di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

Rileggendo i testi di Mariana Mazzucato, nella mia vacanza sul lago di Como, ho scoperto che la mia ormai routinaria proposta per cui i sussidi a fondo perduto erogati alle imprese dovrebbero invece essere erogati a fronte di partecipazioni azionarie nelle imprese beneficiate da intestare ad un “Fondo contribuenti”, era già stata avanzata dall’economista docente di Economia dell’innovazione e del valore pubblico presso l’University College di Londra.

La mia proposta è basata sulla semplice considerazione che i sussidi erogati alle imprese altro non sono che una forma di finanziamento simile a quello che fanno i privati quando aumentano il capitale sociale di una impresa per rafforzarla e/o per darle la possibilità di iniziare nuove attività. L’aumento del capitale sociale comporta l’emissione di azioni, la partecipazione alle assemblee societarie con un voto che, avendone i numeri, può portare all’elezione di consiglieri di amministrazione. Cosa abbiano di diverso, i fondi erogati dallo stato dai finanziamenti fatti dai privati, non riesco a capirlo. Non riesco a capire perché i sussidi erogati non siano trattati come un qualsiasi aumento di capitale con contestuale emissione di azioni, perché questi sussidi non godano degli stessi diritti di cui godono gli investimenti privati in termini di dividendi, partecipazione agli utili e alle decisioni societarie. Si attuerebbe, con la mia proposta, una partecipazione alla gestione delle imprese, in grado di orientare le decisioni aziendale sia per quanto riguarda il berlingueriano “cosa e come produrre”, sia per quel che riguarda le delocalizzazioni che l’innovazione tecnologica.

Ma c’è di più. I sussidi a fondo perduto, nel meccanismo attuale, non vanno ad aumentare il capitale sociale ma vanno a costituire una componente positiva di reddito intassata. Ciò aumenta l’utile societario distribuibile e quindi può essere attribuito, con la distribuzione dei dividendi, ai capitalisti cancellando quindi il rafforzamento finanziario dell’impresa; tenendo conto poi che i sussidi sono finanziati dai contribuenti, si registra alla fine un trasferimento netto dai contribuenti ai capitalisti. Se invece si adottasse la mia proposta le azioni andrebbero intestate ad un Fondo contribuenti, ovvero ai veri finanziatori.

Tengo molto al concetto di un Fondo contribuenti, perché esso deve essere gestito dai contribuenti e non dallo stato (ovvero dal governo) che, a seconda delle maggioranze politiche, potrebbe avere finalità diverse da quelle dei contribuenti. Naturalmente l’organismo gestionale del Fondo deve rappresentare la composizione dei contribuenti; come prima proposta il consiglio di amministrazione potrebbe rispecchiare la rappresentanza di ciascuna natura di contribuenti in proporzione al gettito fiscale di ciascun aggregato: lavoratori e pensionati, lavoratori autonomi, imprese, renditieri.

Ma veniamo alle pagine che Mariana Mazzucato ha scritto nel suo volume “Missione economia” con l’avvertenza che la Mazzucato scrive avendo in mente quello “stato innovatore” che non è presente nella realtà attuale in quanto la filosofia oggi dominante vede lo stato come solo rimedio ai fallimenti dei mercati, cui è proibito qualsiasi intervento che condizioni le scelte del capitale.

Se gli organismi pubblici devono assorbire alti rischi tecnologici e di mercato, è lecito aspettarsi che i frutti di una finanza pubblica efficiente vengano messi al servizio dei contribuenti e forniscano una base logica per la socializzazione dei benefici finanziari ottenuti.

Si può procedere al riguardo in vari modi. Uno è quello di farlo direttamente attraverso un fondo patrimoniale pubblico, costituito dai rendimenti dell’attività finanziata dallo Stato o dalla partecipazione azionaria in società che beneficiano di investimenti pubblici. I rendimenti di tali attività possono essere distribuiti attraverso un dividendo di cittadinanza”.