LA VERITA’ SU MAASTRICHT

 

di Renato Costanzo Gatti Socialismo XXI Lazio |

 

Ho letto con molto interesse l’articolo di Gianni De Michelis del 1996, in cui racconta l’ambiente, il clima, le problematiche in cui si è giunti alla firma dei trattati di Maastricht. In effetti molte volte ci siamo chiesti, o almeno mi sono chiesto, come si sia giunti alla firma di quei trattati che, oggi, molti si ripromettono di voler cambiare pur nella consapevolezza che l’unanimità richiesta per la modifica degli stessi sia un traguardo di ben difficile raggiungimento.

In questo articolo si evidenziano le strategie di Delors finalizzate, con la moneta unica, a superare le difficoltà politiche che, a suo modo di vedere, si sarebbero risolte, di volta in volta, creando dalla quotidianità quella comunione di soluzioni che, tenute dal collante moneta unica, avrebbero creato in un processo di tre stadi all’Europa Unita. Questa strategia viene osteggiata dalla Thatcher ed obiezioni vengono sollevate da Danimarca e Portogallo, ma il fatto che nel 1988 si fosse approvata la direttiva sulla libera circolazione dei capitali poneva come conseguente la sovranazionalizzazione della politica monetaria.

Il crollo del muro di Berlino e la conseguente questione delle due Germanie sposta decisamente sul piano geopolitico il proseguire delle trattative che si spostano sul  futuro scenario europeo, sollecitando le strategie globali di tutti i paesi interessati; molto interessante il fatto che si sia consci che la moneta unica sarà il marco, ma a gestirlo non sarà più la Bundesbank, ma una banca europea in cui la voce tedesca sarà una, anche se tra le più importanti, tra le tante voci dei paesi dell’Unione. I negoziati si concentrano su una alternativa drammatica: ”o la Germania resta in Occidente anche dopo essersi annessa la RDT oppure slitta verso il centro e oscilla paurosamente fra noi e la Russia”.

Molto interessante, ci ricorda De Michelis, che “forse non tutti ricordano che per un solo giorno, il 30 settembre 1990, noi siamo stati una comunità a tredici, avendo accettato l’ingresso della Germania Orientale come entità strutturale a sé stante. Altro punto interessante è il fatto che i famosi “parametri” non siano inclusi nel testo del Trattato, ma sono collocati in un protocollo aggiuntivo, di modo che gli stessi possono essere modificati senza la necessità di modificare il Trattato e quindi senza dover passare per una nuova ratifica da parte di tutti i parlamenti dei paesi aderenti.

E’ evidente che il crollo del muro e l’unificazione delle due Germanie ha egemonizzato tutto il processo, a quel punto molto più geopolitico che non economico, con la consapevolezza che la nuova Europa avrebbe mutato gli equilibri non solo verso la Unione Sovietica, ma anche verso gli Stati Uniti, con la piena consapevolezza che se questo trattato fosse fallito i paesi europei sarebbero ricaduti nell’Ottocento, alla logica dell’equilibrio delle potenze.

La questione della moneta unica.

De Michelis, in questo interessantissimo articolo, mette sì al centro del suo racconto la moneta unica, ma, a mio parere, non esamina tutte le conseguenze che derivano da questa scelta. Eppure l’esperimento del serpente monetario doveva essere sempre presente in chi faceva per l’Italia scelte di portata enorme. Avere la moneta unica significa avere cambi fissi, immutabili anche di fronte a situazioni economiche poco convergenti ma soprattutto significa, per i paesi più deboli come il nostro, rinunciare a quello strumento, vile e umiliante, di risistemare la competitività con “adeguamenti di cambio” o peggio con “svalutazioni competitive”. Il nostro paese è spesso ricorso all’adeguamento del cambio per ritrovare, scaricando gli oneri su lavoratori e redditi fissi, una nuova competitività che non si era capaci di raggiungere agendo sulla produttività.

La scelta della moneta unica lasciava come unico mezzo la svalutazione del lavoro, consegnando l’economia del paese a produzioni rette da salari sempre più bassi che rendevano competitivi i nostri prodotti, ma che nel contempo rendevano convenienti lavori con maggior contenuto di lavoro piuttosto che di tecnologia. Ma questa scelta si scontrava, nel mondo globalizzato, con la concorrenza di paesi emergenti con costi del lavoro ben più bassi del nostro, spingendo alla delocalizzazione e per chi non delocalizzasse a proseguire con la scelta strutturale del nanismo aziendale.

E’ vero, la pressione politica per non perdere l’occasione di creare un soggetto europeo che avesse una sua autonomia rispetto ai colossi continentali, ha avuto la prevalenza su un esame realistico delle conseguenze della moneta unica, ciò non toglie che il non aver messo sul tavolo alternative percorribili che correggessero l’esorbitante privilegio concesso alla Germania rappresentato dalla moneta unica rimane un punto che De Michelis non affronta. Certo come membro del ministero degli esteri la sua attenzione era calamitata dai problemi geopolitici, ma credo che Carli queste tematiche le conoscesse a menadito. In fondo il tema era stato affrontato da Keynes quando fece la proposta del “bancor” meccanismi di riequilibrio fossero il vero strumento per la convergenza di parametri differenziati nei vari membri dell’unione.

E’ mia impressione che le stesse difficoltà che abbiamo avuto quando abbiamo firmato il Trattato di Maastricht, siano presenti ancora in questi giorni in cui, possiamo ben dirlo, le dimensioni politiche dei responsabili della politica estera ed economica sono di ben altra dimensione di quella degli uomini che furono a Maastricht.