MANIPOLATORI E SEDICENTI “RIFORMISTI”

 

 

di  Silvano Veronese – Vice Presidente Socialismo XXI |

 

Il Ministro dell’Economia, con la Sua tipica sobrietà di linguaggio,  ha confermato – nell’illustrare la legge di bilancio che dovrà essere approvata entro il 31 dicembre, una crescita economica del + 6,2 % rispetto al PIL, una delle piu’ alte in Europa. Noi non ci aggiungiamo al coro degli entusiasti (cioè vari politici della maggioranza e alcuni media) perché due anni fa perdevamo l’8% rispetto al PIL (a causa del blocco di varie attività per la pandemia). Un prodotto interno lordo che comunque stagnava da diversi anni, a prescindere dagli effetti derivanti dalla crisi virale, relegandoci quasi all’ultimo posto tra i Paesi della U.E. nella classifica degli andamenti delle varie economie.

Quindi, calma con i facili entusiasmi perché la strada per raggiungere gli indici di crescita di prima del 2008 (anno della scoppio della crisi mondiale) è ancora lunga anche perchè solamente sotto la pressione delle condizioni programmatiche definite in sede U.E. l’Italia ha  impostato un programma ben definito in progetti di una certa qualità, condizione imprescindibile per ottenere i fondi finanziari destinati al nostro Paese.

Prima, invece, dal 2008  le ricette economiche sono state di corto respiro e contradditorie. Nelle scelte dei  vari Governi fino al Conte 2 non vi sono stati progetti di rilievo nelle opere pubbliche e nelle infrastrutture, non si è messo mano alle inefficienze della macchina burocratica, si è parlato molto di “riformismo” ma non sono state né pensate né tantomeno realizzate serie riforme nella gestione della giustizia, del fisco e della riorganizzazione del welfare. La destra continua parlare di riduzione fiscali dimenticandosi che la vera grande riduzione del gettito fiscale è praticata impunemente dall’area della evasione e dell’elusione (le piu’ grandi in Europa!!!).

Il sostegno alle attività produttive, in particolare a quelle che devono fronteggiare  la  competitività nella globalizzazione dei mercati, è stato spesso praticato riducendo i trattamenti normativi e salariali del lavoro dipendente quasi che la sfida con la concorrenza estera si debba giocare esclusivamente sulla produttività e sul costo del lavoro e non sulla produttività di sistema, sulla efficienza produttiva derivante dall’introduzione delle nuove tecnologie informatiche, sulla ricerca e sulla innovazione non solo dei processi industriali, ma anche dei prodotti.

Comunque, non sottovalutiamo il dato dell’incremento del PIL, ma avremmo preferito che esso fosse accompagnato anche da un aumento dell’occupazione e delle ore lavorate pro-capite. Su questi indici, invece,  c’è una specie di rimozione dei dati che non sono della stessa positività del tasso di crescita economica e della produzione, tant’è che il reddito da lavoro (in particolare dipendente) continua a distanziarsi dal reddito da profitti e da rendite. La retribuzione media annua italiana è fra le più basse dei Paesi UE e la sua riduzione netta rispetto a 10 anni fa è la piu’ rilevante in Europa (-7% circa).

Come socialisti diciamo che c’è poco, perciò, da entusiasmarci perché è nella nostra storia e nella nostra cultura di veri riformisti  l’impegno e la volontà di favorire con riforme e politiche adeguate la crescita economica  del sistema, ma per realizzare la crescita dell’occupazione e del benessere sociale dei lavoratori e delle loro famiglie. Lo abbiamo dimostrato con le nostre idee ed i nostri uomini attraverso significative riforme negli anni piu’ fecondi e innovativi  del vero centro-sinistra e negli anni di governo a guida socialista quando l’Italia, superando la Gran Bretagna si insediò al 5° posto nella classifica dei Paesi piu’ industrializzati (G7) guadagnando la tripla AAA nella valutazione delle grandi agenzie mondiali di rating.

Riforme o scelte di governo che migliorano l’economia, ma che fanno regredire la quantità del lavoro e la qualità delle condizioni dei lavoratori (come è successo negli ultimi 25 anni) non sono né riformismosocialismo!

Tanto meno quello che alcuni compagni o Associazioni socialiste si dilettano a declinarlo come socialismo liberale perché se non liberi migliaia di oppressi dalle  schiavitù della disoccupazione, della precarietà di un reddito decente e della povertà non è socialismo comunque lo si voglia definire.