FINANZIARIA E PIANO SETTENNALE

di Renato Costanzo Gatti

Socialismo XXI Lazio

Ho sempre sostenuto che questo governo si sarebbe trovato in grosse difficoltà nel predisporre la finanziaria per il 2025 e, dopo la sospensione per il Covid, con il piano di rientro del debito da programmare per i prossimi sette anni.

Noi ci troviamo con un debito che sfiora i tremila miliardi di euro, siamo sotto procedura europea per eccesso di deficit, siamo in grossa difficoltà produttiva, le previsioni di andamento del PIL sono, come dice Prodi, dello zero virgola. Dobbiamo quindi ridurre il debito, ma per ridurre il debito dobbiamo passare da un bilancio in deficit a uno con risparmio primario (cioè senza considerare gli interessi), oppure (o contestualmente) dobbiamo incrementare il PIL di modo che il rapporto debito/PIL migliori. Ma per aumentare il PIL dobbiamo fare investimenti, spendere cioè dei soldi che necessariamente vanno ad incrementare il deficit. Sono obiettivi che richiedono interventi che confliggono l’uno con l’altro e che comunque devono fare i conti con le pretese dei partiti al governo: chi vuole anticipare la possibilità di andare in pensione, chi non vuole che si tassino i super profitti, chi non vuole sentir pronunciare la parola “SACRIFICI”. Insomma non invidio Giorgetti.

Vediamo allora di esaminare i vari possibili interventi:

● Il debito a fine 2023 era pari al 134.8 del PIL e siamo richiesti di ridurlo di un punto percentuale di PIL per ogni anno fino alla fine del piano settennale. La riduzione del tasso debito/PIL si ottiene o riducendo il debito o (magari contestualmente) aumentando il PIL.

● La riduzione del debito richiede che annualmente si generi un avanzo primario (al netto cioè degli interessi) e tale riduzione si ottiene o aumentando le entrate o (magari contestualmente) riducendo le uscite.

● L’aumento delle entrate si ottiene con tre azioni: combattere l’evasione fiscale, aumentare le imposte e le tasse oppure vendendo i gioielli di famiglia.

○ Sul fronte dell’evasione fiscale non vedo nelle azioni del governo un programma preciso. Eppure nel programma di governo di due anni fa c’era l’indicazione di utilizzare in modo proficuo l’Intelligenza Artificiale che, utilizzando tutte le banche dati a disposizione del governo, potesse, individuare scompensi significativi tra spese e redditi dichiarati (o non dichiarati) dal contribuente. Ricordo che l’evasione si aggira sui 90/100 miliardi annui e che quindi, oltre a combattere un furto evidente, la lotta all’evasione darebbe un buon contributo ai nostri conti. Ricordo ancora che con provvedimenti seri, come quello della fatturazione elettronica ideata da Vincenzo Visco ed attuata dal governo Renzi,  si è potuto abbattere in buona misura l’evasione dell’IVA e conseguentemente quella delle imposte sui redditi. Ci sono altre proposte, sempre di Visco, che potrebbero essere attuate se ci fosse la volontà politica.

○ Aumentare le imposte. Da anni, su questo fronte vige il motto “meno tasse per tutti”, smentendo l’opinione di un ministro delle finanze che riteneva che le imposte fossero un chiaro esempio di solidarietà nazionale. Tutti i partiti rifiutano di ricorrere a questo mezzo che è ritenuto un sicuro vulnus contro il consenso elettorale: mai aumentare le tasse se non si vogliono perdere voti. Chi veramente può ricorrere a questa scelta è il governante cui non interessa il consenso; generalmente quando servono azioni anche impopolari si ricorre al “governo tecnico” (vedi Dini, Monti, Draghi) che affronta il problema senza preoccupazioni elettorali e imposta azioni più o meno condivisibili ma efficaci per raggiungere lo scopo. Classico esempio è la riforma Fornero, contestata eternamente da quel buffone di Salvini ma che contribuisce a rimediare ai problemi della finanza pubblica. A questo proposito si parla di “aumentare le tasse” quando si prospetta la revisione del valore catastale degli immobili che hanno ristrutturato ricorrendo al bonus 110%.

○ Ebbene se chi ha ricorso al superbonus ha incrementato il valore del suo fabbricato e di conseguenza dovrebbe pagare più imposte (se dovute) basate sul valore catastale dell’immobile,  non può inquadrarsi nella fattispecie dell’aumento delle imposte. Mi spiego, se mi hanno promosso a dirigente e quindi mi hanno aumentato lo stipendio, pagherò certamente più tasse ma non perché hanno aumentato le imposte ma perché è aumentata la base imponibile su cui applicare le imposte. Se quindi con soldi che lo stato mi ha regalato ho ristrutturato casa e quindi la casa ha un maggior valore, non mi hanno aumentato le tasse, ma hanno applicato le imposte dovute su una maggior  base imponibile. Diverso è il caso in cui il governo Draghi (guarda caso un governo tecnico) ha modificato l’art. 67 del Tuir, rendendo tassabile la plusvalenza realizzata dalla vendita di un immobile che abbia goduto dei benefici del superbonus anche se la casa è posseduta da più di 5 anni dal momento dell’acquisto. In questo caso sì esiste una nuova imposta; non nel caso della rivalutazione catastale dell’immobile il cui valore è obiettivamente aumentato. Al proposito c’è da chiedersi perchè tutti i possessori di edifici il cui valore commerciale è decisamente e permanentemente aumentato (vicinanza di una stazione metro, essere locati nei pressi di Piazza Navona, godere di una situazione commercialmente richiesta) non abbiano richiesto la revisione della rendita catastale che comporta un aumento dell’IMU se dovuta e delle imposte di successione.

