RAFFAELE ROMANO: INTERVISTA ALDO POTENZA

di Raffele Romano – Nuovo Giornale Nazionale

Come mai in Italia non c’è traccia significativa di un partito socialista?

La scomparsa riguarda tutti i Partiti, nessuno escluso, del vecchio quadro politico della 1^ repubblica, anche se il PSI – in termini di quadri dirigenti – ha pagato il prezzo piu’ salato.

Potrei rispondere che in Europa non c’è una magistratura che, come ha sostenuto Palamara nel suo libro intervista, “può, con l’ausilio di un ufficiale di polizia e due giornalisti se d’accordo, distruggere qualsiasi cittadino”.

In Italia ha fatto molto di più ha contribuito a cancellare, al di là di responsabilità proprie di gruppi dirigenti, addirittura i partiti che hanno scritto ed approvato la Costituzione e hanno reso l’Italia un Paese più civile, piu’ sviluppato, piu’ moderno.

Alcuni settori della magistratura avevano l’ambizione di “rivoltare l’Italia come un calzino”. Tradotto significa aversi voluto sostituire alla politica dei partiti per via giudiziaria, ma, come si è visto ed era prevedibile, in tal modo si distrugge ciò che c’è, ma non si costruisce, anzi si aprono le porte a diverse avventure, non solo intrise di populismo ma anche di vocazioni autoritarie.

Il risultato è che sono scomparsi negli anni 90, uno dopo l’altro per vari e diversi motivi, il PCI, la DC, il PSI (con il PSDI), il PRI, il PLI e persino MSI che, seppur fuori dal “quadro costituzionale” avrebbe dovuto beneficiare di questa disavventura.

Non vi è dubbio che – prima ancora della vicenda “mani pulite” si era manifestata  una crisi di sistema in termini di assenza di  strategie di grande respiro  in tutti i partiti,  incapaci ad affrontare l’evoluzione dell’economia a livello globale, le difficoltà a competere – come sistema economico –  in questa nuova dimensione della globalizzazione dei mercati, le difficoltà di bilancio pubblico e la crisi del welfare non solo, quest’ultima, per i crescenti bisogni sociali ma anche per la sua sostenibilità.

La caduta del muro di Berlino aveva aperto la strada verso un profondo cambiamento delle condizioni in cui aveva vissuto il mondo fino ad allora ed in particolare l’Europa, ma ha trovato i Partiti impreparati o indisponibili a misurarsi con una nuova realtà attraverso un loro profondo rinnovamento, anche culturale oltre che comportamentale.  Una nuova realtà che poneva nuove condizioni e nuovi rapporti sociali e nuove aspettative emergenti dalle generazioni piu’ giovani.

In Europa aveva preso piede una crisi delle socialdemocrazie, anch’esse in ritardo nel capire il mondo che cambiava, paghe del fatto che negli anni post-bellici avevano costruito un modello sociale di mercato, esempio per tutto il mondo. Ma il mondo, anche nel modo di pensare nel frattempo era cambiato rispetto al dopoguerra. 

Ma, specialmente in Italia, la crisi del quadro politico si è manifestata piu’ evidente, piu’ pesante, ed in questa situazione determinati grandi interessi hanno creduto di risolvere la questione per via giudiziaria, puntando a soluzioni tecnocratiche a-democratiche. Il PCI pensava di giocare la sua “golden share” quale  più forte partito comunista d’occidente legato al mondo del lavoro, che già si era  trincerato in una ipocrita diversità, non puntando alla  ricerca del superamento delle divisioni del 1921, ma pensando di salvare se stesso dimenticando le origini e la sua cultura, ponendosi come garanzia di stabilità del nuovo sistema  e trasformandosi in un contenitore senza identità se non quella di puntare e stare al governo a qualsiasi costo e per qualsiasi orizzonte sociale del Paese. Quella parte del PCI/PDS che non è naufragata nella dispersione in diverse microformazioni nostalgiche ha concorso costituire quell’amalgama mal riuscito (il PD) che ha deluso, allontanandosi da essi, i ceti popolari e sociali di riferimento della vecchia sinistra.

