessità della democrazia e sulle sue istituzioni. Populismo, sovranismo e revanchismo, sono le forme scelte dalla conservazione per continuare a mantenere la divisione tra i territori, tra i cittadini e le loro tradizioni culturali (dividi) et impera, per continuare in un processo di accumulo di ricchezza per pochi a scapito della maggioranza.
10 – La ricchezza è la più grande contraddizione del nostro paese! Infatti, con il suo PIL di quasi 1790 miliardi di euro è tra i paesi più ricchi, facendo parte del Club più esclusivo al mondo: il G7, che raccoglie i 7 paesi: USA, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia e Canada, che per popolazione rappresentano poco più del 10% di quella mondiale, ma detengono più del 50% della ricchezza totale. L’Italia è un paese ricco con una pessima redistribuzione del reddito si a tra i cittadini che tra i territori.
A questo punto si può avanzare una prima conclusione: la crescita italiana risponde alla legge delle “Tre D”. La crescita economica italiana è “Disordinata” tra i settori produttivi, “Disomogenea” tra i suoi territori e “Diseguale” tra i suoi cittadini, in cui convivono ricchi sfondati e poveri senza redenzione o speranza: il modello di crescita del nostro paese non assicura lo sviluppo, non garantisce una crescita equilibrata e sostenibile, è un modello sbagliato che deve essere profondamente corretto.
11 – La condizione di frattura e divisione tra i territori ed i cittadini, che si registra in Italia, non è unica, in ogni parte del mondo, in ogni Stato si verificano e si registrano differenze, diversità e rotture tra la popolazione e tra i territori. Affiorano contraddizioni economiche profonde, problemi razziali, culturali e religiosi, quasi sempre insanabili o latenti sotto convivenze forzate da regimi totalitari. La violenza è la pulsione sociale maggiormente esplicitata al mondo! La globalizzazione ha ottenuto il devastante risultato di produrre fratture invece che effetti unitari, perché essa è stata un fenomeno di imperialismo economico, che aveva come obbiettivo il massimo profitto possibile al costo della minima redistribuzione del reddito.
Dopo la sconfitta di grandi movimenti internazionali no-global (Seattle 1999, Genova 2001), l’unica forma di opposizione è stata la forte differenziazione territoriale e la difesa ad oltranza dei propri privilegi. Sono riemersi i vecchi corporativismi, le associazioni di categoria, la riorganizzazione della rendita parassitaria e la speculazione finanziaria, in un contesto di monopolio delle grandi multinazionali, che hanno acutizzato le contraddizioni, invece che rappresentare delle vie d’uscita. Siamo di fronte al fallimento del liberismo, del libero mercato come ipocrisia non svelata, copertura ideologica, con la quale si è tentato di nascondere una crisi di strategia, il consumismo fine a sé stesso dei paesi ricchi, è troppo immanente ed egoistico, da non rappresentare una violenza nei confronti di un mondo povero e senza prospettive, se non la miseria, l’emigrazione e le guerre.
12 – In questo quadro unitario, perché è particolare ed unica la situazione italiana? L’originalità della nostra condizione sta nell’enorme debito pubblico, che da 40 anni cresce in maniera costante e continua, tanto da far parte della struttura economica del nostro paese, che rappresenta un originale sistema sbagliato, in equilibrio precario, ma incredibilmente stabile.
13 – Il sistema economico e finanziario italiano si basa su 4 capisaldi:
1 – Un PIL tra i più ricchi al mondo, che cresce sempre, seppur di poco, anche nelle fasi di crisi;
2 – Un debito pubblico tra i più elevati al mondo, che ad oggi è di 2500 miliardi di euro (ogni cittadino italiano, di qualsiasi età, ha un debito di 41.418 euro), sostenuto dalla continua emissione di Buoni del Tesoro dello Stato, che pur valutati dal rating internazionale a livello quasi spazzatura, si esauriscono in poche ore dalla loro uscita sul mercato.
3 – Un enorme capacità di risparmio de lle famiglie italiane immobilizzato, oltre 1350 miliardi di euro, che giacciono su i conti correnti senza essere investiti.
4 – Una grande quantità di circolazione sommersa di denaro, dovuta ad attività illegali, ai traffici della delinquenza organizzata, ad evasione fiscale e contributiva ed a corruzione, stimata 180 miliardi euro/anno, (il 10,5% del PIL nazionale).