○ Ma un sistema per aumentare il gettito fiscale sarebbe quello di tornare al dettato costituzionale della progressività delle imposte, progressività che opera solo nei confronti di lavoratori dipendenti e pensionati ma che è stata eliminata (regalo elettorale) a tanti soggetti con l’introduzione della flat tax, che il programma di questo governo vorrebbe estendere a tutti, mandando il paese allo sfascio.

○ Vendere i gioielli di famiglia: si parla delle privatizzazioni, quelle che in abbondanza furono eseguite dal governo Prodi, più che per ragioni di riduzione del debito, per seguire una ideologia libero-mercatistica di dubbia efficacia economica. Ebbene, questo governo sta vendendo quote di Poste Italiane e di Eni al fine di recuperare fondi con cui ridurre il debito pubblico. Lo Stato mantiene comunque la “golden rule”, ovvero il potere di guidare le scelte di questi investimenti strategici, ma perde, negli anni futuri, dividendi derivanti dalle sua partecipazioni azionarie; in pratica si realizza oggi una disponibilità che dovrebbe essere assolutamente destinata a diminuire il debito, togliendo alle generazioni future il beneficio di utili derivanti dalle partecipazioni. In effetti si aumentano le entrate ma si indebolisce la patrimonialità delle partecipazioni statali e i loro dividendi futuri.

Ridurre le uscite:

1 – La gestione delle uscite è prevista dalle norme europee nella disposizione che limita l’aumento della spesa pubblica ad un tasso del 1,5% annuo. Considerando che l’inflazione obiettivo della UE è pari al 2%, ne consegue che le uscita dello stato, in termini reali, diminuiscono durante i sette anni del piano. Il problema enorme che noi ci troviamo ad affrontare è quello demografico/pensionistico.

2 – Poiché all’inizio della legislazione pensionistica abbiamo scelto la strada del sistema a ripartizione rispetto a quello ad accumulazione (usando il sistema pensionistico come strumento principale per l’acquisizione del consenso elettorale) oggi con il calo demografico, che richiederebbe un tasso di fertilità al 2,1 (due figli che rimpiazzano padre e madre più uno 0,1 per le donne che non riproducono) per mantenere la stessa popolazione mentre siamo ad un tasso di fertilità dell’1,4, ci troviamo nella difficilissima situazione di dover finanziare con entrate fiscali le pensioni da erogare anche se da un sistema retributivo si è passati ad un sistema contributivo. Questo problema è, a mio parere, il più preoccupante per le generazioni future cui oltre a lasciare un debito enorme, togliamo la speranza in una pensione decente. Se avessimo adottato il sistema ad accumulazione oggi i fondi pensione sarebbero il maggior investitore istituzionale da utilizzare per incrementare il PIL.

3 – C’è tuttavia un settore di spesa su cui operare; si tratta di quelle che vengono definite, usando un termine anglosassone per confondere gli ingenui, le “tax expenditures”. Si tratta di circa 90 miliardi l’anno che vanno erogati a corporazioni, clientele, portatori di voti, per acquistare consensi elettorali. L’espressione, coniata negli Stati Uniti, indica le agevolazioni (v. Agevolazione tributaria) e le esenzioni fiscali(v.). Le tax expenditures corrispondono ad una vera e propria erogazione di spesa. Per quanto concerne gli effetti distorsivi delle tax expenditures si è affermato che esse diminuiscono il grado di equità dei sistemi tributari, in quanto sono i soggetti più ricchi che possono beneficiarne in maggior misura; inoltre, le tax expenditures spingono lo Stato ad effettuare delle spese che in diverse situazioni non verrebbero erogate. In altri sistemi non si parla di una generica detrazione di spesa in tema di tax expenditures, ma ci si riferisce in modo più specifico alla possibilità di detrarre dalle imposte sul reddito solo quelle spese sostenute a favore di attività o gruppi di interesse sociale (scuole, università, ospedali ecc.). Attraverso il sistema delle tax expenditures è possibile gestire, in maniera più corretta, una serie di finanziamenti, facendoli confluire verso attività che altrimenti avrebbero difficoltà nel reperire i fondi necessari. In altre circostanze la tax expenditure lascia veramente perplessi. Un esempio? Eccolo:

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4 – Ma è proprio in questo campo che il sistema democratico conosce la sua debolezza, la sua insita “corruttibilità” che rende ingestibile con raziocinio la spesa pubblica e che rende intimamente debole il sistema democratico. Ma su questo punto tornerò nella conclusioni quando farò riferimento a Platone ed al governo dei filosofi come alternativa alla democrazia.

