a cura della Redazione con I Piedi per Terra |

Una tesi di laurea diventa una pubblicazione in cui l’autore, Alessio Tomasin ricostruisce le tensioni che nel corso degli anni ’70 hanno contrapposto i fittavoli di Anguillara Veneta alla Veneranda Arca del Santo di Padova

Le lotte dei fittavoli di Anguillara Veneta contro l’Arca del Santo, che si protrassero per tutti gli anni ’70 del Novecento, possono essere interpretate come uno dei sintomi di quelle crisi, di natura politica, economica e sociale che si abbatterono sull’Italia intera in quel decennio. Se in città si combatteva per rinnovare la società (o per distruggerla), ricorrendo anche alla violenza e al terrorismo, in campagna si lottava per affrancarsi da obblighi e da situazioni di sfruttamento che ricordavano maggiormente il Medioevo, piuttosto che la dinamica società italiana degli anni ’70.

Il Medioevo; è proprio da qui che occorre partire per comprendere le radici storiche del rapporto lungo quasi sei secoli che legò Anguillara Veneta alla Veneranda Arca del Santo, perché la nascita di questa istituzione laica va ricondotta agli anni immediatamente successivi alla morte di Sant’Antonio (1231) e alla sua santificazione, avvenuta l’anno seguente, per la gestione del flusso di donazioni e lasciti testamentari che i tanti fedeli e pellegrini rivolgevano a beneficio del monastero e della neo eretta basilica. Cifre talmente significative da costituire motivo d’imbarazzo per i frati francescani, che appartenendo a un ordine mendicante, facevano la povertà il proprio stile di vita. Dal 1396, dunque, la Veneranda Arca iniziò ad occuparsi della gestione ordinaria del complesso antoniano, sia negli aspetti che riguardavano la manutenzione agli alloggi dei frati, come in quelli di provvedere al loro vitto, di organizzare le cerimonie liturgiche, di custodire le reliquie e di gestire l’acquisto di paramenti.

La storia di Anguillara Veneta s’intreccia con quella della Veneranda Arca del Santo in occasione della guerra tra Padova e Venezia combattutasi tra 1404 e 1405. All’epoca, la Signoria padovana era in mano ai Carraresi, i quali, per far fronte alle spese derivanti dal conflitto, si rivolsero all’Arca del Santo e ottennero un prestito pari a 1720 ducati. A garanzia del prestito, i Carraresi offrirono la gastaldía di Anguillara Veneta, possedimento personale della famiglia.

La guerra terminò con la vittoria veneziana, quindi, il 17 giugno 1405, Francesco Novello da Carrara e i massari dell’Arca si recarono dal notaio Sicco Ricci Polenton, il quale redasse l’atto grazie al quale la proprietà del territorio di Anguillara fu trasferita all’Arca del Santo. Per effetto di questo accordo, l’Arca divenne proprietaria del più ampio possedimento terriero che essa abbia mai avuto: circa 4.920 campi padovani, pari a un’estensione di oltre 19 chilometri quadrati. Potrebbe sembrare che l’Arca avesse concluso un ottimo affare, ma in realtà non era affatto così. Infatti, il terreno di Anguillara, all’epoca, più di sei secoli fa, si presentava come una grande distesa acquitrinosa, maggiormente sfruttata per la raccolta della canna palustre, piuttosto che per l’agricoltura. Il suo valore iniziò a crescere in seguito alle bonifiche avviate alla metà dal ‘500 dal governo veneziano e ai primi edifici costruiti dalla stessa Arca destinati all’agricoltura gestita in forma estensiva. La situazione restò pressoché immutata fino all’inizio del ‘900. In particolar modo, dopo la fine della Grande Guerra, l’Arca dovette fronteggiare le prime agitazioni dei contadini. Sia per limitare il fenomeno dell’emigrazione, sia per calmare le tensioni con la popolazione rurale, iniziò a frammentare la terra in porzioni sempre più piccole, che venivano poi affittate a singole famiglie di contadini.