14 – A proposito della circolazione illegale e sommersa di denaro, che sfugge ad ogni analisi puntuale e precisa, occorre sfatare dei luoghi comuni, che vedono le Regioni del Sud maggiori produttori di reddito sommerso, per cui i dati economici non sono esatti ed andrebbero corretti al rialzo. Occorre ricordare che dove c’è maggiore produzione di reddito e quindi una sostenuta circolazione di denaro, sono più retribuite le attività illegali, il ricorso all’evasione è maggiore e la corruzione è più ricercata. Secondo stime recenti, l’elevata cifra del sommerso in Italia è così prodotta: Nord 45%, Centro 19%, Sud 23%, Isole 13%. Questi dati forniscono una immagine quantitativa di come si distribuisce la produzione di reddito sommerso, ben altra cosa è il peso delle attività illegali e dell’evasione tra le diverse Regioni: l’incidenza delle attività illegali e dell’evasione nel caso della Lombardia è del 7,6%, mentre per la Campania è del 17,5%. Bastano questi due dati per rendere la gravità della situazione della illegalità nel nostro paese. Nell’ambito di una produzione di PIL tanto rilevante, come al Nord, appare quasi fisiologica la percentuale di sommerso, ben assorbita dalla produzione di reddito generale. E’ sicuramente ben più massiccia, pericolosa e pervasiva la presenza del sommerso nella produzione del reddito, da far pensare sul modo in cui è prodotto il PIL al Sud. Il dato drammatico di questo fenomeno è che si ripete, uguale a se stesso da oltre 40 anni, ed accompagna la crescita del PIL e del debito nella stessa percentuale che si registra oggi. Sono quasi sicuro, che al termine di questo anno drammatico per la nostra economia, la percentuale di sommerso sarà uguale a quella dell’anno scorso, se non, addirittura superiore, in virtù dei minori controlli.
Riflessione finale
A) – In questo drammatico 2020, andavano ricordati molti anniversari, che purtroppo sono passati sotto silenzio. Per molti è stato un bene, perché si sarebbe stati costretti ad un bilancio serio e costatare il fallimento dei grandi sogni del passato e delle illusioni di tanti italiani, costruttori di futuro e padri della Costituzione. Per brevità ne citeremo solo tre:
1- 1950 – Inizio dell’Intervento Straordinario per il Mezzogiorno. A 70 anni di distanza, i risultati sono sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno vuole vedere: la differenza Nord Sud, non si è mai ridotta, l’intervento è stato un grande fallimento.
2 – 1970 – Nascita delle Regioni a statuto ordinario. Previste dalla Costituzione, dovevano entrare in vigore con essa a partire dal gennaio 1948, solo dopo 22 anni furono costituite e fu possibile votare per l’elezioni dei Consigli regionali. Solo nel 1978, arrivarono le leggi delega del trasferimento dei poteri dallo Stato alle Regioni,e quindi solo dopo 30 anni, i nuovi Enti, poterono finalmente entrare in funzione. Dopo 50 anni dalla loro istituzione la loro inadeguatezza è evidente a tutti ed il loro fallimento è palese ed occorrerebbe una vera riforma, non per una autonomia illusoria, ma per far loro assumere il ruolo di soggetti decisivi e determinanti dello sviluppo sostenibile locale.
3 – 1970 – Nascita dello Statuto dei Lavoratori: “La Costituzione entra in fabbrica!” titolava l’Avanti. Purtroppo, il lavoro è da sempre il problema dell’Italia, ed in particolare nel Sud, oggi è la cosa più instabile e precaria del nostro paese ed i diritti sono un lusso che nessun datore di lavoro vuole concedere più. La lotta senza quartiere contro lo Statuto è stata portata avanti con determinazione sin dalla sua nascita, ora di quella formidabile conquista di civiltà, rimane poco, nemmeno il ricordo.
B) La politica economica che è stata adottata ed applicata in Italia, negli ultimi 30 anni, alla luce dei risultati attuali è stata fallimentare! Sarebbe interessante una ricostruzione storica del percorso di questa lunga, complicata e difficilissima fase della crescita economica del nostro paese in rapporto al contesto internazionale, alla adesione alla moneta unica europea ed alla sottoscrizione dei vincoli previsti dal Trattato di Maastricht. Fino ad ora, le ricostruzioni sono state di parte, soprattutto tra coloro che sono contro l’euro e chi ne difende l’istituzione. Questo tema di macroeconomia non prevede nessuna differenza territoriale tra le Regioni Italiane, per cui il confronto su i dati generali, appare astratto e non calato nella realtà. Il debito pubblico è iniziato al tempo della lira, ne ha provocato la svalutazione nel 1992, al tempo della “Prima Repubblica”, si è strutturato stabilmente con la “Seconda Repubblica” e dal 2003, anno dell’inizio della circolazione dell’euro, si è definitivamente radicato. Sono oltre 40 anni di crescita incontrastata del debito e, se l’euro è responsabile di qualcosa, è che lo ha reso un problema evidente, a cui dover mettere mano, per rispettare i limiti di bilancio, il patto di stabilità, tenere conto dello spread dei propri BOT e del rating internazionale, per restare all’interno dell’”Eurozona” e fruire delle sue consistenti opportunità.
