ANTICIPAZIONI ANARCHICHE DELLA TEORIA DEL COLLETTIVISMO BUROCRATICO E CONSEGUENZE TEORICHE E PRATICHE NEL CAMPO SOCIALDEMOCRATICO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA

“Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)”

RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI

Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343

ANNO ACCADEMICO 1978-1979

 

PARTE PRIMA

ANTICIPAZIONI ANARCHICHE DELLA TEORIA DEL COLLETTIVISMO BUROCRATICO E CONSEGUENZE TEORICHE E PRATICHE NEL CAMPO SOCIALDEMOCRATICO

Analizziamo in questo paragrafo le riflessioni sulle possibili anticipazioni della dottrina del collettivismo burocratico che possono in vario modo aver contribuito alla sua formazione. I principali anticipatori di questa teoria sono, a mio parere, da una parte, e in modo involontario, Trotzky, dall’altra i grandi pensatori anarchici dell’Ottocento (Kropotkin, Cafiero, Malatesta, Merlino, Proudhon, Bakunin, eccetera), in polemica col marxismo statolatra, così definito da loro stessi. Le riflessioni svolte in queste pagine rivestono un’importanza non sottovalutabile, poiché ci forniscono interessanti argomenti riguardo la storia teorica del movimento socialdemocratico italiano fino ai nostri giorni, Craxi compreso.

Trotzky può essere considerato più che un anticipatore di questa teoria un suo battistrada: le sue teorie sulla burocrazia – casta privilegiata – che assorbe una parte enorme del reddito nazionale, spianarono effettivamente la strada a quel pensatore, ex simpatizzante del trotskismo, che fu forse il primo ad annunciare i concetti di questa particolare teoria, Bruno Rizzi.

Se Trotzky, convinto che lo stato fosse rimasto nella sua struttura profonda uno stato operaio proletario (in quanto basato sulla nazionalizzazione dei mezzi produzione e sulla pianificazione dell’economia), escludeva la possibilità dell’esistenza della classe sfruttatrice capitalistica ammettendo, però, l’esistenza di una casta privilegiata economicamente di burocrati privi del diritto di proprietà individuale, Rizzi rende autonomo il ruolo rivestito dalla burocrazia nella società sovietica, postulandola proprietaria dei mezzi di produzione, seppur nella forma collettiva statale e quindi la innalza al rango di classe dominante. Seguendo fedelmente lo schema metodologico del marxismo, che individua le classi sociali a partire dall’analisi dei rapporti di produzione, Rizzi può affermare che, una volta accettato il principio che la burocrazia è proprietaria dei mezzi di produzione, risulta di conseguenza fondato il suo statuto di classe e pure lo statuto classista, sfruttatore, dello Stato sovietico.

Che Trotskij avesse fornito i primi tasselli di questa teoria che si svilupperà ciò nonostante come negazione piuttosto che come sviluppo della sua dottrina, è un fatto testimoniatoci dallo stesso Rizzi che nell’ultimo capitolo del suo libro del 1939 riporta dei brani degli scritti di Trotzky per dimostrare che, con una piccola estensione di significato, si arrivi facilmente alla teoria del ‘collettivismo burocratico’. Vediamone un esempio:

“La burocrazia, sfruttando gli antagonismi sociali, è divenuta una casta incontrollata, estranea al socialismo (Trotzkij).

È una classe dominante che ha la sua ragione d’essere nel sistema economico messo in vigore e nella proprietà di classe che ne è derivata.” (176)

Il contributo teorico degli anarchici influenza il pensiero riformista e socialdemocratico, come cercheremo di provare.