5 – C’è una ulteriore distinzione da fare: la riduzione delle uscite può riguardare le uscite correnti ma anche le uscite in conto investimenti. La differenza è fondamentale e ci fa chiedere in modo estremamente serio perché le norme europee non distinguano le due fattispecie limitandosi al divieto di aumento delle uscite oltre un punto e mezzo senza tener conto di questa fondamentale distinzione. E’ chiaro che se ci troviamo costretti a limitare quelle uscite che sono destinate agli investimenti produttivi (penso in primis alle spese per la ricerca) stiamo tagliando alla base la possibilità più logica di ridurre il debito, ovvero stiamo tarpando le ali alla possibilità di incrementare il PIL, via maestra per migliorare la situazione del deficit, del debito, della situazione di stabilità e sviluppo della nostra economia.

6 – Ecco che allora, con estrema forza nasce una riflessione sul superbonus del 110%. La domanda è se quello strumento sia stato una scelta saggia o un disastro per i nostri conti pubblici.

● Una cosa è certa, per abbassare l’inquinamento della CO2 il governo Conte ha deciso di erogare sussidi per l’acquisto di beni/servizi a lunga durata; poteva investire fondi in investimenti produttivi (produzione di pannelli fotovoltaici). Siamo di fronte a una scelta che ha comportato:

● aumento del PIL e aumento dell’occupazione (nel settore edile e nell’indotto) e di ciò si vanta l’attuale governo;

● aumento del debito perché nei prossimi 5 anni le banche pagheranno le imposte utilizzando i crediti di imposte acquistati dai beneficiari del superbonus;

● finita l’erogazione di superbonus crolla il PIL e  cala l’occupazione.

Se fosse stato fatto un investimento produttivo, avremmo avuto un aumento del PIL continuo che invece non c’è stato e che ora analizziamo.

● RIDURRE IL DEBITO AUMENTANDO IL PIL

Esaminiamo le previsioni dell’andamento del PIL negli anni 2024 e 2025.

PRODOTTO INTERNO LORDO202320242025
in ordine decrescente
CINA5,24,84,6
PAESI EMERGENTI4,34,34,4
MONDO3,13,23,3
USA2,52,42,1
GIAPPONE1,90,80,8
PAESI AVANZATI1,71,82,0
AREA EURO0,40,81,4
ITALIA0,91,01,1
      
      


Si noti, per quanto riguarda l’Italia, il contributo del 110% (100 miliardi) e l’effetto del PNRR (200 miliardi) che danno un sostegno positivo al PIL, che tuttavia scende, nel 2025, al di sotto dell’Area Euro risentendo il crollo dell’indice di produzione industriale dovuto all’industria automobilistica, quella meccanica e quella tessile, anche come conseguenza della decrescita tedesca nostra committente principale.

E’ indubbio che chi ha i risultati migliori, sono Cina e USA, paesi che investono molto in nuova tecnologia e che programmano centralmente molto, mentre in Europa non programmiamo, (come ci ricorda il Rapporto Draghi) tuteliamo il libero mercato mentre per l’economia di scala dovremmo: puntare su “campioni europei”; puntare ad un sistema bancario unificato (e la Germania si oppone alla fusione Unicredit-Commerzbank); fare investimenti di 800 miliardi annui in ricerca, tecnologia, energia. Energia che stiamo pagando quattro volte tanto di quanto paga l’impresa statunitense.

La via della diminuzione del debito tramite aumento del PIL è decisamente quella più virtuosa, di cui però non si vede traccia nel piano settennale.

Ma tale via non si vede neppure nei programmi della opposizione, troppo concentrata sulla REDISTRIBUZIONE, obiettivo socialdemocratico, da welfare state che non guarda soprattutto alla parte produttiva che, ce lo insegna Mariana Mazzucato, ce lo indica il rapporto Draghi, diventa sempre più strategica se non vogliamo, come spiega Schumpeter, essere emarginati e divenire colonie di altri competitori.

Un programma così impegnativo comporta quelli che Giorgetti chiama SACRIFICI e che la premier si affretta a smentire. Ecco la grande debolezza del sistema democratico che, per non perdere il consenso elettorale, promette cose irrealizzabili senza aumentare le tasse. Una contraddizione palese che solo chi può fregarsene del consenso può poter superare. In questi casi si ricorre ai governi tecnici (Dini, Monti, Draghi) che fanno, tra le lacrime della Fornero, il lavoro sporco ma necessario di investire in soluzioni i sacrifici e danno una possibilità di soluzione ai problemi.

Occorre andare a rileggere nella Repubblica di Platone, il disprezzo che questo filosofo aveva per i sofisti che incantavano il popolo con parole e promesse, incapaci di risolvere i problemi come, invece, potevano provare a fare i filosofi (oggi li chiameremmo esperti) che conoscendo le IDEE poteva agire per il bene del paese.

Ho accennato a un tema delicato che gradirei fosse approfondito da chi mi legge.