di Renato Costanzo Gatti

Socialismo XXI Lazio |

La recente vittoria di Trump, nelle elezioni presidenziali statunitensi, ha riportato all’attenzione politica il tema dei dazi doganali. Penso quindi utile esaminare più a fondo questo tema per aiutarci nel giudicare nel merito questa promessa azione da parte degli USA.

Cosa sono i dazi

I dazi sono imposte che uno stato applica sulle merci importate. In pratica, quando un prodotto proveniente da un altro paese entra nel territorio di uno stato che ha imposto un dazio, l’importatore deve pagare una somma di denaro allo stato. Il dazio può essere calcolato in percentuale sul valore della merce importata o come un importo fisso per unità.

Generalmente a mettere i dazi sono i paesi in cui il costo del bene A è più alto del costo dello stesso bene importato da un paese estero. In tal modo, imponendo un dazio il costo del bene importato si incrementa spostando la domanda verso il bene prodotto internamente. Se ad esempio il bene A costa nazionalmente 100 e il costo del bene importato costa 80, un dazio di 20 rende uguali i costi dei due beni (se il dazio fosse di 10 il costo del bene importato salirebbe a 90 e quindi ancora più conveniente, mentre se fosse 30 non sarebbe più concorrenziale con il bene prodotto internamente).

Attenzione esistono strumenti che hanno lo stesso scopo del dazio ma hanno un meccanismo diverso. Penso ad esempio, allo strumento contenuto nell’ Inflation Reduction Act detto anche Ira di Biden. Con questo atto gli USA regalano ad ogni bene prodotto lavorato negli States un bonus che invece è negato agli stessi beni se importati. Invece di imporre una tassa sul bene importato si regala un bonus ai beni prodotti localmente: il risultato è lo stesso.

 In una recente intervista l’ex ministro Tremonti richiesto di un parere sull’eventuale imposizione di dazi da parte degli USA ha risposto “è vero che gli USA metteranno i dazi. Ma anche l’Europa li ha. C’è l’IVA sulle importazioni che è di fatto un dazio permanente su tutte le importazioni, da ovunque provengano. E ha un peso enorme (…). Personalmente non conosco la differenza tra dazio e IVA”. Sconcertante risposta che non tiene conto che l’IVA è una imposta sul consumo che colpisce sia le importazioni che le produzioni domestiche mentre i dazi colpiscono solo le importazioni; la differenza c’è e si vede.

Globalizzazione

Ovviamente l’imposizione dei dazi contrasta la convenienza di consumare beni prodotti all’estero privilegiando i consumi nazionali. Ma è altrettanto ovvio che l’imposizione di dazi spingerà i paesi, da cui si contrasta l’importazione, a imporre a sua volta dei dazi scatenando una guerra commerciale. Inoltre, se un dazio può aiutare la produzione interna in termini di crescita, economia di scala e occupazione, ma a danno del consumatore nazionale, nel lungo termine un eccessivo protezionismo può danneggiare il paese protetto che perde in produttività essendo carente lo stimolo a innovare creato dalla concorrenza di altre imprese.

 Storicamente ci sono stati periodi di pesante protezionismo, ma recentemente la strada di un accordo tra molti paesi di puntare ad una limitazione e regolamentazione dei dazi è stata la via prescelta che si è concretizzata, dopo i negoziati dell’Uruguay Round e come successore dei GATT, nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (O.M.C.) conosciuta anche come World Trade Organization (W.T.O).

Compito del W.T.O. è quello di stabilire regole commerciali globali, risolvere le controversie internazionali e anche di sostenere i paesi in via di sviluppo. I paesi aderenti al W.T.O. sono 164 cui si aggiungono altri paesi osservatori coprendo così oltre il 90% del commercio mondiale di beni e servizi.

Da osservare che i dazi, in talune circostanze, sono ammessi dal W.T.O. in quanto misure ritorsive o compensative di comportamenti scorretti rappresentati da aiuti o sussidi all’esportazione di beni (aiuti di stato) o da operazioni di dumping. Si definisce dumping la pratica di esportare prodotti ad un prezzo inferiore a quello applicato nel mercato domestico

Di crescente importanza è l’attività del W.T.O. nel regolamentare ed intervenire contro le barriere non tariffarie; rientrano in questa definizione una vasta gamma di vincoli economici e/o normativi che ostacolano di fatto gli scambi internazionali.

E’ chiaro che se l’amministrazione Trump applicasse dazi ingiustificati sconvolgerebbe quel fenomeno detto globalizzazione che stava diffondendosi su tutto il globo, acuendo quel clima di polarizzazione che sta caratterizzando questa fase storica.

Effetti dei dazi trumpiani

Trump aveva già imposto dazi nel suo precedente mandato nel 2016 sia contro le importazioni dalla Cina che quelle provenienti dall’Europa. Ma i dazi contro la Cina sono parte della guerra dichiarata dagli USA perché quel paese, secondo Trump, ha applicato politiche commerciali scorrette finalizzate ad aumentare enormemente il proprio quantitativo di beni prodotti esportati negli USA. Le misure prese contro l’Unione europea sono invece il risultato dell’esercizio “legale” di un diritto di rivalsa sancito dalle norme W.T.O., compensative in risposta a un comportamento sleale ed “illegale” costituito dagli effetti distorsivi nella competizione degli aiuti di stato di cui Airbus, il colosso europeo dell’industria aeronautica, ha goduto negli anni a danno del suo principale concorrente, il colosso Boeing.

