di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |
Ho molto apprezzato l’articolo di Alberto Leoni “La povertà ha più volti” apparso recentemente su questo sito. Sento l’esigenza di integrare le condivisibili proposte relative a quella che l’autore definisce “povertà temporanea, legata a scarsità di reddito per assenza o insufficienza di redditi da lavoro, che riguarda persone in età attiva senza problemi di salute”.
Giustamente l’autore esamina il tema con attenzione alle connessioni e conseguenze dei provvedimenti proposti, in particolare ho apprezzato la necessità che, per coprire i costi assistenziali, si combatta definitivamente l’evasione e l’elusione fiscale, parte di quella riforma fiscale, rimandata a settembre, da cui purtroppo non possiamo aspettarci molto neppure su quella frana che è la gestione della riscossione.
Un elemento, tuttavia, l’autore non ha contemplato, e tale elemento è la ricerca delle cause che creano la disoccupazione “temporanea”, cause che ho voluto evocare nel titolo di questo articolo.
Vorrei quindi integrare, con spirito costruttivo, l’articolo che sto esaminando con due considerazioni: i working poor e la robotizzazione.
I lavori atipici
La povertà nasce non solo dalla disoccupazione, ma è presente anche tra chi lavora in condizioni che cozzano violentemente con il dettato dell’art. 36 della Costituzione:
“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. (…)”
Nel nostro paese troppe forme di lavoro in agricoltura, in particolare nei riguardi di individui non residenti, sono a livello schiavistico; la questione dei raiders pagati come lavoratori autonomi quando la subordinazione agli algoritmi è fin maggiore della subordinazione richiesta per definire un lavoro dipendente; le varie forme di lavoro precario per cui vengono pagate contrattualmente un numero di ore ben inferiore a quelle effettivamente prestate; le forme di lavoro nero sono molto diffuse e spesso gestite con forme diverse di caporalato.
Questa forma di povertà richiede un’azione di governo diversa da quelle previste dalle varie forme di assistenzialismo; qui ci troviamo di fronte a reati diffusi e sistematici cui l’attenzione degli ispettorati del lavoro se non delle procure nasce sporadicamente solo in caso di morti sul posto.
La robotizzazione
Il modo di produzione sta mutando in modo sempre più veloce e profondo. Il fenomeno assume due forme: la delocalizzazione e la robotizzazione.
Queste due mutazioni nel modo di produzione sono le principali madri della disoccupazione e della conseguente povertà, fenomeni che non sono “temporanei” bensì strutturali. Ma mentre la delocalizzazione può essere regolarizzata, come peraltro si sta cercando di fare, e si può quindi contrastare, ben diverso è il contenuto del fenomeno robotizzazione.
Infatti, e parlo da socialista, ritengo un fatto positivo che ci si liberi dal lavoro delegandolo alle macchine; che è estremamente esaltante che le macchine ci sostituiscano anche nel lavoro intellettuale oltre che fisico prospettandoci un mondo in cui al limite tutto il lavoro viene robotizzato raggiungendo la liberazione dalla necessità di vendere a qualcun altro (il capitale) parte della nostra vita per sopravvivere. Questo era il sogno di Marx. Traggo da “L’idea di automazione nella teoria marxiana del mutamento tecnologico” di Riccardo Campa:
“Marx si convince che una società senza classi caratterizzata da benessere diffuso, dove ognuno dà secondo le proprie capacità e ottiene in ragione dei bisogni, è possibile proprio grazie all’automazione integrale. Una volta abolita la proprietà privata dei mezzi di produzione, il grande automa lavorerà per l’uomo, al quale non resterà che supervisionarne il lavoro e soddisfare i propri bisogni.”
Ma allora la disoccupazione generata dalla robotizzazione richiede di rivolgere la nostra attenzione a soluzioni che non considerino l’assistenzialismo, ma puntino ad un adeguamento dei rapporti tra le forze produttive ed il modo di produzione. Ritengo cioè che sia necessario rendersi conto che la robotizzazione guidata dal capitale non può che portare a forme di neo-schiavismo assistenziale, mentre occorre che i mezzi di produzione siano socializzati per poter pensare ad una società che realizza la sua natura e ne sviluppa le qualità una volta liberatasi dalla servitù del lavoro.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.