PIANO ENERGETICO E BONUS

di Renato Costanzo GattiSocialismo XXI Lazio |

Premessa

Da “La democrazia dei Signori” di Luciano Canfora (pag. 60)

Viviamo in una “epoca nella quale il sintomo più vistoso ed eloquente dell’abbandono di ogni ancoraggio di classe da parte della ex sinistra è la sostituzione, che essa ha compiuto, di un concetto geografico (europeismo) a quello politico e di schieramento”

Il piano energetico nazionale

“L’Italia ha visto il suo primo Piano Energetico Nazionale nel 1975, redatto nel clima di emergenza che regnava a causa della prima grande crisi petrolifera. Gli obiettivi, scontati, erano quelli di sostituire il petrolio disegnando uno scenario energetico futuro basato sul nucleare. (…). Si giustificava così la scelta di Enel di arrivare a costruire ben 62 centrali atomiche entro la fine secolo.

Il Piano Energetico Nazionale subì due revisioni, (…) fino a quando il referendum abrogativo sul nucleare del 1987 sancì l’abbandono di questa tecnologia per la produzione di energia elettrica. Il Piano emanato in campo energetico in Italia nel 1988 non è minimamente adeguato a rispondere ai problemi e alle sfide di oggi, non è neppure un piano vero e proprio di ordine organico, perché delega molte cose alle Regioni, eludendo una linea d’indirizzo unitaria su molti temi. (…). Purtroppo (per anni) il nostro esecutivo ha rimandato continuamente la produzione di questo importantissimo e strategico documento che, se ben fatto, getta le condizioni per la ripresa economica e sociale del paese.” (Enrico Pietrella L’inkiesta).

Nel corso del 2020 il Ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato il testo Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, predisposto con il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che recepisce le novità contenute nel Decreto Legge sul Clima nonché quelle sugli investimenti per il Green New Deal previste nella Legge di Bilancio 2020.

Con il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima vengono stabiliti gli obiettivi nazionali al 2030 sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2, nonché gli obiettivi in tema di sicurezza energetica, interconnessioni, mercato unico dell’energia e competitività, sviluppo e mobilità sostenibile, delineando per ciascuno di essi le misure che saranno attuate per assicurarne il raggiungimento.

L’attuazione del Piano sarà assicurata dai decreti legislativi di recepimento delle direttive europee in materia di efficienza energetica, di fonti rinnovabili e di mercati dell’elettricità e del gas, che saranno emanati nel corso del 2020.

E’ di tutta evidenza la differenza di approccio del Piano Energetico Nazionale (PEN) del 1975 e quello del 2020. L’approccio del piano 1975 parte da una emergenza (la crisi petrolifera) e chiude con il progetto di costruzione di ben 62 centrali atomiche entro la fine secolo.

Nel 1999 il secolo è finito e non si è costruita nessuna centrale, anzi si sono chiuse le cinque esistenti ed in funzione, in compenso il governo Prodi privatizza l’Enel e getta il piano energetico in mano agli animal spirits del capitalismo.

Il ministro Bersani in una intervista a Repubblica nell’ottobre del 1999, faceva rilevare che “l’anno scorso quando indicai il ’99 come data dell’avvio della privatizzazione c’era chi faceva dei risolini: chi parla di timidezza consideri cosa è successo dal primo aprile ad oggi. Innanzitutto a giudizio di Bruxelles e della stampa internazionale l’Italia, tra i Paesi europei, è quello che dalle condizioni di partenza ha fatto il passo più lungo verso la liberalizzazione; inoltre molti leggono la riforma come una fotografia, invece presenta meccanismi dinamici che, obbligando l’Enel a disfarsi di alcune centrali e di parte della rete distributiva, hanno di fatto costretto l’azienda a predisporre un piano industriale che, a sua volta, ha accelerato il programma di privatizzazione. Senza contare come, sempre la legge di riforma, lasci al ministero dell’Industria ampia facoltà di aumentare la quota di mercato liberalizzato”.

Il secolo è finito da più di venti anni e dopo l’inqualificabile invasione dell’Ucraina ricadiamo in un’altra catastrofica crisi nelle condizioni di chi si è reso dipendente dalla Russia per circa il 40% dei suoi fabbisogni. Facciamo piani da sottomettere alla Commissione europea in attuazione del Regolamento (UE) 2018/1999, completando così il percorso avviato nel dicembre 2018, ma mentre prima si trattava di una pianificazione che poteva disporre di un Ente pubblico come l’Enel che poteva procedere con scelte “science based” oggi produciamo documenti “europeisti” senza aver a disposizione un attuatore che operi di conseguenza.

E’ questo forse il succo di quell’”europeismo” nuovo campo di battaglia della sedicente sinistra odierna?

