di Renato Costanzo Gatti

Socialismo XXI Lazio |

In questo movimentatissimo 2024, gli orizzonti politici sono terribilmente minacciati non solo dalle due guerre in corso, ma anche dai risultati delle elezioni europee, in particolare in Francia ed in Germania, dalle prossime elezioni nel Regno Unito, in Francia e negli USA; dallo sgretolamento della globalizzazione che comporta dall’Inflation Reduction Act di Biden, dai dazi sulle auto elettriche cinesi tra poco in vigore in Europa; dalla recessione tedesca che indebolisce tutta l’Europa ma soprattutto il nostro Paese; dalle conseguenze monetarie dello sgretolamento della globalizzazione con la nascita e crescita dei BRICS.

Per restare a casa nostra, la debolezza dell’apparato imprenditoriale nazionale, caratterizzato da troppe piccole imprese, familistiche e grette, che puntano sulla competitività basata sul basso costo della mano d’opera, crea la preoccupazione di una lenta ma incontrollabile marginalizzazione del nostro paese che non può che contare sulla sua capacità produttiva.

Le recenti elezioni, in campo economico, da una parte, quella della presidente del Consiglio, hanno vantato successi di vari indici: il PIL, l’occupazione, l’andamento delle borse, lo spread, etc. sottacendo che da una parte non si può vantarsi della crescita del PIL e dell’occupazione e dall’altra additare la colpa dello sforamento del deficit al superbonus. Se rivediamo i dati, depurandoli dell’effetto superbonus, constateremo che PIL e occupazione sarebbero ben più bassi di quanto registrato e il deficit sarebbe sopportabilissimo; quindi, superficialmente o propagandisticamente il governo ignora la connessione di questi fatti.

Per quanto riguarda l’opposizione, ed il Pd in particolare, si è giustamente evidenziato il tema della sanità, dei diritti civili e del salario minimo. Posso anche convenire su questi obiettivi (anche se sono molto scettico sul salario minimo) ma non posso che constatare che tutte le richieste sono di tipo “redistributivo”, parola che Elly Schlein ha ripetuto più volte nel suo comizio a piazza del Popolo a Roma.

Poi voglio mostrare il seguente prospetto recentemente apparso su Facebook:

ed allora mi sento sempre più rafforzato nella mia convinzione che il problema italiano (ma anche europeo, anzi soprattutto europeo) sta nella nostra capacità produttiva prima che in quella redistributiva.

Siamo in un periodo in cui sta velocemente cambiando quello che Marx chiamava “modo di produzione” sia per i notevoli risultati dell’innovazione tecnologica che per quelli dovuti alla situazione climatica ma anche per le conseguenze dello sviluppo della iniziale globalizzazione e del suo sgretolamento nella fase attuale. Il mutamento del modo di produzione comporta il mutamento del rapporto tra le classi, degli equilibri internazionali che si stanno polarizzando, delle convinzioni politiche dei popoli che intravvedono un’incertezza nel futuro che non hanno mai preoccupato.

L’intelligenza artificiale (I.A.), che sarà uno degli argomenti del G7, è la novità tecnologica che nel futuro inciderà, e sta già incidendo, nel modo più profondo sul nostro futuro produttivo. E non sto parlando dell’I.A. generativa, che produce testi, immagini, video; penso all’I.A. applicata ai processi produttivi che rivoluzioneranno in modo enorme i fattori della produzione, in primis il mondo del lavoro non solo sul fatto quantitativo dell’occupazione ma anche e soprattutto sul contenuto professionale richiesto alla moderna mano d’opera. Ricordo che oggi si investono sull’I.A. 130 miliardi di $ di cui 100 sono investiti da USA e Cina e 30 dal resto del mondo; facile trarre le conseguenze di come si prospetta il futuro se noi e l’Europa non si attrezzano ad affrontare questo tema. Il nostro Draghi mi pare che sia l’unico ad averlo affrontato nel suo rapporto sulla concorrenza, rapporto in cui richiede di investire 500 miliardi l’anno in innovazione, ricerca, creatività, tecnologia per poter sperare di non diventare una colonia economica di USA o Cina.

Il modo in cui percorrere questa strada, se si vorrà percorrerla, sarà il nucleo della politica europea di questo decennio (se basta) e non potrà basarsi sulle “mani invisibili” della libera concorrenza (obsoleto idolo violentato dalle multinazionali) ma dovrà basarsi su una programmazione dove lo Stato, la razionalità realizzata, si pone come soggetto determinante. L’alternativa che ci si pone è di una disarmante semplicità: la causa prima che determina le scelte di investimento va razionalmente individuata tra due poli alternativi: la scelta fondata sulla razionalità ovvero lasciata al profitto.

L’alternativa che si presenta con pesante materialità alle nostre coscienze, ci riporta, con urgente richiesta di una risposta, alla scelta fondamentale tra l’illuminismo della rivoluzione francese (trionfo della dea ragione) ed il romanticismo della logica del capitale. E i Paesi maggiori basano le loro economie su una programmazione che guarda a lungo termine o con le multinazionali negli USA (ma lo Stato ha un ruolo primario nelle scelte strategiche spesso operate dal Pentagono) o con il Partito Comunista in Cina. Con il Next Generation UE l’Europa ha per la prima volta assunto una posizione programmata per contrastare il Covid, tale posizione programmata va ripetuto, consolidata e resa permanente come penso suggerisca il documento Draghi; purtroppo l’Europa attuale sa solo dire di sì alle richieste monetarie e di riarmo fatte da Zelensky (come il G7 in corso sta dimostrando).