LA PERNICIOSA IDOLATRIA DELLA GOVERNABILITA’

 

 

di  Silvano Veronese – Vice Presidente Socialismo XXI |

 

Sul sito web e sui social, nei giorni scorsi, il nostro Presidente Aldo Potenza ha lanciato un grido d’allarme (che merita di essere ripreso e meditato) sulla preoccupante deriva che sta prendendo la crisi della democrazia rappresentativa ed in particolare quella del sistema politico-partitico incapace di reagire al tentativo – non nuovo come Egli stesso ha ricordato – di promozione di  un governo del Paese al di fuori del contributo delle  rappresentanze politiche parlamentari come evocato dall’Avv. Agnelli in una famosa intervista al Corriere della Sera nel 1975.

Perché siamo giunti a questa deriva? Senza dubbio l’azione sconsiderata di una parte della Magistratura, dietro al comprensibile proposito di colpire un uso illegale del finanziamento dei Partiti, di devastare – anche con procedure discutibili –  il sistema politico-partitico dell’epoca creando un  grave vuoto di rappresentanza che non sarebbe stato piu’ coperto da un  sistema partitico tradizionale (pur rinnovato), ma collegato alle grandi culture democratiche del ‘900, ha aperto la strada, inconsapevolmente o meno, ad una serie di movimenti partitici, qualcuno anti-sistema, ma i piu’ ridotti a comitati elettorali utili alla gestione del potere da parte di interessi particolari o lobbistici più che capaci di affrontare con successo e competenza  le criticità economiche, sociali e di finanza pubblica esistenti e irrisolte.  

L’idea di determinati grandi poteri finanziari ed industriali di poter dar vita ad una soluzione istituzionale-tecnocratica, in nome della governabilità in via di principio, ma nei fatti per ripristinare un equilibrio di poteri e di distribuzione del reddito, non si concretizzò, ma creò le condizioni per un impoverimento della politica, anche in termini di bassa competenza ed affidabilità di governo, tanto che di fronte alle manifeste incapacità di certa classe politica a fronteggiare la crisi di bilancio pubblico e alle pressioni comunitarie europee si giunse con il Governo Monti  – anche se per un tempo limitato – ad un “governo tecnico” pur accettato dalla grande maggioranza del sistema politico dell’epoca.

L’emergenza che ha investito la vita nazionale a causa dell’’esplosione della epidemia virale, che ha messo in crisi tutte le grandi e piccole economie del mondo, ha allargato la crisi di rappresentanza e della “politica governante” con l’esplosione di due fenomeni diversi, ma egualmente dannosi: il populismo ed il nazionalismo esasperato fino a raggiungere livelli di irresponsabile antieuropeismo. 

La necessità di offrire alle Istituzioni Europee e finanziarie opportune garanzie a livello di governo del Paese sia per fronteggiare con efficacia la crisi pandemica sia per stabilizzare l’economia ha riportato nuovamente  ad una situazione di “commissariamento” della politica con l’affidamento della guida di un governo di unità nazionale all’apprezzato ex Presidente della BCE, già governatore di Bankitalia, già direttore del Tesoro e già  autorevole esponente del mondo finanziario a livello mondiale.

In una delicatissima situazione di emergenza, non solo del nostro Paese, ma di tutta Europa, questa scelta puo’ apparire – come abbiamo piu’ volte affermato – una via obbligata in uno stato di necessità, ma nel rispetto di un ruolo sostanziale del Parlamento che, invece, viene “sacrificato” nelle sue prerogative dalle scelte di governo considerate incontestabili e, soprattutto, se questa scelta fosse  considerata a “tempo determinato” per riportare nel breve tempo  alla normalità funzionale (e costituzionale) il ruolo del Governo, del Parlamento, delle Regioni e, perché no, delle stesse forze sociali in una logica di concertazione sociale che, per esempio, il Presidente  Ciampi inauguro’ e valorizzò trovandosi nelle stesse condizioni del Presidente Draghi lasciando la carica di governatore di Bankitalia nel 1993.

Invece, con una disinvoltura istituzionale piu’ unica che rara, qualche giorno fa il Ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti – non so quanto “in linea” con il segretario del suo Partito – ha lanciato l’idea di un Draghi Presidente della Repubblica – e fin qui niente da obiettare data l’autorevolezza ed il consenso diffuso che per ora gode il “premier” -, ma con compiti di supervisione e di indirizzo dell’azione di governo.

Una forma di semipresidenzialismo di fatto….. “all’amatriciana”, ma non previsto dalla Costituzione e che relegherebbe il ruolo del Parlamento a semplice notaio di decisioni irrevocabili, anche perché se Esso dovesse  sfiduciare su un determinato provvedimento legislativo il Governo estenderebbe la sfiducia anche al Presidente della Repubblica, quale “tutor” del Governo.

L’aspetto piu’ sorprendente è rappresentato che non si sono viste molte ed articolate negative reazioni, quasi che la proposta fosse la “cosa” piu’ normale di questo mondo. Quando il generale De Gaulle, richiamato al potere per gestire una grave emergenza politica, propose per la Francia una forte modifica istituzionale semipresidenziale con elezione popolare del Capo dello Stato  – pur nel quadro di un sistema che rimaneva democratico – lo fece con una apposita legge di modifica costituzionale da ratificare poi con un apposito referendum popolare, che vinse.

L’Italia repubblicana, che non si fa mancare niente, ha sempre avuto in ostilità forme istituzionali di presidenzialismo (a parte Pacciardi, pezzi del già Partito d’Azione ed il MSI ora anche FdI), salvo praticarlo per i Comuni e le Regioni ed ora – secondo l’on. Giorgetti,  – ma anche “sotto traccia” da parte di altri politici – lo si vorrebbe praticare in via di fatto, in barba alla Costituzione e alla volontà popolare!

Ma, allora, perché non andare in piazza per rivendicare il ritorno ad un corretto democratico sistema istituzionale in armonia con la Costituzione, il ripristino di una rappresentanza popolare effettiva (una testa, un voto) a tutti i livelli istituzionali, rappresentativa del pluralismo politico –culturale  e territoriale esistenti?