La politica dei bonus

Ricavo dal google l’elenco dei bonus 2022:

Ecobonus e incentivi auto, bonus casa, superbonus 110%, sisma bonus, bonus ristrutturazioni, bonus condizionatori, bonus verde, bonus restauro, bonus idrico, bonus mobili, bonus acqua potabile, bonus prima casa under 36, bonus affitto giovani under 31, bonus facciate, bonus tv, bonus decoder, bonus cultura, bonus sociale elettrico, bonus gas, bonus pos, bonus bancomat, bonus asili nido, contratto di rioccupazione, bonus lavoro giovani under 36, agevolazione assunzioni over 50, bonus decontribuzione sud, agevolazione per assunzione donne, reddito di cittadinanza, bonus fiscale 4.0, legge Sabbatini, fondo impresa donna, resto al sud, nuove imprese a tasso zero, bonus idrico, bonus latte artificiale, bonus figli disabili. Il nuovo regime degli assegni familiari ha sostituito i precedenti bonus bebè, bonus assegno temporaneo figli minori, bonus mamma domani, bonus cicogna, bonus genitori separati o divorziati. Sono scaduti al 31/12/2021 e quindi cancellati nel 2022 i seguenti bonus: bonus affitto, bonus affitti covid, bonus anziani, bonus baby sitter, bonus monopattini e biciclette, bonus seggiolini, bonus matrimonio, bonus sanificazione, bonus occhiali e lenti a contatto, bonus centro storico, bonus vacanze.

La politica dei bonus è la negazione di una politica programmatoria di lunga prospettiva, l’esaltazione dell’occasionalità e la negazione della razionalità, frutto spesso di bandierine che i partiti sventolano in una campagna elettorale ridotta a befana portatrice di doni. Anche qui la logica “europeista” di un malinteso primato dell’economia di mercato permea l’operato del legislatore.

Due bonus sono, a mio parere, esemplari della cultura politica odierna.

Il bonus 4.0

Il nostro sistema produttivo è in ritardo nell’innovazione che migliora la produttività del lavoro e la competitività delle imprese. Abbiamo affidato all’iniziativa privata (anche con le privatizzazioni) la egemonia nelle scelte di investimento e programmi di produzione. Ci si aspettava che gli animal spirits del capitalismo fossero capaci di innovare il sistema produttivo, invece, siamo agli ultimi posti in questo campo, come documentato dall’indice DESI (digital economy and society index). Alcune, ma purtroppo poche, imprese si sono innovate e permettono ancora di poter portare in attivo la nostra bilancia commerciale (anche grazie al “mercantilismo povero” delle numerose imprese che basano la loro competitività all’estero, sul basso costo della mano d’opera), ma la stragrande maggioranza delle imprese è in notevole ritardo nella innovazione, digitalizzazione e robotizzazione.

Ebbene, invece di modificare il modo di produzione, di mettere sotto accusa l’incapacità gestionale che sta condannando alla marginalizzazione di questo modello ignave, regaliamo sussidi fiscali a chi, spinto dal beneficio, si decide ad avviarsi sulla strada dell’innovazione. Ma i bonus 4.0 non sono guidati da una scelta “science based”, non c’è una visione di largo respiro che accompagni l’innovazione che tra l’altro è spesso fatta in modo parziale, non organica e sostitutiva di macchinari dismessi.

Il superbonus 110%

Buona parte dei consumi energetici sono generati dalle dispersioni di calore dovute alle tecniche costruttive delle nostre abitazioni. Così, per abbattere il consumo di combustibili ed aumentare l’efficacia termica delle case il superbonus riconosce un credito di imposta pari al 110% del costo di interventi effettuati scelti tra quelli “trainanti” (cappotti termici, fotovoltaico, bruciatori etc.) e quelli “trainati” (finestre, infissi et.).

Il provvedimento ha avuto un grosso consenso; sono nate molte (precarie) imprese edilizie, sono stati assunti numerosi dipendenti (spesso senza alcuna professionalità ma molta precarietà), si è rilanciata l’attività edilizia, i ponteggi non si trovano più, i prezzi dei materiali sono schizzati, paesi interi hanno aderito all’iniziativa, si sono realizzate molte truffe.

L’Enea stima che la somma degli interventi che possono essere detratti tramite questa iniziativa si aggira attorno a 18,3 miliardi di euro secondo i dati del 31 gennaio. Al momento si stima che siano stati messi in gioco 12,74 miliardi e che ci saranno delle fuoriuscite totali di 20,17 miliardi a carico dello Stato. La misura però in origine mirava a riqualificare i condomini più che le singole abitazioni. Secondo Enea, infatti queste infatti già godevano di appositi benefici che portavano a delle detrazioni. Infatti, gli edifici ad uso unifamiliare hanno occupato il 52,4% del totale e le unità invece indipendenti il 32,4%. Quindi la maggior parte del potere economico del Superbonus non è giunta correttamente a destinazione.

Si sostiene che il superbonus abbia rilanciato l’edilizia permettendo l’assunzione di molti dipendenti e avendo riflessi positivi sul PIL. Ora mi chiedo che tipo di rilancio sia quello derivante dal fatto che lo stato regala al consumatore più dei soldi che spende; inoltre va considerato che le assunzioni sono per la più gran parte a tempo determinato e che spariranno appena finita la domanda drogata, nel frattempo si sono generate spinte inflattive di preoccupante entità. Gli effetti positivi sull’efficienza energetica sono tutti da verificare.

Ma l’effetto più sottaciuto è l’effetto redistributivo di questa operazione, ovvero godono benefici i cittadini che fanno i lavori gratis, lavorano e producono utili le imprese attuatrici ma alla fine, negli anni futuri i minori gettiti fiscali, conseguenza della messa all’incasso dei crediti d’imposta maturati, ricadranno sui contribuenti e conseguentemente sulla asimmetrica distribuzione del carico fiscale che colpisce in modo preponderante il lavoro dipendente e i pensionati.