QUATTRO NODI DA SCIOGLIERE

 

 

di  Renato Costanzo GattiSocialismo XXI Lazio |

 

Draghi si è divertito a far sfoderare ai partiti, sindacati e Confindustria le loro proposte in materia economica, fornendo loro l’occasione di gestire 8 miliardi da utilizzare per riformare un po’ il fisco. 8 miliardi su un gettito di 450 miliardi rappresentano l’1,8%, una cosa decisamente non determinante, un po’ come le monete (bollenti) che il marchese del Grillo gettava ai sottomessi.

Ci siamo quindi esercitati a proporre politiche redistributive: per i sindacati tutto ai lavoratori e pensionati, per Confindustria tutto a ridurre l’Irap e per Salvini tutto per la tassa piatta. Tutti a ridurre le imposte anche se allo scoperto, indifferenti al debito pubblico.

Preferirei esercitarmi, invece, su punti cruciali del sistema economico italiano, punti strutturali e, a mio modo di vedere, strategici per la nostra collocazione nella divisione internazionale del lavoro. Certamente l’occasione offerta dal Next Generation EU ci spinge a valutazioni di ampio respiro e a prospettive di largo orizzonte che richiedono una capacità progettuale che da anni il nostro paese non si dimostra in grado di fornire. Anche la pandemia ci offre l’occasione di riscontrare le deficienze del presente sollecitando lo spirito critico per affrontare il futuro.

L’energia

Siamo un paese trasformatore, manchiamo di materie prime e soprattutto manchiamo di fonti energetiche, ma soprattutto è l’intera comunità europea che vive una difficile situazione energetica; è bastato uno sternuto di Putin per farci capire quanto siamo deboli ed indifesi su questo fronte. L’unione europea riconosce questa debolezza come risulta dal seguente documento:

Tra le sfide cui si trova attualmente confrontata l’UE nel settore dell’energia figurano la crescente dipendenza dalle importazioni, la diversificazione limitata, i prezzi elevati e volatili dell’energia, l’aumento della domanda di energia a livello mondiale, i rischi per la sicurezza nei paesi di produzione e di transito, le crescenti minacce poste dai cambiamenti climatici, la decarbonizzazione, la lentezza dei progressi nel settore dell’efficienza energetica, le sfide poste dall’aumento della quota delle fonti energetiche rinnovabili, nonché la necessità di una maggiore trasparenza e di un’ulteriore integrazione e interconnessione dei mercati energetici. Il nucleo della politica energetica dell’UE è costituito da un’ampia gamma di misure volte a conseguire un mercato energetico integrato, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e la sostenibilità del settore energetico.

Su questo fronte sarebbe utile una riflessione sulle conseguenze dei due referendum (1987 e 2011) abrogativi di norme relative alla “produzione di energia elettrica nucleare”; infatti sarebbe il caso di interrogarci se quei referenda vietino la produzione di energia elettrica di origine nucleare ma non vietino la produzione di, ad esempio, energia termica nucleare (cioè io produco energia termica nucleare e la vendo ad una centrale vicina che trasforma l’energia termica in elettrica); ma ciò che è più preoccupante è  l’interrogativo se quella proibizione riguardi non solo l’energia nucleare da fissione, o riguardi anche quella da fusione. Come mia impressione è che la proibizione sia per l’energia nucleare derivata sia dalla fissione che dalla fusione. Il che sarebbe un disastro che ci condannerebbe a diventare un paese del quarto mondo. Non sarebbe il caso di pensarci prima?

Inoltre, occorre stare estremamente attenti alle infide profferte degli USA che vorrebbero, tramite la NATO, spingerci a sanzioni contro la Russia, con la conseguenza di compromettere le forniture di gas a tutta l’Europa.

L’innovazione

La produttività della nostra economia non cresce da venti anni mentre negli altri paesi europei, nello stesso periodo è cresciuta anche in misura significativa. Ad esempio, nel 2016, rispetto al 1995, la Germania è cresciuta di più del 30%, circa un 2% annuo, secondo i calcoli di un approfondito report della Banca d’Italia. Poi vi è la Francia, in cui è aumentata di circa l’1,8% annuo, la Spagna dello 0,5%, e infine l’Italia con solo un +0,3% ogni anno in media, con un progresso totale inferiore al 10% in 21 anni.

Vi è stata una grossa differenza tra la crescita della produttività delle aziende italiane del settore manifatturiero e di quelle dei servizi. Nel primo caso si sono visti molti più progressi, anche in Italia, che comunque rimane ultima. Nelle aziende manifatturiere la crescita è stata di più del 20% in 21 anni è in ogni caso inferiore a quella di circa il 90% della Francia, del 60% delle aziende tedesche, del quasi 50% di quelle spagnole. Nel settore dei servizi invece c’è addirittura un calo al di sotto i livelli del 1995

Secondo la Banca d’Italia uno dei problemi della scarsa produttività delle imprese italiane consiste nella ridotta dimensione delle nostre aziende. In tutta Europa,  Italia compresa, infatti, la produttività delle imprese con meno dipendenti è minore di quelle più grandi.
Le ragioni sono note, minore possibilità di fare investimenti in ricerca, maggiore vulnerabilità in caso di crisi, minore disponibilità di capitale umano specializzato e di alto valore, management infatti spesso proveniente dall’ambito familiare, minore possibilità di ottenere credito.
Il punto è che nel nostro Paese la proporzione di piccole o micro imprese è decisamente maggiore.

