A tre anni passati dall’inizio della Grande guerra, Maksim Gor’kij pubblica sull’ADL dell’8.9.1917 un testo – I pensieri intempestivi – che di seguito riproduciamo integralmente.
«Parecchie diecine di milioni di uomini, robusti, sani, laboriosi, sono tolti dalla grande opera della vita, dallo sviluppo delle forze produttive della terra e sono mandati ad uccidersi gli uni contro gli altri. Rintanati nella terra, essi vivono sotto la pioggia e la neve, nel fango, nella strettezza, tormentati dalle malattie, divorati dai parassiti. Vivono come bestie, spiando gli uni gli altri per uccidere.
Già è il terzo anno che noi viviamo nell’incubo sanguinoso e ci siamo imbestialiti, e siamo impazziti. L’arte eccita la sete di sangue, di massacro, di distruzione. La scienza, violata dal militarismo, serve ubbidiente allo sterminio di uomini. Questa guerra è il suicidio dell’Europa! Pensate. Quanto cervello sano, magnificamente organizzato, fu buttato sulla terra fangosa durante questa guerra! Quanti cuori sensibili si sono fermati!
Questo insensato sterminio dell’uomo, da parte di un altro uomo, questa distruzione delle grandi opere dell’uomo non si limita alle perdite materiali, no! Diecine di migliaia di soldati mutilati, per lungo tempo, fino alla morte, non dimenticheranno i loro nemici. Nei racconti sulla guerra essi trasmetteranno il loro odio ai figli, cresciuti sotto le impressioni dei tre anni di orrore quotidiano. In questi anni molto odio è seminato sulla terra e una ricca raccolta darà questa seminagione! E però da così lungo tempo ci si parlò con tanta eloquenza della fratellanza degli uomini, dell’unità! Chi è colpevole del diabolico inganno, della creazione di questo caos di sangue? Non andiamo a cercare i colpevoli fuori di noi stessi, diciamo la verità amara: tutti noi siamo colpevoli di questo delitto, tutti e ciascuno.
Immaginate per un momento che viviamo nel mondo degli uomini savi, sinceramente preoccupati dalla buona organizzazione della loro vita, fiduciosi nelle loro forze creatrici; immaginate per esempio che a noi, russi, nell’interesse dello sviluppo della nostra industria fosse stato necessario scavare il canale Riga-Kherson, riunire il Baltico col Mar Nero, opera alla quale sognò già Pietro il Grande. Ed ecco, invece di mandare al macello milioni di uomini, noi ne mandiamo una parte soltanto a questo lavoro, necessario al paese, al popolo. Io sono sicuro che gli uomini uccisi in tre anni di guerra avrebbero potuto in questo periodo di tempo asciugare le migliaia di chilometri delle nostre paludi, irrigare la Steppa della Fame e altri deserti, riunire i fiumi del Basso Ural colla Kama, costruire una strada attraverso il Caucaso e fare altri grandi lavori per il bene della nostra Patria.
Ma noi distruggiamo milioni di vite ed enormi quantità di energie del lavoro per l’eccidio e lo sterminio.
Si fabbricano masse enormi di esplosivi carissimi e distruggendo le migliaia di vite questi esplosivi si fondono senza traccia nell’aria. Dal proiettile scoppiato restano almeno i pezzi di metallo dai quali in seguito, potremmo fare magari i chiodi; ma tutte queste meliniti, lidditi, dinitro-tolnoli mandano veramente in fumo e al vento la ricchezza del Paese. Non solo miliardi di rubli, ma milioni di vite umane insensatamente sono distrutte dal mostro dell’Avidità e della Stupidità.
Quando vi penso, una fredda disperazione mi stringe il cuore e un folle grido vuole liberarsi dal petto:
“Disgraziati, abbiate compassione di voi!”» (ADL 8.9.1917).