I socialisti tentarono di percorrere la strada dell’unità a sinistra, non solo dopo l’89, ma anche molto prima senza trovare risposta.

Voglio ricordare che Craxi, nel 1981, nel tentativo di superare vecchie anacronistiche divisioni e di favorire una reale svolta politica del PCI, tramite Eugenio Scalfari, fece pervenire a Berlinguer un messaggio in cui si dichiarava pronto a rompere con la DC per formare un governo con i partiti laici se c’era l’appoggio esterno del PCI.

Ancora nel 1982, con il governo Spadolini, sostenne che “toccava ai comunisti muoversi nella direzione seguita dai socialisti” e nel 1983 al congresso del PCI rivolse il medesimo invito.

Infine promosse anche l’ingresso dei comunisti nell’internazionale socialista. Ma con il Congresso di Bari, Bettino Craxi – forse deluso dal mancato rinnovamento di indirizzo dei giovani successori di Berlinguer, forse anche stanco e malato, malgrado le  riserve di importanti compagni  dirigenti del Partito rilanciò la scelta della coalizione – ormai logorata – con una  DC che già aveva mostrato la sua crisi non riuscendo –  da partito di maggioranza relativa –  ad esprimere per ben due volte la guida del governo ed ancora un anno dopo, nel 1993,  una terza  volta con il governo Amato.

 Il PCI (ed il suo successore, come tale solo nominalmente, il PDS) ha preferito non fare i conti con la propria storia con il risultato di immergersi in una nuova realtà (con tutte le gravi contraddizioni prima descritte), una realtà   che è stata ben descritta da Barbara Spinelli nel suo bel libro “Il sonno della memoria”.

Nessuno in Europa ha avuto l’avventura di avere in casa un partito comunista così forte e così ostile ai socialisti ed al rinnovamento della sinistra.

Non trascurerei anche il diffondersi in Europa della cultura neoliberista che non riguardò solo la politica economica della Thatcher, fortemente avversata dai socialisti in Italia e da Craxi, basterebbe ricordare la forte resistenza contro le privatizzazioni che indebolivano l’economia italiana.

Sconfiggere i socialisti quindi era un disegno politico ed economico che coinvolgeva molti grossi interessi.

Così sono entrati in campo nuovi protagonisti che hanno creato contenitori senza identità rendendo più complessa la ricostruzione, su nuove basi, su idee moderne, con strategie convincenti di partiti forti e dotati di una matrice culturale, con capacità e competenze di governo adeguate al mondo in cambiamento.

Purtroppo questi nuovi contenitori, o meglio  comitati elettorali e di interessi personali o di gruppo o di casta, con un linguaggio populista e cavalcando la protesta ed il disagio sociale addossandone le colpe al c.d. malgoverno del  vecchio quadro politico, hanno costituito la  miscela esplosiva dell’antipolitica e dell’antipartitismo che ha finito per distruggere anche grandi e forti partiti come la DC e lo stesso PCI ma, causa una perversa  aggressione violenta  subita –  piu’ di tutti gli altri partiti –  dal PSI – fece pagare ai socialisti il prezzo piu’ duro, scompaginando il gruppo dirigente.

Oggi i sopravvissuti si sono in parte rifugiati con rancore in lidi politici lontani dal socialismo (persino con la destra) oppure vivono nella nostalgia di un passato che non tornerà più, o coltivano piccole rendite di posizione personali prive di uno sbocco politico generale, come coloro che in diverse esperienze di governo hanno anche ricoperto incarichi ministeriali o nelle istituzioni parlamentari.

