SÉGOLÈNE ROYAL “LA SOCIALDEMOCRAZIA SALVERA’ L’EUROPA”

di Leonardo Martinelli – La Stampa |

Non ha partecipato all’incontro, ma Ségolène Royal lo ha scrutato tutto il giorno da lontano. Lei ci crede, ci vuole credere a un candidato unico di tutta la sinistra e dei Verdi per le presidenziali che si terranno in Francia tra un anno. Ieri, in un albergo davanti a uno dei canali che attraversano il Nord di Parigi, si sono riuniti i leader di quello schieramento, per la prima volta, dopo troppo tempo. Non hanno raggiunto un accordo ma hanno iniziato a discutere di «unità». E la Royal, già candidata (sfortunata) alle presidenziali del 2007, contro Nicolas Sarkozy, quando fu penalizzata anche dalle divisioni all’interno del suo campo, e una delle prime in Francia a parlare di ecologia a sinistra (a lungo inascoltata), guarda a questa possibile alleanza verde-rossa. E incrocia le dita.

Perché ci spera così tanto?

«È il solo modo per la gauche di arrivare al secondo turno e di competere con l’altro candidato che passerà, Emmanuel Macron o Marine Le Pen. E poi è la grande aspirazione di tanti elettori».

La sinistra francese non è finita? Neanche quella europea?

«Ma no. Anche Biden negli Usa fa una politica socialdemocratica e porta avanti il filando dell’economia pilotato dallo Stato e con l’obiettivo di una maggiore giustizia sociale. Sarebbe il colmo se in Europa la socialdemocrazia regredisse, quando addirittura gli Usa, la patria degli eccessi del liberalismo, hanno capito che per rispondere alle crisi attuali bisogna realizzare politiche di quel tipo».

Parla ancora di socialdemocrazia? Non sarebbe meglio dire socialecologia?

«Proprio stamani qualcuno mi ha inviato un filmato in cui io, nel 1992, quando ero ministra dell’Ambiente, dicevo che l’ecologia non era sufficiente e che ci voleva anche la giustizia sociale. Mi definivo una social-ecologista. Comunque, andiamo al di là delle etichette politiche. Bisogna inventare un nuovo modello di sviluppo. La gente, di base, vuole sperare nel futuro, proiettarsi in un avvenire positivo, che non sia troppo lontano. È la grande angoscia umanista di oggi».

L’incontro è stato voluto da Yannick Jadot, eurodeputato di Eelv, il partito ecologista. Vi hanno partecipato tutti, anche i rappresentanti della France insoumise, il partito della gauche radicale di Jean-Luc Mélenchon, che hanno accettato di discutere ma non vogliono una candidatura comune..

«I verdi e i socialisti sembrano, invece, volerla. L’importante è che due comincino».

Mélenchon si aggiungerà? Per tanti sembra impossibile.. .

«Non lo è, anzi è indispensabile. Senza di lui, al secondo turno non ci andiamo. Mélenchon viene dal Partito socialista, come me. Abbiamo tante cose in comune».

Ha un nome in mente come candidato unico? Lo stesso Jadot? O Anne Hidalgo, socialista, sindaca di Parigi?

«È ancora presto. Ma se qualcuno emerge ed è in posizione di vincere, io mi metterò al servizio della coalizione. Aldilà della persona, sarà una questione di squadra. La gente non vuole più un esercizio del potere solitario. Non crede più agli “uomini miracolo”. Basta vedere quello che è successo con Macron. Gli elettori vogliono una squadra che funzioni».

Come può riuscire a vincere un’alleanza sinistra-verdi? In Francia, ma pure nel resto dell’Europa…

«Dando risposte concrete alle tre grandi crisi del momento: ecologica, sociale e soprattutto democratica. I processi decisionali attuali non funzionano, per questo in Francia abbiamo avuto la crisi dei gilet gialli. Dobbiamo ridefinire come funzionano le istituzioni nel momento in cui usciremo dalla crisi sanitaria e realizzeremo il piano di rilancio. Per il momento, invece, c’è solo un pugno di persone che decide tutto. Se facciamo progressi su queste tre crisi, rilanciamo l’economia. E non funziona in senso inverso: non basta rilanciare l’economia per risolvere tutti i problemi. Quello lo dice la destra ultra-liberale. Ecco la differenza con la sinistra».

Sì, ma il piano di rilancio europeo non è ancora partito…

«E un problema di efficienza dell’Europa. Aspettano che tutti i Paesi lo ratifichino. Penso a come abbiamo fatto con l’Accordo di Parigi sul clima. Ci volevano almeno 55 Paesi che rappresentassero minimo il 55% delle emissioni di gas serra per rendere operativa l’intesa. Ecco, avrebbero dovuto fare la stessa cosa per il piano di rilancio. Si parte, se almeno la metà dei Paesi più uno, che rappresentano il 55% della potenza economica dell’Ue, dice di sì.