ORIGINE E FORTUNA DELLA TEORIA DEL ‘CAPITALISMO DI STATO’

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA

“Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)”

RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI

Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343

ANNO ACCADEMICO 1978-1979

 

PARTE SECONDA

IL CAPITALISMO DI STATO

ORIGINI E FORTUNA DELLA TEORIA DEL ‘CAPITALISMO DI STATO’

Federico Engels e il ‘capitalismo di stato’

La teorizzazione che lo stato possa gestire l’insieme dei mezzi di produzione, pur mantenendo intatto il sistema economico di tipo capitalistico, non è nuova nel campo del pensiero marxista. Già Federico Engels, nell’Anti-During’ (31) prospettata tale possibilità. Engels, descrivendo il processo di centralizzazione capitalistica, conclude prospettando appunto la possibilità che un giorno il capitale nel suo complesso sia concentrato nelle mani dello Stato e che questo possa avvenire “senza sopprimere il carattere di capitale delle forze produttive, mantenendo il modo di produzione capitalistico“ (32). Questo passo sarà, a parere di Engels, la preparazione integrale del successivo: l’espropriazione dei capitalisti (33).

In questo caso lo stato diventerebbe ‘il rappresentante collettivo dei capitalisti’ e gestirebbe l’intera produzione nell’interesse dei capitalisti stessi (34). Ora, se si deve sottolineare la presenza di queste concezioni già nel pensiero marxista classico, non si deve però ritenere la teoria elaborata dai bordighisti come diretta filiazione di questo particolare pensiero engelsiano. Le differenze ci sono certamente. Engels parlava infatti della possibilità di uno ‘stato gestore’ della produzione nell’interesse dei capitalisti, avendo soprattutto presente la nazionalizzazione delle ferrovie attuata da Bismarck in Germania: doveva quindi dimostrare che non    necessariamente ogni nazionalizzazione costituisce un’uscita dal quadro del capitalismo verso il socialismo (35) e arrivava in questo senso anche ad ipotizzare che la gestione in toto di tutta la produzione industriale poteva lasciare intatto il quadro economico capitalista. La differenza sta quindi nel fatto che in Russia le cose non erano andate in quel modo: la nazionalizzazione delle industrie lì aveva realmente espropriato i vecchi capitalisti e la produzione non fu quindi organizzata e gestita nel loro interesse.

Gli avvenimenti russi portarono effettivamente a qualcosa di nuovo nel processo storico: la vecchia classe capitalista scomparve senza appello. Engels aveva previsto uno stato gestore al servizio della classe capitalistica, i sostenitori della teoria del capitalismo di Stato dovrebbero sforzarsi di identificare con chiarezza la nuova classe capitalistica, dato che la vecchia è scomparsa, in nome della quale lo stato organizza e gestisce la produzione. Abbiamo d’altronde visto nelle pagine precedenti come questo compito – identificare la nuova classe capitalistica – si presenti arduo e difficoltoso. Possiamo quindi affermare che, se da una parte nel pensiero marxista e particolarmente in Engels è data effettivamente la possibilità teorica e pratica dell’esistenza di un regime a capitalismo di Stato, dall’altra il pensiero bordighista riferito all’URSS non soddisfa tutte le condizioni poste da Engels come necessarie per definire un tale sistema economico, prima di tutte la necessità di individuare una precisa classe dei capitalisti.

b)  Fortuna della teoria.

Nonostante la problematicità e le contraddizioni in cui incappa questa teoria, contraddizioni che mi sono sforzato di illustrare nel capitoletto dedicato alle critiche, sembrerebbe che la storia successiva, politica ed economica, del sistema sovietico le abbia dato ragione, o almeno che le abbia fornito qualche elemento di validità. Effettivamente con le riforme kruscioviane e ancor più con quelle proposte da Kossigin e approntate da Breznev nel 1965 vengono ristabiliti in URSS alcuni principi di mercato: gli indici di controllo dei vari aspetti della produzione imposti dal piano si riducono da 30 a 8, ai managers (direttori delle aziende) sono riconosciuti notevolissimi poteri, quali quello di fissare il numero dei dipendenti dell’azienda, prima fissati dal piano, i ritmi di lavoro, la distribuzione interna dei salari, eccetera. E non sono in pochi a credere che da quelle riforme la teoria del ‘capitalismo di Stato’ tragga non pochi elementi di verifica.