La politica italiana ha affrontato questo tema con gli incentivi Calenda che permettono di avere notevoli sconti fiscali per chi investe in nuove tecnologie; tali incentivi hanno erogato alle imprese innovatrici parecchi miliardi di € dal 2018 quando sono iniziati ed il PNRR prevede di erogarne altri 18 (compresi quelli derivanti dal fondo complementare).

Ma pare incredibile che le imprese non innovino pur sapendo che la mancata crescita della produttività le escluderà dai futuri mercati, e debba essere la comunità, riscontrando questa deficienza culturale di certa imprenditoria (o è colpa del capitale che nega fondi all’impresa per prediligere il capitalismo finanziario – vedasi al punto Target 2), a dover spingere verso l’innovazione addirittura regalando soldi alle imprese o meglio al capitale. Un genitore coerente se ha un figlio che non studia lo punisce, non gli regala soldi per spingerlo a fare il suo dovere. Noi invece, che abbiamo delegato al capitale la conduzione della produzione, invece di rimproverarli per la loro pessima conduzione (che è quella di contare ad essere competitivi col minor costo della mano d’opera) regaliamo soldi che sottraiamo ai contribuenti onesti (vedasi al punto Evasione e riscossione). Questo discorso non si applica a quelle, purtroppo poche imprese che innovano e che grazie a ciò ci permettono una bilancia commerciale positiva.

Evasione e riscossione

Se mi presentassero un paese nel quale l’evasione fiscale supera i 100 miliardi l’anno e ove il sistema di riscossione delle imposte nei venti anni del duemila è stato incapace di riscuotere e deve quindi cancellare come inesigibili più di mille miliardi di € di imposte dichiarate o accertate, direi che il maggiore sforzo programmatico deve essere rivolto a rendere efficace e funzionante un sistema fiscale decisamente fallimentare.                 

Su questo fronte, invece, il governo Draghi, coerentemente con gli altri governi che l’hanno preceduto, sembra piuttosto evanescente. Su questo fronte, sinora, abbiamo solo visto continue proroghe concesse a chi le sue imposte non le aveva tempestivamente pagate. Naturalmente non ci riferiamo al mondo del lavoro dipendente o ai pensionati che grazie ad un sistema efficiente non possono evadere imposte e le pagano prima ancora di percepire le loro spettanze; mi riferisco a quella massa di contribuenti diversi dal lavoro dipendente o dai pensionati che oltre ad essere l’area della maggior evasione, sono anche l’area della maggior insolvenza fiscale.

Se solo pensassi ad un sistema fiscale efficiente, dovrei concludere che non avrei alcun problema di deficit né di debito pubblico; con 100 miliardi di entrate in più all’anno potrei veramente abbassare la pressione fiscale, riscuotendo tutto l’insolvenza fiscale sanerei di colpo il debito pubblico.

Eppure, specialmente grazie alle proposte di Vincenzo Visco, mezzi per recuperare l’evasione esistono e quando adottati, vedasi la fatturazione elettronica, hanno funzionato e anche altri potrebbero funzionare, ma i governi sembrano timidi nel voler affrontare questo tema. Cosa c’è per esempio nella legge delega sulla riforma fiscale?

Ed anche sulla riscossione non sarebbe percorribile la mia proposta di incaricare le banche ad agire come sostituto d’imposta e operare una ritenuta su tutti i pagamenti di fatture fatti a favore di imprese come già funziona, ad esempio, per le parcelle dei professionisti?

Target 2

Questo indice riscontra i movimenti finanziari tra i paesi europei, ad esempio se io esporto beni verso l’Europa il Target 2 registrerà un credito verso la BCE, viceversa se un capitalista acquista titoli di stato di un altro paese europeo, il Target 2 registrerà un debito verso la BCE. A livello consolidato di BCE le posizioni a debito e a credito di tutti i paesi si compensano, ma i singoli paesi avranno dei saldi o a debito o a credito. Essendo l’Italia un paese esportatore grazie soprattutto a quelle imprese che hanno investito in innovazione, dovremmo aspettarci un saldo a credito che al contrario a metà 2020 ha registrato un nuovo record di passività. A giugno la Banca d’Italia ha calcolato un rosso da 536,722 miliardi di euro, in aumento dai 517,347 miliardi del mese precedente. Nel frattempo, il surplus della Germania in Target2 ha raggiunto un nuovo record a 995 miliardi di euro.     

Ciò significa che i flussi finanziari (tra essi anche quelli noti come fuga dei capitali) rovesciano il saldo attivo che dovremmo attenderci dalle nostre esportazioni. Quello della libera circolazione dei capitali è uno dei problemi di fondo che, al pari della fissità dei cambi tra paesi europei insita nella moneta unica, dovrebbe caratterizzare la politica strategica del nostro paese e che invece non mi appare tra i temi dei nostri governi.