DAL 25 LUGLIO ALLA COSTITUZIONE

di Franco Astengo |

Un ricordo del 25 Luglio 1943 non può essere riservato semplicemente alla narrazione dei fatti che portarono alla caduta del fascismo, attraverso quella che generalmente viene ricordata come “una congiura di palazzo”.

Appare importante, proprio in questa fase di vero e proprio “sfrangiamento” del nostro sistema politico, valutare anche i fatti di quel giorno fatidico alla luce di quanto accaduto nei successivi fondamentali passaggi dell’8 Settembre 1943 e del 25 Aprile 1945 sotto l’aspetto del dibattito e delle relative scelte che si svilupparono e furono adottate in funzione della costruzione/ricostruzione della democrazia in Italia.

Processo di costruzione/ricostruzione della democrazia in Italia che trovò poi nell’Assemblea Costituente la sua sede d’espressione fino al varo del testo costituzionale.

Il testo della Costituzione del ‘48 resta ancora oggi il punto di riferimento fondamentale attorno al quale stringersi per difendere e affermare la nostra democrazia. La democrazia moderna non è una forma spontanea di organizzazione della società, ma il frutto di una conquista lenta e difficile.

In Italia dopo il fascismo le difficoltà della ricostruzione democratica si innestarono di su un processo storico che, già, prima del fascismo appariva fragile e incerto.

Non si deve perciò immaginare la rinascita democratica in Italia, nel secondo dopoguerra, come liberazione di un corpo estraneo o come ritorno a una scontata fisiologia democratica.

Per entrare in questa prospettiva critica è necessario accennare ad alcuni fra i tanti elementi della eredità del passato che condizionarono la rinascita democratica: un’incertezza, anzitutto, nella classe politica antifascista, sulla stessa idea di democrazia legata alle diverse premesse ideologiche e alla diverse letture della storia del Paese; una ancor più profonda incertezza su quello che potremmo definire uno statuto democratico dei partiti politici; infine il complesso e contraddittorio vissuto degli italiani nel corso del ventennio.

Rientrarono in scena i partiti politici che, fino a quel momento, avevano vissuto tra esilio e lotta interna le vicende di una difficile sopravvivenza, ma non erano disposti a ripartire dal passato, al di là delle polemiche sulla consistenza del fascismo, dell’antifascismo e dell’afascismo.

La fase di riorganizzazione impedì ai partiti di avere influenza sugli avvenimenti che portarono al colpo di Stato del 25 Luglio.

Il ruolo dei partiti risultò, invece, assolutamente decisivo subito dopo l’8 Settembre, e per questo fatto il loro processo di ricostituzione va considerato fondamentale per lo sviluppo dei fatti storici dell’epoca e per affermare, senza alcun dubbio, dove andasse a collocarsi la continuità dell’unità nazionale, rispetto alla successiva formazione della Repubblica Sociale Italiana.

La trasformazione del comitato dei partiti antifascisti in Comitato di Liberazione Nazionale, avvenuta fin dal 9 Settembre a Roma, collocò subito la Resistenza come secondo Risorgimento approvando fin dal giorno 10 Settembre una mozione che costituiva un punto fermo di grande importanza politica.

Vi si legge: “Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare a Roma e in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di Liberazione Nazionale per chiamare gli italiani alla lotta di Resistenza e per riconquistare all’Italia il posto che gli spetta nel consesso delle nazioni libere”.

La democrazia italiana che rinasceva dopo il fascismo riprendeva un cammino interrotto proprio dallo stesso fascismo e si presentava, quindi, in linea di continuità con lo Stato Liberale o ci si sarebbe dovuti avviare verso una strada del tutto nuova? Il fascismo aveva segnato una totale rottura rispetto alla storia precedente o non aveva nella storia dello stato liberale le sue radici?

Si svilupparono, nel corso della fase storica cui ci stiamo riferendo, risposte diverse: la posizione liberale, rappresentata da Benedetto Croce e quella azionista, che si opposero tra di loro ma, per certi aspetti, finirono entrambe con il rimanere interne a una stessa concezione della politica che era quella degli eredi del Risorgimento nelle sue due componenti: la moderata e la democratica.

Si manifestò così un doppio cleavage fra le forze politiche italiane; vi si trovava, certo, una discriminante sul tema della libertà e del suo rapporto con la democrazia e sui contenuti della democrazia stessa, se solo formali o anche sostanziali; ma vi trovava anche un’altra e più profonda  contrapposizione che riguardava, per così, dire i “protagonisti” della democrazia e il ruolo, rispettivamente, dei gruppi di élite legati alla tradizione del Risorgimento e dei partiti che rappresentavano le realtà popolari.

Il problema della democrazia si intrecciava, subito all’indomani del 25 Luglio, con quello dei soggetti politici della democrazia e sul ruolo dei partiti.

La continuità dello Stato fu confermata sulla base degli accordi di Salerno e un mutamento degli equilibri istituzionali e politici fu rinviato a una volontà popolare espressa in libere elezioni.

In quel dibattito si era confrontata, in sostanza, la proposta azionista di una guida giacobina della ricostruzione democratica con quella di una continuità formale entro la quale i partiti popolari avrebbero potuto esprimere le loro future potenzialità.

In definitiva i partiti popolari assunsero un ruolo centrale nella ricostruzione democratica senza che di questa decisa innovazione non vi fosse neppure esplicita coscienza.

I partiti si sarebbero affermati in ragione di una necessità storica più forte di qualsiasi consapevolezza critica, attraverso la stagione delle grandi formazioni di massa, capaci di condurre ,attraverso un forte radicamento sociale, un lavoro capillare di insediamento della democrazia nel Paese: la scelta del “Partito Nuovo” compiuta da Togliatti fu, in questo senso, del tutto fondamentale per la conformazione dell’intero sistema.

Si tratta di un altro elemento dell’eredità del passato sul quale giova riflettere.

Nell’assoluta centralità del ruolo avuto dalla Resistenza nella costruzione del nuovo processo democratico italiano, soprattutto sul piano morale, non si può dimenticare quanto le radici della democrazia, non solo a livello di idee e di cultura politica della classi dirigenti, ma anche della sensibilità popolare fossero fragili e incerte.

Già Federico Chabod, nelle sue lezioni alla Sorbona nel 1950, aveva posto in luce l’esistenza di “tre Italie” i cui confini erano stati segnati dallo svolgimento delle operazioni militari: al Sud, al Centro e al Nord.

Ebbene, fu con questa Italia, con le sue contraddizioni e le sue arretratezze, che la rinascita democratica, avviata il 25 luglio 1943, dovette misurarsi.

Il problema per l’Italia, al momento della rinascita democratica era dunque quello di saldare antifascismo e democrazia.

Era un problema culturale ma anche e soprattutto un problema politico, che investiva in profondità come si è visto tutte le forze rappresentative delle realtà popolari e che non poteva essere risolto se non nel quadro della collaborazione nata dalla lotta stessa contro il fascismo.

Nessuna comprensione e valutazione storica del processo di ricostruzione democratica è possibile se non si tiene conto del punto di partenza e dell’ eredità del passato.