Sostiene infatti Giorgio Galli nella prefazione ad un libro di Bordiga (36):

“L’ulteriore evoluzione negli anni delle riforme kruscioviane e sino a quelle prospettate nell’ultimo comitato centrale del PCUS (settembre 1965) sembra andare precisamente nella direzione indicata dall’interpretazione bordighiana, nel senso che gli elementi comuni e similari tra l’economia capitalistica tradizionale e quella sovietica si sono andati facendo sempre più evidenti. L’economia dei paesi occidentali economicamente più avanzati è venuta oggi assumendo le caratteristiche proprie di un capitalismo sempre più coordinato e razionalizzato, nel quale il ruolo dei pubblici poteri è andato aumentando, senza che siano venute meno, nell’essenziale, le caratteristiche di fondo dell’economia di mercato. Per contro la pianificazione rigida e centralizzata basata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione – peculiarità dell’economia sovietica negli anni in cui Trotzky scriveva – va oggi cedendo il passo, nell’URSS a forme nelle quali l’orientamento fissato dal Gosplan in materia di investimenti e di ripartizione del reddito tende a coesistere con una nascente autonomia degli organismi produttivi aziendali attorno ai quali si viene sempre più strutturando un vero e proprio mercato.

Così le categorie, fondamentalmente capitaliste, nel senso che Marx dava a questo termine, del prezzo, del profitto, della comunicazione, riproduzione e circolazione del capitale, tendono a riapparire, anche terminologicamente nell’Unione Sovietica, a quasi mezzo secolo di distanza dalla Rivoluzione d’ottobre …. Per quanto suggestive siano dunque le teorie che si richiamano ad una nuova forma di produzione (collettivismo burocratico) che sia diversa dal capitalismo senza per questo essere socialista – spezzando così la successione logica dei cicli produttivi quali il marxismo li ha definiti – sembra che le vicende che si succedono da un ventennio a questa parte forniscano maggiori argomenti a coloro che non vedono invece nell’URSS un’eccezione alla regola dello sviluppo capitalistico.” (37)

Dal 1968 quella teoria ebbe una circolazione molto più diffusa grazie alla posizione ad essa favorevole che assunse, proprio a partire da quell’anno, il Partito Comunista Cinese. Infatti, su Remin Ribao del 30 agosto 1968 si poteva leggere:

“La  cricca dei rinnegati revisionisti sovietici ha non solamente restaurato  completamente il capitalismo nel suo paese, ma anche accanitamente perseguito una politica imperialista all’estero.” (38)

L’attenzione che in quell’anno si prestava alle posizioni dei compagni cinesi da parte dell’estrema sinistra e dei vari movimenti, studenteschi e non, era grandissima, al punto da rasentare la fede cieca per alcuni raggruppamenti marxisti-leninisti. In breve tempo l’affermazione che la Russia fosse non un paese socialista ma capitalista si diffuse rapidamente nel campo dell’estrema sinistra e costituì una specie di spartiacque tra il cosiddetto revisionismo e il marxismo rivoluzionario.

