DA 22 MESI VIVIAMO CON IL COVID IN ITALIA

 

 

di  Alberto Leoni – Coordinatore regionale Socialismo XXI Veneto |

 

E’ l’animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi scriveva  duemila anni fa Seneca a Licinio. E’ il nostro modo di “vedere”  la salute che dovremo cambiare, dopo questa tragedia che sta cambiando il mondo e mettendo in discussione il nostro modello di sviluppo. L’umanità non viveva un’esistenza felice, priva di insidie virali, di decessi, di sofferenze, prima che scoppiasse la nuova malattia. E senza nulla togliere alla gravità del momento sarebbe già un inizio di “rielaborazione” seria e di possibile risalita, inquadrare questa pandemia maledetta ed aggressiva nel contesto generale delle tante patologie di cui soffrono e muoiono i mortali. E che paiono dimenticate.

La prima cosa da stampare nella mente: questa è stata la terza pandemia in meno di 17 anni. È probabile, senza interventi correttivi, nel rapporto uomo ambiente, che altre ne seguiranno a ritmi temporali più veloci. La nostra salute la difenderemo con ogni azione utile per diminuire la “invasione umana”, la deforestazione, lo spazio rubato agli animali, l’inquinamento dell’aria, l’urbanizzazione massiccia e mal regolata.

Prima di essere un problema sanitario, la pandemia è un problema di sviluppo economico sostenibile. Succederà ancora, purtroppo, perché certamente alcune modifiche nel modello di sviluppo inizieranno, ma i tempi di un cambiamento strutturale non saranno certo brevi e nuove ondate epidemiche si profileranno nella nostra vita.

E le si dovranno affrontare con una solida cabina di regia mondiale, europea e ovviamente nazionale. Una cabina che organizzi e integri, in una banca dati condivisa, tutti i dati scientifici per capirne l’evoluzione e i trattamenti efficaci. Una cabina di regia che va rivista nella composizione in Italia.

La gestione Covid 19 in Italia. Punti di forza e punti di debolezza

In Italia il Covid sappiamo bene che cosa ha provocato. Alla data odierna 132 mila morti, in gran parte ultraottantenni, già con gravi compromissioni; 4.600.000 persone contagiate in tutto il periodo mentre ad oggi, 16 novembre 2021, sono 120 mila i positivi: per numerose di esse gli effetti a lungo termine del Covid, poco conosciuti, si fanno ancora sentire.

Abbiamo passato 22 mesi di paura alternata ad ottimismo, scoprendo le nostre debolezze sanitarie, ma anche i nostri punti di forza.

I punti di debolezza: la fragilità, oltre ogni immaginazione, della medicina territoriale che non ha preso in carico tempestivamente molti malati, i pochi posti di terapia intensiva (5.200 a febbraio 2020, oggi, grazie ad un investimento straordinario, pubblico e privato, oltre quota 8500), la scarsità del numero di medici ed infermieri, figlia di una errata programmazione dei fabbisogni e della colpevole perdita di 8 mila medici e 13 mila infermieri nel periodo tra il 2008 ed il 1017; l’insufficienza della rete di trasporto pubblico, soprattutto treni locali e bus scolastici, la vetustà di molti edifici scolastici che, in particolare negli Istituti Superiori, ha determinato sovraffollamento pericoloso.

I punti di forza: la capacità di riorganizzare i nostri ospedali nell’emergenza con un grande lavoro di squadra, la lucida razionalità nella organizzazione della campagna vaccinale che ha portato ad una tasso di popolazione vaccinata destinato a toccare ormai il 90% , dato difficilmente prevedibile a febbraio di questo anno; la professionalità non comune dello staff sanitario del Servizio Sanitario Nazionale (della quale forse non siamo consapevoli) e lo spirito solidale con cui molti professionisti in pensione sono rientrati rapidamente in servizio con lo spirito dei “riservisti” militari.

Alcuni aspetti inquietanti purtroppo si sono “cronicizzati”.

Uno è la campagna comunicativa contradditoria (pensiamo solo al caso Astrazeneca, ricordate?), con un eccesso di spazio mediatico a professionisti che non hanno aiutato i cittadini a capire, probabilmente vittime loro stessi sia del proprio narcisimo sia di un sistema mediatico che ha dato un pessimo servizio al Paese. Come non ricordare un vero e proprio terrorismo mediatico che da mesi ci affligge, ora si attenua, ora esplode, senza dare correttamente dati e spiegazioni (magari sintetiche, non servono le 9 pagine giornaliere o ore di talk show!). E le omissioni sconcertanti! Una per tutte.

Nei giorni scorsi la Fondazione Hume, del prof. Luca Ricolfi, ha pubblicato una ricerca del dr. Mario Menichella sul rapporto rischio beneficio nella popolazione, mettendo in evidenza come il beneficio sia notevolmente superiore al rischio nelle fasce d’età superiori ai 50 anni, ma come, invece, sia inferiore signifcativamente nelle fasce d’età dei bambini e dei minori. La notizia la trovate sul sito web della Fondazione, su nessun quotidiano della “grande” stampa italiana. Nei media, nessuno dei più seguiti ha perso un minuto per informare i cittadini.

L’altro è il clima sociale che si è generato nel Paese, la lacerazione profonda tra vaccinati e non, la ricerca del “capro espiatorio” che è sempre il segnale di una comunità non sana, che non sa elaborare i problemi in modo maturo. Chi non ha utilizzato l’opportunità del vaccino non si è voluto bene. Tanto più se poi indulge a visioni di improbabili e assurdi complotti o a negazioni della gravità della pandemia. Ma compie un grave errore anche chi considera i non vaccinati potenziali fonti di contagio, “i nuovi untori”, non ne ascolta le paure, i dubbi.

