di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |
Avevamo pensato che ormai fosse un argomento superato, e improvvisamente eccola qua. Eppure, per anni era stata un incubo, viaggiava a due cifre sfiorava il 20%, scatenò la cancellazione della scala mobile, una vana rincorsa tra aumento dei prezzi ed aumento dei salari. Da qualche anno, invece, la Banca Centrale Europea faceva fatica a realizzare l’obiettivo di una inflazione al 2%, obiettivo ottimale nella sua funzione di custode della stabilità dei prezzi.
L’inflazione misura lo scostamento fra quantità di moneta e i corrispondenti valori reali. Il valore di una moneta è il rapporto tra la quantità di moneta emessa e la quantità di beni prodotti. L’inflazione misura allora il mutamento del rapporto tra quantità della moneta e quantità della produzione. Immaginiamo che un paese abbia stampato 1.000.000 di pezzi e il grano prodotto sia 1.000.000 di kili, allora un kilo di grano varrebbe 1 pezzo, ma se la moneta stampata fosse di 1.200.000 pezzi allora un kilo di grano varrebbe 1.2 pezzi e l’inflazione sarebbe del 20%.
Ma, complicando il semplicismo del paragrafo precedente, l’inflazione dipende da una pluralità di agenti: essa dipende dalla quantità di moneta in circolazione (e qui è lo stato ad essere attore come stampatore di soldi e come assorbitore di moneta tramite le imposte e l’emissione (o riscatto) di titoli di stato; dalla capacità produttiva dei beni che determina la quantità di beni prodotti (e qui è l’impresa ad essere attore); dalla forza contrattuale (sindacale) del mondo del lavoro che si riflette sul costo dei prodotti; dalle fughe (rientri) di capitali che modificano (come il risparmio) la quantità di moneta in circolazione. Tutti questi attori concorrono a determinare il valore della moneta operando sul rapporto quantità di moneta e quantità di prodotto. Se ne deduce che essendo plurali gli attori che operano sull’inflazione, essa sarà determinata da diverse situazioni e cause anche se l’effetto può essere lo stesso.
Vediamo il primo caso: lo stato a causa di eventi straordinari (guerre, pandemie, politiche espansive, etc.) stampa denaro ma la quantità di beni prodotti rimane la stessa o aumenta meno della quantità di soldi stampati. E’ il caso recente degli Stati Uniti dove prima Trump (3.500 miliardi di $) e poi Biden (1.400 miliardi di $) hanno immesso sul mercato quasi 5.000 miliardi di dollari che hanno infiammato la domanda di beni ben al di là di quanto questi potessero essere prodotti, causando una inflazione vicina al 10%.
Secondo caso: l’economia corre e l’occupazione aumenta, aumenta la domanda e quindi aumenta la produzione ma ad un certo punto c’è la piena occupazione di anche uno solo dei fattori della produzione (ad esempio piena occupazione della mano d’opera) i sindacati rivendicano maggiori salari che creano ulteriore domanda che però, essendosi raggiunta la piena occupazione, non può essere soddisfatta con maggiori beni prodotti, ma determina un aumento dei prezzi e di conseguenza aumenta l’inflazione.
Terzo caso: grazie allo sviluppo tecnologico (meccanizzazione, robotizzazione) aumenta la capacità produttiva dell’impresa, cioè con le stesse ore di lavoro si producono più beni. In tal caso mutano i rapporti tra quantità prodotte e quantità di massa monetaria.
Quarto caso: la produzione di beni viene effettuata mediante l’importazione di materie prime e/o energia che per cause diverse aumentano di prezzo. Conseguentemente servono più soldi per produrre le stesse cose che si producevano prima; il fattore scatenante l’inflazione è esogeno, deriva cioè da cause esterne alle competenze dei soggetti che abbiamo prima elencati.
Quinto caso: un paese aumenta per qualsivoglia ragione il costo del denaro aumentando i tassi di interesse; i capitali attratti dal maggior interesse offerto tendono a lasciare il paese per godere della maggior retribuzione in interessi. La banca centrale allora aumenta pure essa i tassi di interesse per trattenere i capitali in fuga. Aumenta allora il costo del denaro generando da una parte l’aumento dei costi di produzione (inflazione) dall’altra facendo scendere la produzione di beni e i nuovi investimenti. Si combinano in tal modo inflazione e stagnazione (stagflazione) prima e calo della produzione poi (recessione).
Naturalmente questi cinque casi che ho presentato non esauriscono le cause di disallineamento tra quantità di moneta e quantità di beni prodotti e quindi di aumento o diminuzione dell’inflazione. Ma l’aver elencato questi cinque casi significa evidenziare che le cause dell’inflazione sono differenziate e che la soluzione non può essere univoca: a cause diverse della malattia (l’inflazione) devono corrispondere prescrizioni di guarigione diverse.
Se cioè gli Usa hanno una inflazione esaminata al primo caso, pare adeguata l’azione che segue i seguenti passaggi: aumento del tasso di sconto, le imprese trovano più costoso indebitarsi per nuovi investimenti, diminuiscono così gli investimenti e si raffredda l’economia, diminuisce la produzione e di conseguenza la richiesta di occupazione, diminuisce l’occupazione e quindi il potere dei sindacati, calano gli occupati e il livello dei salari, diminuiscono i salari e quindi i soldi disponibili per l’acquisto di nuovi beni, cala la domanda e si raggiunge un equilibrio non inflazionistico avendo raffreddato la spinta inflattiva dei salari attraverso la loro regolazione. Si è attuata la politica classica del neo-liberismo denominata NAIRU (not-accelerating inflation rate of unimployment ovvero governare il livello di disoccupazione naturale compatibile con un andamento non inflattivo dell’economia). In termini sintetici si penalizzano i salari in modo da diminuire l’eccesso di domanda rispetto alla produzione reale dei beni. Notare che in questo approccio l’obiettivo non è la piena occupazione ma il controllo dell’inflazione usando come regolatore il “naturale” tasso di disoccupazione. Per Keynes, al contrario, l’obiettivo era la massima occupazione.
Nel terzo caso lo sbocco consiste allora o in un aumento dei salari in modo che le maggiori quantità prodotte siano acquistate e non rimangano invendute (golden rule per cui i salari debbono aumentare con lo stesso tasso di incremento della produttività) oppure, secondo sbocco, le maggiori quantità prodotte vengono esportate e l’introito di moneta estera pareggia l’aumento della produzione (mercantilismo).
Il quarto caso è quello dell’inflazione esogena, importata dall’estero e per la quale la banca centrale nulla può fare, essendo inefficace l’aumento del tasso di interesse, che, anzi, potrebbe peggiorare probabilmente la situazione spingendo verso la recessione. Ma la BCE ha deciso comunque di alzare il tasso di interesse. Le spiegazioni sono due: o la BCE pensa (come peraltro lo pensa Tremonti) che l’inflazione derivi, oltre che dall’elemento esogeno, dai quantitative easings di Draghi, facendo riaffiorare la filosofia dell’austerità, oppure l’aumento del tasso è reso necessario per frenare una possibile fuga di capitali laddove essi siano meglio remunerati (USA).
Di fronte alla situazione attuale sarebbe auspicabile che tutti gli agenti che operano sul tasso di inflazione coordinassero i loro comportamenti avendo come obiettivo una “inflazione programmata” capace di assorbire l’effetto dell’agente esogeno senza esasperare il conflitto tra parti avverse ma puntando ad una gestione scientifica della situazione.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.