I cinesi approfondirono in seguito quell’affermazione indicando nel ristabilimento dell’autonomia del dirigente d’azienda, del mercato del lavoro, delle merci, unitamente allo sfruttamento della classe operaia, i segni che denotano il ristabilirsi del sistema di oppressione capitalistico. Riportiamo, perché molto significativi, stralci di un articolo apparso su Quaderni della stampa cinese dell’agosto settembre 1975:

“Kruscev, Breznev ei loro accoliti, servendosi della macchina statale, hanno completamente ristabilito i rapporti capitalistici di produzione. Poco dopo il suo avvento al potere Kruscev ha proceduto a una serie di sedicenti riforme economiche nell’industria: l’essenza di queste riforme era di sostituire i principi di proprietà socialista nella direzione e nella gestione delle imprese con i principi capitalistici, ponendo la ricerca del profitto al posto di comando delle attività economiche per far sì che la ricerca dei profitti diventasse l’obiettivo finale di tutta la produzione. Dopo il suo avvento al potere Breznev ha proseguito le riforme economiche di Kruscev e ha ordinato di mettere in applicazione il nuovo sistema economico che ha come fine la ricerca dei profitti …. È evidente che l’insegna della proprietà socialista di tutto il popolo nelle imprese statali, issata dai revisionisti sovietici , serve ormai solo a coprire la trasformazione di queste imprese in proprietà della borghesia e dei monopoli burocratici.” (39)

Anche in questo articolo le riforme economiche, il cui contenuto è già stato da noi succintamente illustrato, costituiscono il punto centrale del giudizio sulla natura capitalistica dell’Unione Sovietica.

Note:

31 – Federico Engels “Anti – During” ed. Riuniti, Roma 1950.

32 – Dice Engels: “Ma né la trasformazione in società anonime, né la trasformazione in proprietà statale, sopprime il carattere di capitale alle forze produttive. Nelle società anonime questo carattere è evidente. E a sua volta lo stato moderno è l’organizzazione che la società capitalistica si dà per mantenere il modo di produzione capitalistico di fronte agli attacchi sia degli operai che dei singoli capitalisti. Lo stato moderno, qualunque ne sia la forma, è una macchina essenzialmente capitalistica, uno stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale. Quanto più si appropria delle forze produttive, tanto più diventa un capitalista collettivo, tanto maggiore è il numero di cittadini che esso sfrutta. Gli operai rimangono dei salariati, dei proletari. Il rapporto capitalistico non viene soppresso, viene invece spinto al suo apice“ “Anti – During” p. 303.

33 – Dice Engels: “Ma giunto all’apice si rovescia. La proprietà statale delle forze produttive non è la soluzione del conflitto, ma racchiude in sé il mezzo formale, la chiave della soluzione. Questa soluzione può consistere solo nel fatto che si riconosca in effetti la natura sociale delle moderne forze produttive e che quindi il modo di produzione, di appropriazione e di scambio sia messo in armonia con il carattere sociale dei mezzi di produzione. E questo può accadere solo a condizione che la società si impadronisca delle forze produttive, le quali si sottraggono a ogni altra direzione che non sia la sua.” Engels “Anti-During” op. cit. p. 303.

34 – Dice Engels: “Certo in un primo momento questo (la gestione statale dei mezzi di produzione) avviene ancora a tutto vantaggio dei capitalisti.” Engels “Anti-During” op. cit. p. 302.

35 – Afferma infatti Engels: “Di recente, però, da quando Bismark si è dato a statizzare, ha fatto la sua comparsa un certo socialismo falso, e qua e là perfino degenerato in una forma di compiaciuto servilismo, che dichiara senz’altro socialistica ogni statizzazione, compresa quella bismarckiana. In verità, se la statizzazione del tabacco fosse socialista, potremmo annoverare tra i fondatori del socialismo Napoleone e Metternich.” Engels “Anti-During” op. cit. p. 302.

36 – Bordiga “Struttura economica …. op.cit.

37 – Ibidem pp. XXVII – XXVIII – XXIX.

38 – L’URSS è uno stato socialista? “Remin Ribao”, 30 agosto 1968.

39 – A Hsinhua La degenerazione della proprietà socialista in Unione Sovietica in “Quaderni della stampa cinese”, settembre – agosto 1975.