Che la paternità della teoria del ‘collettivismo burocratico’ spettasse di diritto agli anarchici è sottolineato da due autori negli anni ‘40, S. Parane e D. Levi, in un articolo “Stupidità del realismo politico” (177), apparso sulla rivista anarchica mensile Volontà del luglio 1947. Questi autori, dopo aver letto il libro di Burnham, che non dimentichiamo apparve in Italia proprio nel 1946, si accorgono che le pretese novità annunciate dall’ ex-trotzkista americano non costituiscono affatto delle scoperte originali, ma la riproposizione delle teorie che gli anarchici da molto tempo avevano elaborato a proposito del modello sovietico. Affermano infatti i due scrittori libertari:

“Burnham ha scoperto ciò che noi anarchici andiamo dicendo da tanto a proposito della Russia e lo ha generalizzato. I militanti che vissero e studiarono la Rivoluzione russa s’accorsero per primi che il regime bolscevico costituiva una forma di società dalla quale era eliminata la borghesia, ma che non poteva in alcun modo identificarsi con la società socialista. La verità era che una casta nuova, che essi chiamavano intelligenza, aveva preso il potere e si serviva dei miti socialisti e delle forme socialiste per mantenere la moltitudine degli operai e dei contadini docilmente asserviti al regime. Già Yvon parlava nei suoi studi sulla rivoluzione sovietica della dittatura del ‘personale dirigente’, comprendendo non solo i direttori di officina, i tecnici della pianificazione, ma anche tutto il personale dello Stato russo, militari, agenti della GPU, burocrati, eccetera.” (178)

Quindi gli anarchici rivendicano a sé le idee base di quella teoria (stato né capitalista né socialista, nuova classe dirigente burocratica, eccetera).

La questione, tuttavia, è più complessa e allo stesso tempo più profonda, in quanto la teoria del ‘collettivismo burocratico’ deve certo qualcosa al pensiero anarchico successivo alla Rivoluzione d’ottobre, come fanno rilevare i due autori sopra citati, ma forse deve molto di più al pensiero dei fondatori, dei grandi pionieri dell’anarchismo come abbiamo già detto.

È questa la tesi che ai nostri giorni sostiene Nico Berti, anarchico anch’egli, su Interrogations (179). Concordo pienamente con questa tesi che, se applicata al nostro campo di indagine, ci permette di spiegare e di capire alcuni importanti eventi teorici e pratici della vita politica della socialdemocrazia.

Procediamo con ordine, vediamo prima in quali autori e in quali pensieri è possibile rintracciare gli elementi anticipatori cui abbiamo accennato. Innanzitutto, è importante definire il contesto nel quale quelle idee nacquero. Erano gli anni della feroce polemica tra il pensiero marxista, dagli anarchici definito statolatra e ‘comunismo autoritario’, e il pensiero libertario anarchico fortemente antiautoritario e antistatale. L’argomento del contendere era la configurazione della futura, auspicata società del lavoro liberato. Alle tesi marxiste che vedevano nello stato diretto dai dirigenti della classe operaia, nella sostituzione del mercato anarchico e concorrenziale con la pianificazione e centralizzazione dell’economia nelle mani dello Stato gli strumenti adatti alla realizzazione della società socialista, fase di transizione verso il comunismo, gli anarchici replicarono con gli argomenti che saranno oggetto della nostra attenzione. In sostanza si può dire che le critiche allora mosse dagli anarchici alla concezione marxista contenessero in nuce gli elementi fondamentali di tutte quelle teorie che, sotto nomi diversi, accusano l’URSS di essere uno stato burocratico totalitario.

Sostennero infatti gli anarchici di allora contro Max:

1 – lo stato prospettato dal pensiero marxista sarebbe inevitabilmente un generatore di differenziazione di funzioni sociali: tra dirigenti e diretti, tra lavoro intellettuale di chi dirige e manuale di chi è diretto

2 – questo porterebbe alla formazione di una nuova classe, quella dei governanti (“i governanti costituiscono sempre una classe”) scrisse Malatesta (180).

3 – il potere sarà quindi esercitato da questa nuova classe di funzionari statali che riunirà nelle proprie mani il potere politico e quello economico, dato che lo stato sarà il nuovo padrone delle fabbriche e delle terre.

