di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

Se c’è un elemento culturale sul quale l’egemonia berlusconiana ha decisamente stravinto
sgominando ogni diversa visione è l’approccio alla fiscalità. Lo slogan “meno tasse per tutti” viene
sbandierato da tutte le parti politiche e rimane un approccio al tema condiviso da tutti senza differenza di
classe o di livello intellettuale.

Ultimamente poi, le parole della nostra presidente del consiglio, con la sua definizione di “pizzo di
stato”, seguita dal ministro della giustizia sull’impossibilità di un imprenditore di essere in regola con le
leggi fiscali, hanno portato la discussione a livello di battute da avanspettacolo fatte solo per strappare
l’applauso e possibilmente anche il voto di chi ancora non li appoggia. Non si punta a denunciare aspetti
errati della legislazione per controproporre proposte di soluzione al problema, si punta invece a sollevare
non solo un atteggiamento di protesta e di autocommiserazione in chi sa di evadere le imposte e cerca una
approvazione al suo comportamento, ma anche di solleticare l’idea di un possibile e legittimo minor rigore
negli adempimenti fiscali.

Come documentato dall’agenzia delle entrate, rapportando il valore del gettito con il valore
potenziale, si rileva che l’evasione più alta riguarda l’Irpef del lavoro autonomo e d’impresa, dove il 68,3 per
cento delle tasse dovute non viene pagato. Al contrario la propensione all’evasione del lavoro dipendente è
del 2.8 per cento. La propensione all’evasione dell’Ires è del 23.1 per cento e quella dell’iva del 20.3 per
cento e quella dell’Irap del 18.2 per cento.
C’è da chiedersi allora che senso abbiano le parole della presidente del consiglio quando afferma
che la grande evasione riguarda le banche e le big companies. Fa impressione veder accusate le banche
senza una motivazione dimostrata e fa impressione pure il silenzio del governatore della Banca d’Italia. Per
quel che riguarda le big companies può essere vero che esse hanno trovato il sistema (grazie all’Irlanda) di
pagare pochissime imposte, ma qui non si tratta di evasione, ma di un mancato adeguamento dei
presupposti fiscali alle nuove realtà imprenditoriali. Infatti le imprese del web non sono tassabili perché
non hanno una stabile organizzazione nel nostro paese, e ciò rende legalmente intassabili i profitti generati
nel nostro paese.

Quindi non è evasione, ma carenza legislativa cui dovrebbe pensare proprio il governo.
(Esiste ora una norma, credo europea, che stabilisce un criterio fiscale per correggere questa anomalia).
Ma questa cultura anti-imposte tace sul fatto che meno tasse significa meno servizi collettivi che lo
stato può erogare, e i primi servizi che vengono tagliati sono quelli del welfare, quelli sanitari. Sono stati
tagliati i redditi di cittadinanza, si finanzia sempre meno la sanità. Diminuendo le imposte il cittadino sarà
costretto a pagare direttamente la sanità privata o forse più probabilmente ad accendere polizze
assicurative scimiottando il sistema statunitense.

Quando Padoa Schioppa affermava che le tasse sono una cosa bellissima, evidenziava il fatto che
con le imposte si finanziano progetti o servizi che da soli non saremmo in grado di fare o realizzare, Si dà
cioè prevalenza all’iniziativa sociale per realizzare ciò che il singolo cittadino o l’iniziativa privata non è in
grado di realizzare. Quante pagine ha scritto Mariana Mazzucato sul ruolo fondamentale dello stato e del
suo intervento per affrontare i problemi dell’economia odierna, laddove primeggia la necessità di
investimenti in ricerca di notevoli dimensioni e con un ritorno, oltre che incerto, con tempi impossibili per
lo shortismo privato. Facciamo un computer quantistico! E’ un progetto che si possono permettere solo gli
stati e le multinazionali con bilanci pari a quelli di alcuni stati; da noi, io penserei ad un progetto europeo.
Ma come non vedere che per la fabbrica della STelectronics di Catania lo stato regala, con aiuti di stato consentiti dalla commissione europea, ben 300 milioni di €, e che la Germania ne regala ben un miliardo
per uno stabilimento Intel?

Ma quei fondi provengono dalla comunità, sono soldi delle tasse dei lavoratori e pensionati per la
più gran parte, e non si capisce perché, invece di essere regalati non siano erogati sotto forma di capitale
azionario o societario, come il buon senso suggerirebbe. Ma il buon senso cozza con l’eredità culturale del
berlusconismo, e nessun partito ha mai sollevato questa riflessione le cui conseguenze sono alla base di una
politica che si confronti con l’economia della robotistica e dell’intelligenza artificiale.

Ma secondo questo governo le imposte sono solo una vessazione, un pizzo di stato denunciando
una arretratezza culturale purtroppo ben radicata nel senso comune del nostro paese. Non accuso questo
governo di fascismo, ma rivendico l’ambizione di poter contribuire alla formazione di un modello culturale
egemonico capace di portare alla guida del paese la razionalità illuminista rappresentata dal socialismo.