Nessuna discussione è stata mai fatta sul rapporto tra crescita differenziata tra i territori del PIL ed il costante aumento del debito pubblico. Il dibattito che è stato sempre fatto sul debito aveva come obbiettivo la scarsa produttività del “Sistema Italia”dovuto all’alto costo del lavoro, all’inefficienza dell’apparato burocratico dello Stato e della sua ingerenza eccessiva in economia, all’alto costo delle pensioni e dell’assistenza, alla lunghezza dei tempi della Giustizia, dell’inefficienza degli Enti Locali e dell’inutilità delle Provincie ed infine la necessità inderogabile di privatizzare i servizi: autostrade, energia elettrica, gas, acqua, sanità e trasporti nazionali e locali, mentre si alienava l’intero patrimonio immobiliare pubblico.
La parola d’ordine della “spending review” è stata la più utilizzata nell’ultimo decennio ed insieme ad una serie di riforme lacrime e sangue: la drastica riforma delle pensioni della Fornero, con il conseguente taglio degli assegni; la definitiva eliminazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, sulle norme dei licenziamenti, il blocco del contratto del pubblico impiego, con il conseguente blocco delle assunzioni e delle retribuzioni, la organizzazione di una centrale unica delle spese per gli appalti pubblici, il ridimensionamento degli Enti Locali ed il superamento delle Province, la privatizzazione dei servizi. Infine, una lunga ed immotivata campagna contro i disabili, alla ricerca di falsi invalidi, che produsse poco sul piano pratico, ma che servì al blocco dell’ammontare degli emolumenti ed al la maggiore rigidità e complicazione burocratica nel rilascio delle certificazioni.
L’insieme di questi provvedimenti, invece di far registrare una diminuzione del debito, hanno provocato un restringimento della redistribuzione del reddito, con la conseguenza di un forte aumento della povertà e della precarizzazione della società. Sono aumentate le differenze tra le persone ed i territori, ma il debito è continuato ad aumentare.
C) L’Italia è da molti anni un paese senza sviluppo! Sicuramente da 20 anni, pur tra le difficoltà delle crisi economiche che si sono verificate, il PIL è cresciuto in quantità generale, ma questo non ha rappresentato un logico miglioramento della qualità della vita dei cittadini, al contrario, si registrano povertà, difficoltà nel ceto medio e per i giovani le prospettive sono difficili, poiché, nemmeno una qualificata professionalità ed una elevata istruzione garantisce il lavoro e quello disponibile è mal pagato, senza diritti e precario.
In queste condizioni si aggravano le diversità territoriali e cresce il disagio, le diffidenze reciproche e le incomprensioni che danno vita a fenomeni di razzismo ed odio sociale evidente e grave, un problema che è diventato difficile da risolvere per quanto sia radicato.
D) Lo sviluppo è ben diverso dalla crescita economica e finanziaria! Innanzi tutto, di fronte ai dissesti ambientali provocati da una immotivata crescita dei consumi e dell’abuso di prodotti e tecnologie nocive, occorre mettere al primo posto il risanamento del pianeta, per ripristinare un corretto equilibrio ecologico del clima e della natura. Quindi la nuova definizione di sviluppo deve essere così declamata:
a) crescita degli interventi in difesa dell’ambiente e massimo ripristino possibile di condizioni climatiche naturali;
b) crescita economica sostenibile e maggiore redistribuzione del reddito per evitare sacche di povertà;
c) crescita sociale , per una maggiore qualità della vita, assicurando pari opportunità e dignità a tutti i cittadini;
d) crescita culturale per assicurare a tutti la libera formazione del proprio pensiero e l’indipendenza del giudizio; e) crescita della democrazia partecipata, in cui tutti sono protagonisti delle scelte strategiche, in grado di controllarne l’attuazione.
Lo sviluppo è molto più complesso di una crescita del PIL fine a sè stessa, basata sulla cultura del consumo infinito e dello spreco. La democrazia è l’unico sistema politico in grado di assicurare lo sviluppo, ed essa non può essere esercitata e vissuta senza la politica, attività alta, impegno importante per chi la vuole praticare, che non è una professione, nè tantomeno un mestiere, ma un ruolo sociale che si svolge per rappresentanza e che richiede continuo studio, approfondimento e dedizione.
E) Una nuova Unità dell’Italia è possibile? A questa domanda, è, oggi molto difficile rispondere, per due motivi: il primo perche le divisioni e le differenze tra i diversi territori e tra le popolazioni hanno scavato profondi solchi, che appaiono, difficilmente colmabili; in secondo luogo la politica, il mondo della informazione e della cultura e dell’economia non hanno consapevolezza di questo problema, o l’hanno rimosso per convenienza o per opportunismo. Un nuovo Risorgimento sarebbe necessario, per riunire il paese con il dialogo, la comprensione reciproca, lo scambio di buone prassi ed esperienze, il rispetto per la cultura e le tradizioni di ogni territorio. E’ la differenza, senza giudizio di merito, ad essere l’enorme ricchezza del nostro paese, sfruttarla sarebbe un investimento per il futuro.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.