Le agitazioni di Torino dell’agosto 1917, alle quali è dedicato l’editoriale sulla prima pagina dell’8 settembre di quell’anno, rivelano il loro senso storico non soltanto in anticipazione degli sviluppi a venire. Esse emergono anche come effetti rappresentativi di quanto già è accaduto o sta accadendo. La Rivoluzione russa di Febbraio ha incarnato il primo esempio di trasformazione della “guerra imperialista” in “lotta di classe”. È la via della pace, della giustizia e delle libertà democratiche che gli zimmerwaldiani additano al mondo con lo scopo di fermare l’immane massacro bellico.
Il punto, però, è che la Rivoluzione non potrà sopravvivere e verrà certamente soffocata. Sempreché essa non si estenda. Solo una “rivoluzione mondiale” sarebbe in grado di salvaguardare le conquiste democratiche della nuova Russia ed evitare che si consumi il “suicidio dell’Europa” di cui scrive Maksim Gor’kij. In effetti, questo “suicidio dell’Europa” sembra impattarsi sull’onda crescente dell’opposizione proletaria alla guerra. Dapprima questa aleggia “solo” in forma di conflitto sociale, poi si abbatte nel 1917 sull’assetto statuale della Russia, quindi tracima nel 1918 investendo la Germania guglielmina e l’Austria-Ungheria, mentre le fondamenta dell’Impero ottomano sono anch’esse ormai irreparabilmente lesionate; e la spallata finale seguirà nel 1922 per opera di Kemal Atatürk, al quale guarda con attenzione il Mussolini della Marcia su Roma.
Dunque, il primo conflitto mondiale partorisce tre rivoluzioni socialdemocratiche, di cui una cancellata dalla prima rivoluzione comunista, e poi una sequenza di “rivoluzioni conservatrici“, tentate o riuscite.
Meglio sarebbe stato per tutti se le lancette della storia avessero indugiato più a lungo sulla posizione socialdemocratica. Che, invece, questa viene soverchiata dalla “dialettica” tra opposti totalitarismi. E alla fine saranno le “rivoluzioni conservatrici” a formare la vasta schiera – bianca, nera e bruna – che, al passo dell’oca, riprenderà la marcia verso una guerra ancor più immane della Grande guerra. Dunque, la catastrofe finale, all’anno zero 1945, discende dal 1917 in modo quasi diretto. Ed è breve, in effetti, la finestra di possibilità storica nella quale, dopo il Febbraio russo, il “suicidio dell’Europa” sarebbe stato ancora scongiurabile. Ma in quell’estate infuocata del 1917 quanto si potevano già prevedere gli inauditi sviluppi del “suicidio” che verrà?
La Commissione Socialista Internazionale (CSI) riunita a Stoccolma si limita a constatare, con allarmata preoccupazione, il regresso politico pietroburghese e dirama un documento – La rivoluzione russa in pericolo! – aggiornato alla metà di agosto, mentre le cose evolvono ormai di giorno in giorno, di ora in ora.
«Il 16 di agosto i ministri borghesi uscirono dal governo e i lavoratori e i soldati rivoluzionari di Pietroburgo (…) scesero in piazza al grido: “Il potere deve passare al ‘Soviet’”.» Nelle piazze agenti della contro-rivoluzione provocano scontri sanguinosi fornendo al Governo il pretesto «per mobilizzare contro i dimostranti l’artiglieria e truppe fatte venire appositamente dal fronte, per scatenare una carneficina nella classe lavoratrice, per sopprimere le organizzazioni ed i giornali rivoluzionari». Lo scopo finale di tutto ciò, secondo la Commissione di Stoccolma, sarebbe l’instaurazione di una «dittatura del contro-rivoluzionario piccolo-borghese Kerensky»
(ADL 8.9.1917).
Ma l’ondivago Kerenskij, dopo aver subito per qualche settimana – nei palazzi, nelle piazze e nelle caserme – l’iniziativa del generale “bianco” Kornilov, non si accorda con questi né instaura una propria dittatura contro-rivoluzionaria, ma denuncia il tentato golpe, dando per altro l’ordine di liberare i bolscevichi e alimentando così la formazione politico-militare delle “Guardie Rosse” nascenti. Intanto, sul “campo d’onore” dei morti e dei feriti di una guerra apparentemente interminabile, e di una guerra civile incipiente, aleggia la questione che segue: «Proletari! Compagni! Rispondete al quesito dei rivoluzionari russi: “Verrà la guerra uccisa dalla rivoluzione o la rivoluzione dalla guerra?” Dalla risposta che i proletari di tutti i paesi daranno a questo quesito, dipende non solo il destino della rivoluzione russa.» (ADL 8.9.1917).
Tutti i massimalisti, di tutte le coloriture, riprendono allora di gran lena a propagandare l’idea di una “rivoluzione mondiale“, idea che appare ora, dopo la caduta dello zarismo, non più totalmente utopistica, e che si offre, anzi, come l’unica strategia idonea alla salvaguardia delle conquiste rivoluzionarie di Pietrogrado. Ma i leninisti, come risposta alla bruciante interpellazione degli eventi, nascondono un asso nella manica: la “pace separata“. E in fondo non era proprio questa la finalità per cui il Kaiser aveva consentito al leader bolscevico esule a Zurigo di rientrare così tempestivamente in patria? E non era per lo stesso scopo che Berlino sosteneva ora Vladimir Il’ič Ul’janov senza troppo lesinare sui mezzi?
Una campagna di Verbrüderung in grande stile viene messa in atto dagli stati maggiori degli Imperi Centrali verso i militari russi. Ufficiali e membri dei servizi segreti tedeschi regalano a “Ivan” sigarette, generi alimentari, alcolici e superalcolici in gran copia. Ovunque se ne presenti l’occasione, “fraternizzano” con i soldati russi affinché questi mangino e bevano e fumino e ballino e cantino, ribellandosi ai loro superiori
Fonte: L’Avvenire dei Lavoratori
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