di Daniele De Piero
Coordinatore Socialismo XXI – Friuli Venezia Giulia |
All’indomani della loro costituzione a livello nazionale, gli Arditi del Popolo sono già ben presenti nel pordenonese, attivi più che altrove nel centro urbano, tra Pordenone, Cordenons e Vallenoncello, dove più intensa era l’azione politico-sindacale delle forze di sinistra, oltre che nel pasianese e nell’azzanese tra Rivarotta e Corva, nelle cosiddette zone bianche, dove operavano attivisti denominati “Arditi bianchi”.
Non mancano le segnalazioni delle autorità statali, dei prefetti, relativamente alla loro costituzione e alla loro attività.
Si registra una missiva del prefetto indirizzata al governo in cui si informa di una riunione, rivolta alla costituzione dell’organizzazione pordenonese degli Arditi del Popolo, tenutasi nel luglio del ‘21 presso la Casa del Popolo di Torre di Pordenone a cui partecipano presumibilmente una quarantina di “socialcomunisti”.
Da quanto risulta, il responsabile degli Arditi del Popolo è Luigi Ragagnin di Torre, operaio e vice segretario della Camera del Lavoro di Pordenone.
Attraverso la lettura degli atti di un processo a loro carico nel novembre dello stesso anno, rinvengono inoltre dati per apprendere che da Roma giungono 50 tessere e 25 distintivi e che per far parte dell’organizzazione viene pagata una quota di £. 3,50, mentre la Camera del Lavoro ha sottoscritto cinque abbonamenti al giornale dell’Associazione.
Già nella primavera del 1920, sia popolari che socialisti, danno vita a gruppi di sorveglianza e difesa che prenderanno rispettivamente il nome di “arditi bianchi” e “guardie rosse”.
Un blocco conservatore infatti, imperniato sulla grossa possidenza, imprenditori ed agrari, ma facente anche leva sul ceto medio, si oppone ad ogni innovazione, ad ogni rivendicazione sociale, attaccando socialisti e cattolici, prima con la stampa, poi con le squadre armate, godendo della benevolenza quando non addirittura della complicità delle forze dell’ordine.
A Spilimbergo, nel luglio del 1919, reparti militari sparano sulla folla, radunatasi per protestare contro il vertiginoso aumento dei prezzi, uccidendo 3 persone e ferendone 14.
Ad Aviano, nel marzo del 1920, durante una manifestazione per ottenere il pagamento per i lavori eseguiti da una cooperativa, un carabiniere spara dalla caserma uccidendo Luigi Tassan, dimostrante di vent’anni e ferendo un giovane di 16 anni.
Sono anni in cui il conflitto sociale diventa durissimo.
Numerose ed aspre sono le vertenze durante le quali gli “arditi bianchi”, precedendo i cortei di mezzadri e braccianti nella bassa pordenonese, costituiscono uno strumento di pressione nei confronti degli agrari, mentre durante gli scioperi operai, le “guardie rosse”, a Pordenone come a S. Vito, esercitando uno stretto controllo del territorio evita no incidenti e difendono i manifestanti dalle aggressioni squadriste.
In questo contesto gli attacchi fascisti diventano però sistematici.
Il 14 ottobre 1920 a Trieste avevano distrutto la sede del giornale socialista “Il Lavoratore”.
Il 13 febbraio del 1921 a Pordenone un gruppo di fascisti conclude la cerimonia funebre di un camerata sparando.
Il Primo Maggio del ‘21 a Spilimbergo mettono a soqquadro la sede del partito socialista asportando quadri e bandiere.
L’8 maggio nel quartiere Borgomeduna di Pordenone irrompono nella casa di un antifascista distruggendone il mobilio.
Il 10 maggio, numerosi fascisti di Udine si dirigono a Pordenone imbattendosi su gruppi di operai edili che, assieme alle operaie tessili in uscita dal cotonificio Amman, stanno formando un corteo per partecipare ad una manifestazione proprio contro le provocazioni fasciste.
I fascisti attaccano sparando dei colpi di arma da fuoco. Dallo scontro viene mortalmente colpito da “fuoco amico” il loro portabandiera. La morte del fascista serve come pretesto per una grande incursione squadrista su Pordenone che, vista l’entità, si può ritenere predisposta da tempo.
Più di trecento fascisti armati arrivano quindi in città, ma in quel di Torre l’11 di maggio, contro ogni previsione vengono accolti dal suon della mitragliatrice di Costante Masutti posta a presidiare le barricate erette in quei giorni dalla popolazione.
A seguito di trattative tra resistenti antifascisti capeggiati da Pietro Sartor e le autorità viene stabilito un accordo secondo il quale i fascisti non avrebbero messo piede in Torre. L’accordo però è presto disatteso e dopo l’entrata dell’esercito, degli Alpini, è data via libera ai fascisti.
I protagonisti delle “barricate” vengono arrestati non prima però di essere picchiati per strada dai fascisti ed essere poi trattenuti in caserma dove ricevono il resto delle angherie da parte delle forze dell’ordine.
Nei giorni seguenti, le minacce, le intimidazioni e le incursioni dei fascisti continuano indisturbate:
a Cordenons, contro l’insegnante socialista Fernando Bastianetto,
a Pasiano dove vengono devastate le abitazioni di Virginio Cancellier capolega bianco, di Domenico e Giovanni Migotti e di Giorgio De Rini,
a Pordenone dove non mancano minacce di morte per l’avvocato socialista Ellero, dove viene messo a soqquadro il negozio di Romano Sacilotto esponente socialista, dove viene devastata la Camera del Lavoro e perquisita la canonica di don Lozer,
a Spilimbergo dove una cinquantina di fascisti provenienti da Bologna assaltano le carceri facendo evadere i loro camerati e procurando lesioni al custode e ad altri presenti.