Questi dazi “compensativi” hanno colpito il settore agro-alimentare (in particolare quello italiano) perché gli USA possono scegliere liberamente i prodotti sui quali imporre i loro dazi. Infatti, se i dazi avessero colpito l’importazione dal nostro paese di macchinari e di apparecchiature, che sono molto utilizzate dalle imprese statunitensi, i dazi avrebbero causato danni agli USA stessi.

E’ da ritenere che anche nella situazione odierna i dazi saranno selezionati accuratamente in modo da creare vantaggi ai produttori statunitensi senza danneggiare le imprese produttive, con conseguenze indesiderate sull’occupazione.

A parte la Cina, di cui parlerò più avanti, è mia convinzione che il vero soggetto europeo da colpire, disconoscendo la presenza di un soggetto come l’Europa, sia la Germania la cui vicinanza industriale con la Russia ha sempre creato l’irritazione delle amministrazioni USA. Non dimentichiamo mai come lo strumento di stretta collaborazione tra Germanie e Russia, il Nord Stream Uno e Due sia stato militarmente distrutto e silenziato; un atto di guerra di cui nessuno più parla ma che incide in modo significativo sulla potenzialità economica europea, sulla Germania in primis, ma sull’Italia come importante indotto dell’economia tedesca.

Quale “giustificazione” si inventerà l’amministrazione Trump per imporci dazi è difficile immaginare, ma a mio parere Trump non si preoccuperà molto di trovare una giustificazione per poter definire come “compensativi” i dazi, fregandosene altamente del ruolo del W.T.O. svuotando di autorità questa istituzione del globalismo.

Per quanto riguarda la Cina non vi è dubbio che l’adozione di dazi al 60% non costituisce altro che un altro strumento nella strategia di guerra contro la Cina, strategia che conosce un altro potentissimo campo di scontro: la costituzione dei BRICS e la de-dollarizzazione delle regolamentazioni monetarie dei commerci mondiali. Giscard d’Estaing definì come “esorbitante privilegio” il fatto che le banche mondiali costituissero le loro riserve accumulando dollari e che tutte le transazioni commerciali internazionali dovessero essere fatte in dollari. Questa prassi era alla base dell’egemonia del dollaro specie dopo l’agosto del 1971 quando fu cancellata la convertibilità del dollaro in oro.

Che l’obiettivo dei dazi USA nei confronti, non solo della Cina, ma dei BRICS riguardi anche l’”esorbitane privilegio” è reso evidente dalla minaccia di dazi al 100% sulle importazioni dai paesi che decidessero di costituire le loro riserve con monete o beni diversi dal dollaro, cosa che i paesi BRICS stanno progressivamente facendo seguiti dai nuovi paesi che hanno aderito o richiesto di aderire ai BRICS. La motivazione per imporre dazi al 100% è decisamente ILLEGALE ma ciò non sconvolgerà l’amministrazione Trump, e va interpretata come un puro atto di guerra. Parola che purtroppo sta diventando sempre più utilizzata ed evocata ma che indubbiamente crea preoccupazioni e paura. Le provocazioni USA alla Cina stanno crescendo di intensità con una propaganda disturbante e persistente, quasi a voler costruire un casus belli definitivo. Pretendere poi che la NATO, che è una alleanza atlantica, sia coinvolta nello scontro nel Pacifico, è una prepotenza cui dovremo opporci senza titubanze.

La propaganda trumpiana

I proventi dai dazi imposti contro le importazioni negli USA dovrebbero servire, secondo il programma trumpiano, a ridurre le imposte ai contribuenti più ricchi. Ora, se ci ragioniamo, avremo i seguenti effetti:

  • I dazi hanno effetto, quindi gli USA non importano più beni dall’estero; le imprese locali, crollando la domanda di prodotti importati, vedranno aumentare la domanda anche se ridotta a causa del maggior prezzo domestico. Il gettito dei dazi scende però a zero per cui non ci saranno fondi per finanziare la riduzione delle imposte.
  • I dazi non hanno effetto, cioè si continua ad importare anche se a costi maggiorati dal dazio. Occorre distinguere però il caso in cui ad essere colpiti dal dazio sono beni di consumo oppure beni strumentali.
  • Nel primo caso i consumatori pagheranno di più i beni che continuano ad importare e lo stato avrà un gettito col quale detassare i contribuenti più ricchi. Insomma, una redistribuzione, a favore dei più ricchi e a discapito dei meno abbienti, che esaspera le disuguaglianze.
  • Nel secondo caso, ovvero di tassazione di beni strumentali importati, le imprese dovranno sostenere maggiori costi di produzione con un duplice stimolo: a) cercare di aumentare la produttività con l’innovazione tecnologica, e b) scaricare sul consumatore il maggior costo di produzione. Nel  frattempo il consumatore vedrà diminuito il potere d’acquisto dei suoi redditi colpiti da una imposta regressiva, nel senso che colpisce maggiormente i ceti più poveri.