Ho sempre pensato che l’ascolto attivo e sincero sia da preferirsi al giudizio morale, la persuasione intelligente e qualificata (magari fatta dal medico di fiducia …) all’obbligo. Abbiamo dimenticato tutto di quanto successo in questi 22 mesi: i sistemi di protezione che non c’erano ed hanno causato la morte di tanti sanitari, quella sciagurata partita di San Siro tra Atalanta e Valencia, quel protocollo irresponsabile per la cura a domicilio basato su tachipirina e vigile attesa. 

Ma abbiamo dimenticato anche che in Italia abbiano chiuso il 30% degli ospedali nel periodo 1998 /2018 con relativi posti letto, senza creare strutture intermedie alternative;

abbiamo perso tanto personale sanitario non sostituito per risparmiare;

abbiamo tenuto troppo basso il numero dei posti delle terapie intensive.

La memoria, la memoria! Non deve mai venirci meno, specie quando si valutano tragedie come questa.

Ed oggi di fronte alla terza (o quarta) ondata pandemica?

Noi stiamo entrando in una nuova ondata con qualche arma in più rispetto ad un anno fa e anche con un quadro molto meno grave. Nel momento in cui scrivo (16/11/2021) in Italia ci sono 120 mila persone contagiate, 458 in terapia intensiva, 3647 in reparti ordinari a causa di complicanze Covid 19.  L’aumento dei contagi salirà sicuramente nei prossimi giorni, ma al momento le terapie intensive e i ricoveri ordinari sono molto al di sotto delle soglie fissate dal Ministero ( rispettivamente 10% e 15%).

Abbiamo vaccini sicuri, autorizzati dagli Enti regolatori internazionali, anche se con efficacia temporale rivelatasi più breve di quanto sperato (all’incirca sei mesi si sta appurando, dopo mesi di incertezze comprensibili data la novità del virus), ma ormai abbiamo farmaci efficaci per la cura (dai monoclonali d’uso ospedaliero agli antivirali di nuova generazione che entro l’anno saranno fruibili). Chi si è vaccinato difficilmente avrà sintomi gravi o morirà di Covid.

Bisogna però sollecitare il Governo e le Regioni ad un piano rapido per la medicina territoriale. I tempi del Pnrr sono medio lunghi, ma intere città rischiano di non avere medici di base per i loro cittadini dopo i tanti pensionamenti non sostituiti, per cui servono provvedimenti di urgenza, dal richiamo in servizio dei medici pensionati all’utilizzo dei neo laureati e degli specializzandi senza vincoli di numero di assistiti; bisogna verificare che il raddoppio dei posti in terapia intensiva sia effettivo (cioè con il personale dedicato) e non puramente legato all’acquisto delle postazioni… bisogna che lo stanziamento per il Fondo Sanitario Nazionale sia adeguato agli investimenti fatti nel Pnrr ,altrimenti si va verso una riduzione delle risorse e i soldi del Pnrr non vanno spesi in spesa corrente, ma in investimenti in strutture e tecnologie sanitarie.

E poi si deve insistere sulla prevenzione primaria e sui comportamenti adeguati dei cittadini

Prevenzione primaria in tempi di pandemia significa agire sui mezzi di trasporto pubblico, riducendone la capienza nei mesi a rischio, aumentando l’offerta di corse;

significa avere spazi scolastici dove si rispetti il distanziamento di un metro o trovando altre soluzioni d’intesa con i Sindaci;

significa avere una adeguata ventilazione meccanica nelle aule e in tutti i luoghi chiusi, fissare numeri contenuti negli eventi pubblici, sportivi e ricreativi o, in alcune fasi, non svolgerli affatto se il rischio è troppo alto.

Registro che su scuole, trasporti,luoghi chiusi non sono stati effettuati interventi (tranne nelle scuole delle Marche) E molto spesso le mascherine non sono usate, quando, soprattutto adesso nella stagione fredda, sono di particolare utilità anche per evitare sindromi influenzali.

Negli stadi (75%) non c’è alcun distanziamento (guardate le curve!!!). Eventi ad alto assembramento, dalle manifestazioni di protesta alla affollattissima Barcolana triestina (nessuno la ha citata!) continuano. Dovremo convivere con il virus per molto tempo. Ed il green pass, che non è strumento di salute pubblica, non garantisce certo di evitare contagi. Ma, per evitare il clima di dannosa drammatizzazione in essere (fa ammalare anche questo non dimentichiamolo!), serve una intelligente prudenza e attenzione ai veri fattori di rischio. Vedo che sono stati rimossi. Attenzione sempre. Paura mai!

POSTI LETTO OSPEDALIERI

Nel 1998 i posti letto negli ospedali erano 311.000. Nel 2007, anno immediatamente a ridosso della crisi economica che ha innescato la successiva austerity, erano ridotti di circa 90.000 unità e nel 2017 erano circa 190.000 secondo l’Annuario statistico del SSN pubblicato nel 2019. In Italia, partendo dal 5,8 per mille abitanti del 1998, siamo arrivati al 3,2 attuali contro una media Ue vicina a 5.

NUMERO MEDICI ED INFERMIERI

Nello specifico i medici sono scesi dai 106,8 mila del 2007 ai 101,1 mila del 2017 (-5,7 mila) mentre gli infermieri sono passati dalle 264.177 unità del 2007 ai 253.430 del 2017.
In calo anche i medici del territorio. I medici di famiglia nel 2007 erano 46.961, dieci anni dopo 43.731 (-3.230, il 6,8%). I medici titolari di guardia medica erano 13.109 nel 2007 che sono scesi a 11.688 nel2017 (-1.421, il 10%). Si sono ridotti anche i pediatri (dai 7.657 del 2007 ai 7.590 del 2017).