Maksim Gor’kij a parte, l’ADL apre sulle agitazioni operaie scoppiate a Torino il 23 agosto 1917: «Il proletariato ha dato una nuova formidabile prova del suo odio alla guerra, della sua capacità rivoluzionaria. Come? Quando? Quali sono i dettagli? Non sappiamo. Sappiamo solo che la Cavalleria affrontò la folla per le vie; che il palazzo dell’Associazione Generale degli Operai, ove ha sede il Partito Socialista e la Camera del Lavoro è chiuso; che alla “FIAT”, ove lavorano 80’000 operai metallurgici, il lavoro è stato abbandonato per cinque giorni; che il pane è mancato e manca tuttavia; che il questore è punito, che il prefetto è sospeso dalle sue funzioni; che l’allarme risuonante di paura passa dai giornali borghesi ai giornali pseudo-rivoluzionari, come il “Popolo d’Italia”» (ADL 8.9.1917).
La sommossa di Torino scoppia spontaneamente e subito è schiacciata nel sangue, la capitale sabauda viene classificata “zona di guerra” e sottoposta a legge marziale: oltre cinquanta i morti, più di duecento i feriti. Gli arresti indiscriminati di massa decapitano la sezione cittadina del PSI.
La guida del partito torinese passa a un comitato di dodici compagni, tra cui anche Antonio Gramsci, esponente allora ventiseienne del gruppo giovanile che venti mesi più tardi si cristallizzerà – con Angelo Tasca, Umberto Terracini e Palmiro Togliatti – nella redazione de “L’Ordine Nuovo – Rassegna settimanale di cultura socialista”.
Papa Benedetto XV, in quell’estate infuocata, non fa nulla per nascondere la propria empatia di fondo verso il popolo torinese, anche se socialista e anticlericale, vedendovi in ogni caso l’espressione di un comune sentire contro la guerra, “inutile strage”. Ma l’accenno a suggello delle notizie sulla sommossa che l’editoriale dell’ADL fa al quotidiano “Il Popolo d’Italia”, fondato e diretto dal futuro duce del fascismo, prefigura già lo scontro che andrà consumandosi nel primo dopoguerra italiano tra i “Consigli operai” e la prima ondata di violenza in camicia nera.
L’atteggiamento papale si riallineerà a quello dell’establishment dopo lo scoppio della guerra civile tra “rossi” e bianchi” nella nascente Unione Sovietica. La Chiesa cattolica manifesterà un favore crescente per le organizzazioni mussoliniane. E queste, osteggiate ai tempi dell’interventismo bellico, verranno ora invocate, invece, come risposta “provvidenziale” al bolscevismo.
Il successo dei fascismi, dilaganti di lì in poi dall’Italia all’intera Europa, nasce da una potente convergenza d’interessi – politici, economici e religiosi – postasi sotto l’egida delle “tempeste d’acciaio” e del loro connotato ideologico più ovvio ed esiziale: il nazionalismo. I regimi fascisti ne vorranno incarnare l’adattamento a un nuovo clima populistico che la mobilitazione generale delle masse in guerra ha ormai suscitato su tutto il continente.
Così, Mussolini potrà congegnare “da destra” uno stato sociale capace di offrire al popolo d’Italia le concessioni necessarie alla tenuta del sistema, concessioni che per l’establishment saranno accettabili, però, solo in un quadro autoritario, e tendenzialmente totalitario. Questo apparirà il regime più idoneo a garantire la sostanziale saldezza delle gerarchie di censo e di potere lungo un percorso di perequazione minima controllata.
Il fascismo, lo “stato sociale di destra”, sarà la risposta totalitaria dell’Europa occidentale alla grande sfida dello “stato sociale di sinistra” che la Rivoluzione russa subito impersona nelle speranze dei popoli, anche se ben presto imboccherà a sua volta i tragitti del totalitarismo. Una terza variante dello “stato sociale”, quella gloriosa, di matrice rooseveltiana, seguirà infine a partire dagli anni Trenta. Ma verrà poi tradita e rimossa dal pensiero unico neoliberista subito dopo la caduta dell’URSS.
Nota
Nell’anno delle due rivoluzioni russe l’ADL di allora poté “coprirle” entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS svizzero, nella grande campagna di “guerra alla guerra”. Campagna lanciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d’Ottobre.
Nelle immagini
- Maksim Gor’kij (a destra)
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Maksim Gor’kij sull’ADL dell’8.9.1917: «Disgraziati, abbiate compassione di voi!»
Fonte: L’Avvenire dei Lavoratori
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