di Davide Passamonti |
Oggi si sente spesso dire: “C’è un vento di destra nel paese“; e aggiungo in Europa e in occidente. Lo affermano sia la gente comune sia la classe politica critici verso i partiti di destra. Ma non è, forse, una lettura troppo scontata? Non è che manca un contrastante “vento di sinistra”?
Preso atto che sì, la destra ha vinto le ultime elezioni (in Italia) e ha una forte presa sull’elettorato in tutti i paesi occidentali. E’ altrettanto vero, però, che manca completamente una visione chiara di cosa sia la sinistra oggi. Per quanto riguarda l’Italia, va constatato che i due principali partiti di “centrosinistra” – Partito Democratico e Movimento 5 Stelle – non sono riusciti mai a qualificarsi in modo efficace e permanente con le qualifiche di partiti: autonomi, responsabili e autorevoli. Le infinite contraddizioni interne ai due partiti e la mancanza di programmi politici di lungo respiro, cioè di quelle “visioni del mondo” chiare e definite, hanno pesato notevolmente sui risultati elettorali e hanno evidenziato tutti i limiti delle precedenti esperienze di governo.
Ho indicato spesso «il rimedio nella programmazione come metodo di governo»[1]. La critica per il caos politico “a sinistra” va, quindi, impostata principalmente nella totale mancanza di conoscenza sulla “politica di programma” come assunto valoriale di rifermento per un “impegno socialista” e “un partito di governo”.
Va chiarito, però, che non basta enunciare un “programma quinquennale” per definirsi programmatori o per avere quella visione di mondo tanto richiesta. In realtà, sono altrettanto fondamentali tutti «quegli istituti, strumenti, procedure disponibili o da trasformare o da creare per rendere efficace e coerente l’azione del potere pubblico, all’applicazione di un metodo nella direzione quotidiana della politica economica [e sociale] conforme alle finalità e ai criteri della programmazione, alla valutazione esatta di tutte le condizioni necessarie per il raggiungimento degli obiettivi»[2].
Invece, quelle idee – conformi ai valori del capitalismo moderno – fatte proprie dai partiti di sinistra del “mito della crescita”, del progresso spasmodico e non regolamentato della tecnologia e la disattenzione sistemica della questione ambientale vanno ricondotti alla loro collocazione reale. Ovvero, vanno connaturati di valori etici, riportati alla loro vera funzione “di strumenti” e utilizzati per realizzare valori sociali, civili e umani.
Ciò che ho già, in altre occasioni, definito “la riforma dello stato” diventa il tema centrale e costitutivo di un partito socialista, progressista e riformista di governo: un partito socialista liberale. La riforma dello stato cessa così di essere uno slogan, sbandierato in vari tentativi – disastrosi e controproducenti – di riforme costituzionali, tentati negli ultimi decenni, e «diventa il tema centrale della politica finalizzato alla creazione di una efficiente e democratica direzione pubblica dello sviluppo economico e del progresso sociale e civile»[3].
La strategia della programmazione socio-economica va, dunque, intesa come metodo di comportamento delle istituzioni pubbliche atte a conseguire risultati economici, mediante l’uso efficiente delle risorse, miranti a creare condizioni di vita individuali e collettive migliori. Perché ciò possa realizzarsi deve poter riferirsi a tutti, quindi a ciascuno di noi, attraverso modi e mezzi per un sostenibile sviluppo economico che crei condizioni di solidarietà e non di sfruttamento.
«Abbiamo così enunciato due fondamentali valori che ispirano il pensiero e l’azione socialista: libertà individuale e solidarietà collettiva. Giustizia ed eguaglianza ne sono componenti implicite»[4].
L’indirizzo proposto in questo “impegno socialista” vuole essere un richiamo ad un nuovo impegno che tenga conto che le condizioni della società italiana, europea e occidentale sono arrivate ad un punto tale che divengono indispensabili e urgenti delle riforme profonde. Sta alla sinistra, qui chiamo in causa anche il Partito socialista italiano, e ai suoi originali valori di cambiamento e di progresso economico-sociale di riprendere iniziative concrete che mettano in primo piano i problemi e le aspirazioni di partecipazione democratica che si manifestano nella società. Partendo dai giovani, dai disoccupati “strutturali” e dalle donne ancora non trattate in maniera egualitaria sul posto di lavoro.
Un partito di sinistra «deve stabilire una prassi d’incontri e confronti tra i propri organi dirigenti e le organizzazioni rappresentative del mondo del lavoro, della produzione, della ricerca, della cultura. E’ in termini di partecipazione, di autogoverno, di soluzioni dinamiche da sperimentare e aggiornare e approfondire in continuo confronto con la realtà in movimento, che vanno affrontati e risolti i problemi della società italiana»[5].
Ad esempio, vanno affrontati temi come: la riduzione della durata del lavoro (come orario medio di lavoro) e la redistribuzione delle ore “liberate” fra la popolazione disoccupata, ma potenzialmente occupabile; erogare il lavoro utile socialmente, cioè chiedersi quali lavori, quali beni e servizi, quali occupazioni e quali attività sarebbero utili da “creare“. La nuova occupazione generata deve, però, essere programmata e guidata verso impieghi con rilevanza sociale, cioè necessari a soddisfare bisogni insoddisfatti.
E’ solo in questo modo che si risolvono i problemi della società odierna, puntando a obiettivi di libertà, giustizia, dignità e benessere.
Infine, ma non per questo meno importante, è prioritario per ogni partito di sinistra richiamarsi ai suoi storici valori internazionalisti, cioè all’Europa. «E’ l’Europa il terreno sociale, economico, politico e culturale sul quale può svilupparsi una un’iniziativa socialista capace di costruire un modello alternativo rispetto al neocapitalismo»[6]. E’ dalle istituzioni europee e dal Gruppo Socialista che deve ripartire la spinta ad un’ulteriore integrazione europea democratica e alla necessità dello “Stato Federale Europeo”.
[1] Giolitti A. (1992), Lettere a Marta, Ricordi e riflessioni, Bologna, Il Mulino.
[2] Giolitti 1992.
[3] Giolitti A. (1967), Un socialismo possibile, Torino, Einaudi Editore.
[4] Giolitti 1967.
[5] Giolitti 1992.
[6] Giolitti 1992.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.