Questo fenomeno si accentuò dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando l’Arca del Santo, per far fronte ad una condizione economica e sociale disastrosa, procedette ad un ulteriore frammentazione. All’inizio degli anni ’70, anche la situazione di Anguillara Veneta appariva critica sotto molti punti di vista, soprattutto l’agricoltura risultava particolarmente frenata nelle possibilità di sviluppo per le politiche di gestione poderale portate avanti dall’Istituto antoniano. Quasi ogni famiglia, infatti, aveva in affitto un piccolo pezzo di terra, nella maggior parte dei casi sotto i 5 campi padovani (nemmeno due ettari), da coltivare nel tempo libero e per integrare i magri salari. Molto critiche erano anche le condizioni abitative in cui versava la popolazione anguillarese. Quasi la totalità degli abitanti viveva in edifici fatiscenti di proprietà dell’Arca.

All’inizio degli anni ’70, l’80% delle case non disponeva di servizi igienici; molte abitazioni erano, inoltre, prive di acqua corrente e di elettricità. Questa situazione si deteriorò ulteriormente quando, nell’autunno del 1970, iniziarono a circolare le prime voci riguardanti l’avvio delle trattative dell’Arca del Santo con degli imprenditori lombardi, Balzarini e Corvi, per la cessione dei terreni. Da un documento del luglio 1971 si evincono le condizioni di vendita stipulate: 1.180 ettari di terreno per 1,3 miliardi di lire.

Queste notizie diffusero in paese un sentimento di esasperazione misto a rabbia e preoccupazione.

La vendita, infatti, avrebbe significato nel migliore dei casi avere un nuovo proprietario a cui versare l’affitto, nel peggiore ritrovarsi in mezzo alla strada perché non si avrebbe più avuta una casa a disposizione. Con la nascita del primo Comitato presero avvio le prime lotte, una serie di iniziative che trovarono maggiori risultati quando vennero coordinate insieme a quelle dei sindacati, delle associazioni professionali e dei partiti politici. Dal canto loro, Balzarini e Corvi reagirono dando avvio ad un’azione speculativa, con l’intento non solo di recuperare i capitali investiti, ma di ricavarne lucrosi profitti. Ai fittavoli venne chiesto di acquistare il proprio lotto di terra al prezzo di un milione di lire il campo padovano o di liberare i terreni accettando la corresponsione di 100.000 lire come buonuscita. Il comitato fittavoli respinse queste azioni speculative e propose che, per quei fittavoli che lo desideravano, fosse possibile acquistare il proprio fondo a un prezzo inferiore alle 500 mila lire per campo padovano.

L’Arca e i nuovi proprietari continueranno a respingere qualsiasi proposta dei fittavoli fino all’inizio del 1974, ossia fino a quando furono avviate le prime azioni parlamentari; in particolare, il senatore De Marzi presentò una proposta di legge ad hoc, estendendo il diritto di prelazione anche a quei fittavoli che non ricavassero il proprio sostentamento dall’esercizio esclusivo dell’agricoltura. I primi effetti iniziarono a vedersi nel corso del 1976, quando grazie anche all’intermediazione dell’Ente Tre Venezie, fu stipulato l’accordo finale tra i fittavoli e gli imprenditori lombardi secondo il quale questi ultimi dovevano impegnarsi a vendere i terreni a un prezzo compreso tra 1,2 e 1,3 milioni di lire al campo padovano (fino a 1,6 milioni per i fittavoli non coltivatori).

Attuare quest’accordo non fu affatto facile, né lo fu far rispettare tutte le condizioni. Balzarini e Corvi, infatti, persistettero nelle loro operazioni speculative, concludendo affari al di fuori dell’accordo e cercando di mettere i fittavoli gli uni contro gli altri. Dopo la scadenza dei termini stabiliti dall’accordo del 16 ottobre 1976, Balzarini e Corvi si sentirono liberi di stabilire nuovi prezzi per i terreni che ancora possedevano e, in alcuni casi, essi arrivarono a chiedere 15-20 milioni di lire all’ettaro. Tuttavia si era giunti alla conclusione di una vicenda protrattasi per quasi un decennio, Anguillara Veneta fu finalmente libera dal dominio dell’Arca del Santo e poteva intraprendere una gestione del proprio territorio senza quelle imposizioni dal sapore feudale che ne avevano condizionato la vita e limitato lo sviluppo. Fu, dunque, possibile per le amministrazioni comunali intraprendere quegli interventi che resero Anguillara Veneta un comune moderno, con infrastrutture e servizi migliori.