Ciò che è rimasto con la sigla del PSI continua a perseguire la strada della sopravvivenza dimenticando che in politica o si riesce a ricostruire i legami con il proprio elettorato di riferimento ben sapendo che i suoi ceti sociali sono anch’essi in trasformazione, o si è destinati ad un inarrestabile declino.

Credo che si possa affermare che la sconfitta non è solo dei socialisti, ma anche dei democratici cristiani che per anni sono stati il partito-Stato,  e soprattutto  della sinistra in generale che si è dispersa in vari rivoli, una parte non insignificante  nel partito che maggiormente la vorrebbe rappresentare , il PD, in quella che con arguzia Nancy Fraser ha definito il neoliberismo progressista ovvero “un’alleanza tra le correnti mainstream dei nuovi movimenti sociali (il femminismo, l’antirazzismo, il multiculturalismo e i diritti Lgbtq” “In questa alleanza, le forze progressiste si uniscono concretamente alle forze del capitalismo cognitivo, soprattutto alla finanziarizzazione”. Salvo poi che il PD venga considerato un corpo estraneo dalla stragrande maggioranza degli aderenti che sono milioni (parlo degli associati non dei gruppi dirigenti di vertice) alla CGIL, CISL e UIL, cioè il movimento dei lavoratori e dei pensionati.

Primum vivere deinde philosofari?

Craxi quando fece questa affermazione viveva in un mondo politico molto diverso. La DC governava, il PCI era all’opposizione anche per ragioni internazionali, il PSI, anche se indebolito, aveva il 9,5% che a giudicare dalle percentuali odierne sarebbe un partito più forte di quello di Berlusconi, ma ciò che conta è che il PSI era indispensabile per garantire un governo all’Italia.

Oggi non esiste nessuna di queste condizioni.

Il primum vivere dei socialisti richiederebbe la presenza di un partito di una consistenza discreta, di una leadership autorevole. Non vedo né l’una né l’altra condizione.

Ad avviso di Socialismo XXI, che ricordo è una associazione, occorre costruire un partito di orientamento socialista attraverso una alleanza tra forze provenienti anche da esperienze politiche diverse, comprese le liste civiche che abbiano al centro della loro azione tematiche contigue ai nostri valori e idealità.

Il metodo è quello che fu seguito in Francia e che nel 1971 ad Epinay consenti di far rinascere il PSF dopo i disastri della Sfio.

Richiede tempo? Si, ma per ricostruire un partito, non un comitato elettorale, che sia affidabile e determinato a rilanciare la cultura di governo necessaria ad affrontare le grandi sfide della democrazia, del lavoro dello sviluppo economico e sociale, occorre un partito dotato di una forte identità politica e ideale, capace di memoria, ma fortemente determinato a disegnare nuovi orizzonti politici e programmatici per il futuro.

Per questo motivo Socialismo XXI è nato partendo dai programmi a Rimini, dove non si limitò a compiere una analisi politica delle ragioni del declino dell’Italia e della sinistra italiana, ma avanzò molte idee programmatiche che sono state e continuano ad essere aggiornate.

Quale risultato avete raggiunto per il superamento della diaspora?

Premetto che Socialismo XXI non ha mai considerato il superamento della diaspora sufficiente a ricostruire una autorevole presenza socialista in Italia. La stessa scelta simbolica della prima riunione a Livorno era il segno della volontà di guardare oltre i confini della diaspora.

Ciò premesso dopo aver coinvolto circa 17 associazioni e lo stesso PSI in un comitato che definimmo di unità socialista, dopo aver rivolto a tante singole personalità socialiste, Martelli compreso, l’invito a lavorare tutti assieme per superare vecchie divisioni, abbiamo preso atto di ciò che in precedenza ho scritto a proposito delle organizzazioni socialiste esistenti.

Socialismo XXI è e sarà sempre disponibile a lavorare per unire, ma il socialismo non può fermarsi davanti alla porta di chi non intende impegnarsi per la costruzione di un rinnovato partito di orientamento socialista.