LA MISURAZIONE DELLA DISUGUAGLIANZA


di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

L’altro giorno, al festival dell’economia di Trento, è intervenuto il Nobel dell’economia Josef Stiglitz che ha detto:

Le disuguaglianze crescono invece di diminuire e ora un nuovo pericolo, quello rappresentato dalla concentrazione dell’economia ad alta tecnologia. Un monito sugli sviluppi dei social concentrati nelle mani di pochi.”

Due sono i punti evidenziati da Stiglitz: l’aumento delle disuguaglianze e la concentrazione selle alte tecnologie. Per il primo tema abbiamo, per fortuna, un metro ovvero l’indice di Gini e la curva di Lorenz.

La misura delle disuguaglianze

L’ondata neo-liberista iniziata negli anni ’80 si fondava sulla teoria del trickle-down ovvero lo sviluppo economico dei più forti, dei più capaci, riesce comunque a sgocciolare qualche conforto a favore dei ceti meno abbienti che godranno comunque di un loro arricchimento. Oggi la teoria del trickle-down è normalmente associata alla reaganomics e al liberismo laissez-faire più integrale, nonché al cliché marginalista della supply-side economics, molto in voga negli anni ottanta proprio ai tempi delle politiche di riduzione della tassazione e di privatizzazione dei settori pubblici dell’economia attuate dall’amministrazione Reagan. Legata allo sviluppo trickle-down è anche la curva di Kuznets, una ipotesi di sviluppo industrialista che associa l’idea di crescita economica, nella fase del suo massimo dispiegamento, a un allargamento dei benefici all’intero corpo sociale (alle élite imprenditoriali come alle classi povere). (da wikipedia)

Il risultato di questa scelta economica la si può misurare, oggi, utilizzando l’indice Gini e l’associata curva di Lorenz che descriviamo velocemente di seguito:

Il coefficiente di Gini fu introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini; il suo funzionamento si basa su una “trasformazione matematica” delle differenze dei redditi di tutti i cittadini; varia tra 0 e 1, il che significa che a valori bassi si ha una buona equi-distribuzione, con valore uguale a 0 si ha una perfetta distribuzione del reddito, mentre a valori alti corrisponde una forte diseguaglianza – dove 1 è il valore massimo.

Figura 1. Curva di Lorenz

Fonte. www.treccani.it

Va detto che l’indice Gini viene calcolato come il rapporto tra l’area compresa tra la retta a 45° di equi-distribuzione per la quale l’indice Gini è uguale a 0 e la curva della distribuzione più disuguale, per cui un solo individuo possiede tutto il reddito (o la ricchezza) per il quale l’indice Gini è uguale a 1.

Le distribuzioni effettive delle varie situazioni esaminate , nei confronti nello spazio e nel tempo,  si collocano tra questi due limiti e la misura dell’area A nel grafico seguente, è la misura della disuguaglianza.

La  retta a 45° indica una distribuzione perfettamente ugualitaria, ogni punto della curva di Lorenz indica la percentuale di reddito (indicata dall’asse verticale) percepita da una percentuale di famiglie (indicata dall’asse orizzontale), mentre lo scarto della curva dalla retta – ovvero l’area OAB – costituisce la misura del grado di diseguaglianza nella distribuzione del reddito, il valore del coefficiente di Gini.

La curva di Lorenz descrive, quindi, la distribuzione effettiva del reddito e quanto è più ampia l’area tra la retta e la curva, maggiore sarà la distanza della distribuzione effettiva dalla perfetta uniformità.

L’andamento della disuguaglianza

Traggo da Eticaeconomia un articolo di Giovanni Gallo, il cui titolo è “La dinamica della disuguaglianza dagli anni ’80 ad oggi”  che con l’ausilio dei dati del World Inequality Database (WID) fornisce alcune evidenze dinamiche della disuguaglianza dei redditi in Italia e in altri paesi quali Francia, Svezia, Regno Unito, Cina ed USA.

La Figura 1 mostra che in tutti i paesi considerati tra il 1980 e il 2016 la quota del reddito totale detenuta dal top 1% è in crescita mentre, all’opposto, quella detenuta dal 50% più povero della popolazione è in costante calo. Solo in Francia e nel Regno Unito la quota di reddito concentrata nelle mani del 50% più povero ha smesso di diminuire dagli anni 2000, così come nello stesso periodo appare più stazionaria la quota detenuta dal top 1% in Italia e in Francia.

Figura 1. Quote del reddito totale detenute dal top 1% e dal 50% più povero per Paese e anno

Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati del World Inequality Database.

Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati del World Inequality Database.

È interessante notare, comunque, come la Cina sia passata, in circa 30 anni, dall’avere un livello di disuguaglianza nei redditi in linea con quello dei paesi europei a presentare quote di reddito nei due estremi della distribuzione sempre più simili agli USA, soprattutto per quanto riguarda quella detenuta dal 50% più povero.

Guardando l’intera distribuzione del reddito, con specifico riferimento all’Italia, possiamo notare come nel 1980 il 10% più ricco della popolazione italiana deteneva il 23% del reddito totale, mentre nel 50% più povero era concentrato il 30% del reddito. Da allora il divario tra poveri e ricchi in Italia ha subito un significativo inasprimento, tanto che nel 2016 il 10% più ricco deteneva il 29% del reddito totale e il 50% più povero il 24%.

Pare quindi inequivocabile che la teoria del trickle-down comporta una crescente disuguaglianza nelle classi sociali, e pare necessario far rilevare come la proposta di Calenda nata con i sussidi 4.0 e che ora si vorrebbe essere adottata nella distribuzione alle imprese dei fondi del PNRR che lo stato sarebbe incapace di utilizzare, altro non è che l’esasperazione della fallimentare teoria del trickle-down. Con ciò non voglio negare che i fondi se investiti nella produzione come investimenti produttivi siano una giusta politica specialmente per un paese come il nostro che è maglia nera sul fronte della produttività, voglio solo chiedermi perché quei fondi debbano essere regalati al capitale e non essere dati alle imprese come forma di partecipazione azionaria o societaria della collettività.

Ogni investitore fornisce capitali in cambio di partecipazioni azionarie o societarie, non si capisce perché i fondi del PNRR che la collettività dovrà restituire all’Europa, debbano invece essere intestati, col meccanismo Calenda, al capitale.

Questo aspetto riguarda la seconda parte del discorso di Stiglitz sulla concentrazione delle alte tecnologie, e non penso tanto ai social, quanto all’I.A. e ai computer quantistici. Tutto spinge ad un ampliamento dell’azione dello stato (o meglio dell’Europa) per tendere ad una economia più moderna (non si sopravvive con l’indice della crescita della produttività a zero) ma anche più democratica nel senso che i sacrifici vanno equamente distribuiti così come i conseguenti redditi, ma soprattutto nel senso che le scelte del cosa produrre (burro o cannoni, ospedali o portaerei) non siano affidate ad un elemento selvaggio come il profitto ma alla razionalità della collettività.