4 – il lavoratore sarà ridotto alla condizione di servo di Stato (Kropotkin “La scienza moderna e l’anarchia” (180 bis).

5 – il risultato di tutto questo sarà la rinascita di una nuova forma di feudalesimo, diversa dalla società borghese, ma non certo socialista.

Come si vede questi sono anche i punti cardine della teoria del ‘collettivismo burocratico’. Scorrendo le pagine degli scritti dagli anarchici, guidati dalla traccia fornitaci dal Berti, ritroviamo infatti tutte queste idee.

Per Merlino lo stato genererebbe inevitabilmente la nuova classe dirigente:

“Supposto anche che la classe operaia si impossessi del potere, chi lo eserciterebbe davvero in suo nome sarebbe un piccolo numero di persone che tenderebbe nuovamente a diventare classe dirigente e possidente, sicché si tornerebbe allo stato attuale.” (181)

Carlo Cafiero sostiene che il pensiero marxista, se attuato, genererebbe uno stato totalitario mostruoso che, unendo il dispotismo politico a quello economico (che sarebbe la somma di tutti i poteri di tutti i capitalisti singoli), lo peggiorerebbe di molto a causa dell’alto grado di centralizzazione che lo contraddistinguerebbe. La nuova classe dominante sarebbe costituita da una burocrazia odiosa e tirannica:

“Il dispotismo dei padroni di Stato sarebbe uguale al dispotismo dei padroni attuali più la somma del dispotismo economico di tutti i capitalisti, il cui capitale passerebbe nelle mani dello Stato popolare, il tutto moltiplicato per l’aumento dell’accentramento richiesto dal nuovo stato politico ed economico ad un tempo. Dispotismo dello Stato popolare = dispotismo politico presente + dispotismo economico di tutti i capitalisti X i gradi di accentramento. E per soddisfare i bisogni di questo nuovo terribile mostro, quale nuovo mostruoso meccanismo burocratico non sarebbe necessario creare? Classe distinta superiore al popolo e perciò stesso tirannica ed odiosa.” (182)

Infine, Proudhon mette in guardia contro l’ideale comunista:

“La conversione progressiva della feudalità industriale in impero industriale è la realizzazione del programma comunista autoritario.” (183)

Dove il concetto di impero si differenzia da quello di feudalità per essere “il miglior mezzo di accentramento” (184), molto più perfezionato. L’ideale comunista, e questo è molto importante, per Proudhon darebbe vita a una concentrazione industriale nelle mani dello Stato che per il suo alto grado di accentramento darebbe più il senso di un sistema imperiale che feudale, il senso rimanendo lo stesso.

Come si può ben vedere non è assolutamente privo di fondamento il tentativo recente degli anarchici di individuare nel pensiero libertario dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento le anticipazioni di quella teoria definita appunto ‘collettivismo burocratico’. Quello però che qui ora più ci interessa non è tanto il problema della semplice indicazione della fonte di questa teoria, quanto quello più stimolante delle implicazioni teoriche che comporta la ripresa da parte dei socialdemocratici negli anni ‘40 dalla teoria del collettivismo burocratico così legata nei suoi punti fondamentali al pensiero anarchico.

Note:

176 – Rizzi op. cit. p. 98.

177 – S. Parane – D. Levi Stupidità del realismo politico in “Volontà”, luglio 1947.

178 – Ibidem

179 – Nico Berti Anticipazioni anarchiche in “Interrogations” , marzo 1976.

180 – Malatesta “Scritti scelti”, Napoli 1954 p. 83.

180 bis – Kropotkin “La scienza moderna e l’anarchia”, ed. Il risveglio, Ginevra 1913 pp. 153 segg.

181 – Merlino “Pro e contro l’anarchia”, ed. Treves, Milano 1897.

182 – Carlo Cafiero “Rivoluzione, anarchia e comunismo”, Bergamo 1972 pp. 31 – 32.

183 – Proudhon “Manuel du spéculateur à la borse” ed. Garnier, Parigi 1857.

184 – Ibidem