L’episodio di Torre però, aveva altresì confermato che i proletari, una volta organizzati, come in questo caso da Pietro Sartor, comunista e Ardito del Popolo, sono in grado di respingere militarmente le squadre fasciste.
Le barricate rappresentano un esempio di arditismo popolare, di non rassegnazione ma di presa coscienza delle proprie possibilità.
E’ proprio in quel periodo che compaiono pubblicamente e ufficialmente gli Arditi del Popolo a Pordenone facendo scorta al feretro di Tranquillo Moras, giovane comunista poco più che ventenne, aggredito mortalmente dagli squadristi il primo luglio assieme a Pietro Sartor che invece riuscirà a cavarsela e poi ad emigrare, in pieno centro nei pressi della sottoprefettura di Pordenone.
Della morte del giovane Moras, riceve notizia Costante Masutti quando ha, da tempo, varcato la frontiera italo-svizzera assieme a Pietro Sartor.
Costante Masutti, socialista rivoluzionario di Prata, l’8 giugno del ‘21 è protagonista di una vera e propria azione da Ardito del Popolo a seguito di un’imboscata tesagli in quel di Puia di Prata da un gruppo di fascisti che contro di lui, da solo, ebbero la peggio.
In una lettera datata 28 novembre indirizzata alla sezione Operai Edili Fornaciai di Rivarotta di Pasiano, scrive testualmente “uno contro dieci a tutto riesce purché sia forte e deciso anche a lasciare la propria ghirba”, e lasciando intendere di appartenere a quella organizzazione, indica come esempio per tutti gli “Arditi del Popolo”, sue parole, “creatisi spontanei senza né il consenso del partito socialista né della confederazione del Lavoro, ma per forza e volontà degli elementi comunisti unici che oggi sentono il dovere di difendere il proletariato”.
Quando Masutti scrive questa lettera ai compagni, non sa che da una ventina di giorni 34 Arditi del Popolo della Bassa Pordenonese sono sottoposti a procedimento penale per essere stati coinvolti in un’azione di difesa proletaria a seguito dell’ennesima prevaricazione fascista.
Il 9 novembre viene steso un verbale dal tenente dei carabinieri in cui si dichiara che a Corva di Azzano Decimo esiste un’Associazione di Arditi del Popolo, testuale “vera banda armata la quale mira ad abbattere le Autorità politiche e ad annientare il partito fascista che per addietro aveva cercato di insultare e denigrare il partito socialista Pordenonese”.
Dei 34 imputati, 12 vengono trattenuti in stato di arresto. Alla richiesta della ragione di tale fatto i carabinieri rispondono “per non affollare il luogo di detenzione”.
Nella formulazione delle accuse danno una mano i sindaci di Pasiano ed Azzano, mettendo in cattiva luce il più possibile detenuti incriminati a piede libero. C’è chi ha l’accusa di “comunista”, chi di “comunista perciò pericoloso”, chi come per il Muzzin di essere “Ardito del Popolo”.
Al protrarsi della detenzione, l’11 gennaio del ‘22 la Camera del Lavoro di Pordenone indice uno sciopero generale di 24 ore a cui partecipano tremila tessili per protestare a favore degli arrestati.
Verso metà marzo Luigi Ragagnin informa con una lettera che essi detenuti dal 14 marzo inizieranno lo sciopero della fame, cosa che metteranno puntualmente in atto.
Il Procuratore generale a questo punto conclude l’istruttoria modificando i capi di accusa in senso più favorevole agli imputati.
Attraverso il dibattimento si apprenderà che a loro favore è operante un’azione di solidarietà operaia con il versamento di £. 5 ad ogni quindicina da parte degli edili di Rivarotta e dintorni.
Cadute le ipotesi di mancato omicidio e di associazione a delinquere, il 27 maggio il processo ha inizio con 34 imputati dei quali 12 in stato di arresto.
In genere “parti lese” ed incriminati si sono spesso trovati sullo stesso piano, ma su posizioni diverse in quel processo destinato a condannare gli uni e lasciar perdere gli altri, ossia i fascisti.
Il 29 maggio il Tribunale emette finalmente sentenza.
I condannati però, escluso Luigi Moras che riceve 2 anni e 11 mesi e pena pecuniaria, oltre alle lesioni ed alle percosse, hanno già subito il carcere per un periodo di gran lunga superiore a quello inflitto con sentenza.
Non appena possibile molti Arditi del Popolo del pordenonese scelsero la strada dell’emigrazione, per i più senza ritorno. Alcuni li ritroviamo nella guerra di Spagna tra i repubblicani come Buffolo Oscar di Caneva, altri ancora a fianco delle brigate partigiane.
Di loro sappiamo che furono in grado di organizzare dal basso una resistenza armata al fascismo che anche nel pordenonese diede dimostrazione di valore e coscienza politica. Purtroppo però, come nel resto del nostro paese, vennero lasciati soli dalle forze della sinistra che, incapace sia di fare la rivoluzione sia di imporre le riforme, come ben sappiamo, persero la partita e a lungo.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.