di  Renato Costanzo GattiSocialismo XXI Lazio |

 

“I pacchetti di controllo dell’ottanta percento del capitale azionario mondiale sono posseduti da meno del due percento degli azionisti mondiali. Percentuali analoghe così basse si riscontrano anche a livello di singole aree e di singoli paesi, questo piccolo club privilegiato di grandi capitalisti tende a restringersi ulteriormente a cavallo delle crisi economiche  ed il manipolo di grandi capitalisti si restringe ulteriormente, quanto maggiore è la differenza tra tasso d’interesse e tasso di crescita. La tendenza verso la centralizzazione dei capitali risulta correlata con alcuni indicatori di deterioramento del tessuto democratico.

Prendiamo i dati sulla deregulation del lavoro avvenuta in Europa e nei paesi OCSE negli ultimi trent’anni. Paesi estremamente diversi, con caratteristiche istituzionali, politiche, culturali, molto differenti tra loro, hanno fatto registrare una convergenza nel tempo dei processi di precarizzazione del lavoro testimoniata dal crollo degli indici di protezione delle lavoratrici e dei lavoratori. E il crollo avviene non solo in termini di media ma anche di varianza tra paesi: esiste cioè una convergenza internazionale verso la precarizzazione del lavoro.“

L’attuale situazione mondiale, sembra confermare la cosiddetta legge marxiana di tendenza verso la centralizzazione del capitale in sempre meno mani. Sorge quindi legittima la domanda della fondazione Feltrinelli se il capitalismo deregolato del nostro tempo possa creare problemi alla tenuta dell’ordine democratico. Infatti la centralizzazione capitalistica  tende ad un accentramento del potere non solo economico, ma a lungo andare, spogliando di potere effettivo le istituzioni democratiche, tende anche a compromettere una pur formale divisione dei poteri ed un sistema dei diritti su cui si regge la democrazia liberale  contemporanea.

Il movimento storico di disuguaglianza sociale sta accelerando una separazione tra un ceto proprietario sempre più potente ed il resto del mondo sempre più precarizzato e fatto regredire ai margini di un nuovo assetto sociale coerente con i processi di robotizzazione e di svuotamento del mondo del lavoro, particolare importanza assume in questa fase il ruolo degli algoritmi, nuovi strumenti che nella presunzione di scientifica e neutrale assertività, nascondono il nuovo modo di esercitare il potere. 

Tale deterioramento della prospettiva sociale nasce dal crollo del muro di Berlino che ha portato con sé due fenomeni sociali; da una parte il crollo di una grande alternativa di sistema che, dialetticamente manteneva in piedi una coscienza critica all’egemonia culturale di una sola parte; dall’altra quel crollo, invece di rafforzare il modello socialdemocratico, lo ha messo in crisi profonda facendolo convergere verso l’ideologia del libero mercato abbandonando il riformismo strutturale ed adagiandosi su un riformismo dei diritti a livelli sovrastrutturali. Anche gli intellettuali diventano vittime del loro tempo e vengono resi miopi e muti dal momento storico in cui vivono.

L’incoffessato pensiero dominante guarda alla guida del paese di tipo autorevole, anche se purtroppo troppe volte autoritario, come il mezzo più veloce ed efficace per rispondere alle sfide della storia, si vivono con talora malcelato fastidio le liturgie di una democrazia sempre più inefficiente e inadeguata ai tempi celeri che i problemi impongono alle risposte.

Anche il governo Draghi, che rappresenta: il commissariamento del soggetto costituzionale esecutivo; la negazione del metodo democratico; la notarizzazione del fallimento di un certo democraticismo liberale, è applaudito dal gran consenso di quasi tutte le forze politiche, di quei soggetti sconfitti che come nella più classica sindrome di Stoccolma osannano il soggetto che rappresenta il loro fallimento. E chi si pone all’opposizione vi si pone certa di poterne ricavare consenso per sé e di meritarsi la successione nella stessa posizione commissariale.

Anche le indubbie conquiste di un periodo socialdemocratico nei passati decenni, sono calpestate dalla ripresa marcia di potenza intrapresa dal capitale, e le certezze turatiane di progressive conquiste irreversibili sono evaporte riproponendo la risposta di una classe diversa da quella dei secoli passati, ma pur sempre basata sulla lotta di classe.

Certo, l’insegnamento gramsciano ha fatto decadere l’idea di una rivoluzione romantica, indicando un lavoro esteso, di base, di dialettica fra dirigenti e subordinati, di presa di coscienza della realtà economica, di elaborazione di quanto si è introiettato, di programma per la conquista dell’egemonia.